Capitolo 24

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Una volta arrivati sul posto, Clay abbandonò ogni pensiero e desiderio, assumendo un'aria professionale.

Parcheggiò il SUV nel cortile del centro, prese la sua macchina fotografica preferita e lasciò che Gil tenesse la borsa, dato che si era offerto di portargliela.

La costruzione era grande, lunga e disposta su due livelli. Clay aveva letto che al suo interno c'erano: i dormitori, la mensa e una piccola palestra.

Varcata la porta d'ingresso, vennero accolti dal sorriso di un giovane ragazzo poco più che trentenne.

«Ciao!» salutò, alzandosi dalla scrivania alla quale era seduto. «Tu devi essere il fotografo, vero? Io sono Christofer» si presentò, tendendo la mano.

Clay la strinse gentilmente. «Piacere, sono Clay King.»

Christofer lasciò il fotografo e si rivolse a Gil, sempre con lo stesso sorriso gentile sulle labbra.

«Siamo molto felici di avervi qui» affermò, stringendo anche la mano al giovane Cox. «Questa sarà una grande pubblicità per il centro. Venite» li invitò, lasciando andare Gil e facendo strada. «Vi presento il fondatore.»

Lo seguirono lungo il corridoio di sinistra e raggiunsero l'ultima porta in fondo. Christofer bussò e, non appena ricevette l'invito, entrò nella stanza.

«Abel? È arrivato il fotografo» annunciò.

Un uomo di mezza età era seduto dietro una grande scrivania di mogano ingombra di libri e documenti. I capelli del signor Green erano ingrigiti dal tempo, ma tagliati con cura. I suoi occhi verde smeraldo erano limpidi e vennero raggiunti dal sorriso che increspò le sue labbra.

«Benvenuti!» esordì, alzandosi in piedi. Fece il giro della scrivania e si avvicinò a Clay. «Posso offrirvi qualcosa?»

«No, grazie» declinò gentilmente il fotografo. «Preferirei esplorare la struttura.»

«Ma certo. Christofer? Li accompagni tu?» domandò, guardando il giovane uomo con calore.

«Ci penso io, Abel» rispose Christofer, guardandolo con adorazione.

«Se avete bisogno di qualcosa, chiedete pure» aggiunse Abel, prima di lasciarli al loro giro.

Clay controllò ogni anfratto, facendo molte fotografie e da parecchie angolazioni.

Visitarono ogni stanza e Clay individuò subito i posti più interessanti in cui avrebbe potuto fare degli scatti perfetti.

Terminato con l'interno, Clay uscì nel piccolo giardino posteriore per dare un'occhiata.

Gil lo seguiva in silenzio, studiandolo attentamente, ammirando la bravura e la devozione che metteva nel proprio lavoro.

Clay sentì il vento freddo accarezzargli il viso e rabbrividì, voltandosi verso Gil. Il ragazzo in quel momento guardava il cielo con occhi sognanti e Clay non riuscì a resistere, gli scattò una foto.

Gil se ne accorse e fece una smorfia. «Non mi piace essere fotografato.»

Clay si sentì in colpa, lo aveva trovato irresistibile in quella posizione, ma l'aveva fatto senza chiedergli il permesso.

«Scusami» gli disse, abbassando lo sguardo.

Gil sospirò e camminò verso di lui.

«Le uniche foto che ho fatto in vita mia erano quelle di famiglia. Dovevamo metterci tutti in una determinata posizione, con un determinato sorriso. Nessun calore, nessuna spontaneità» raccontò il giovane, quasi con dolore. «Per questo non mi piacciono.»

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