12. Volevo vederti

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J u s t i n

Spostai lo sguardo dalla scatola di cartone che Lydia stringeva in mano, al suo viso colmo di eccitazione. Lo feci un paio di volte, senza proferire parola, sperando non fosse seria.

"Stai scherzando, vero?" domandai lasciandomi sfuggire un lieve sorriso. Lei si affrettò a scuotere il capo, calpestando ogni mio piano e desiderio. Avevo immaginato una serata diversa. "Monopoli" sussurrai. "Non puoi essere seria" commentai ad alta voce.

La ragazza roteò gli occhi al cielo -odiavo quando lo faceva- e poggiò la scatola sul tavolo, in cucina. Incrociò le braccia al petto e rimase a fissarmi seria: era buffa, estremamente attraente ma soprattutto divertente. Mi trattenni dallo scoppiarle a riderele in faccia.

"A me piace, ed è divertente" disse sedendosi sulla sedia di fronte alla mia.

Morsi il labbro inferiore per trattenere un qualsiasi commento di troppo che l'avrebbe ferita o peggio, fatta infuriare. Non che non amassi giocare a Monopoli: nonostante i trentatré anni, non mi sarei mai stancato di quel gioco da tavola. Solo che, in un certo senso, non era quello che mi aspettavo.

"Lo so che è divertente. Però, Lydia...è questo quello che vuoi?" domandai poggiando i gomiti sul tavolo.

Su quest'ultimo giacevano ancora due cartoni vuoti, contenenti precedentemente due calde pizze fumanti. Si era arresa sin da subito con gli spaghetti al pomodoro che aveva lasciato cuocere più del dovuto, così decidemmo di andare sul sicuro con due ottime pizze alla margherita. I bicchieri erano ancora colmi di Coca-Cola mentre delle patatine fritte nel piatto di coccio non vi erano più tracce. Ero affamato e non mi ero contenuto nel divorare ogni pezzo di pizza davanti ai suoi occhi, lo stesso fece lei. Una volta conclusa la cena si era recata al piano superiore e ci era rimasta per una decina di minuti, il tempo di trovare la scatola del Monopoli. Ancora non potevo crederci, lo aveva fatto sul serio. Più la guardavo e più mi veniva voglia di abbracciarla, ingenua com'era avrebbe fatto tenerezza a chiunque.

"Allora sentiamo la tua idea!" esclamò sbuffando.

Sorrisi leggermente: mi tornarono alla mente i suoi gemiti di qualche ora prima, il suo sapore, il modo singolare in cui aveva urlato il mio nome. Sentirlo fuoriuscire dalle sue labbra era stata musica per le mie orecchie. Più la guardavo e più la voglia di farla mia accresceva dentro il mio animo, ma non l'avrei spaventata per nessuna ragione al mondo. Non le avrei imposto di proseguire: si era affaticata molto dopo il momento di intimità che c'era stato tra di noi, dopo il travolgente orgasmo che l'aveva fatta cadere tra le mie braccia. A volte dimenticavo che era una ragazzina, non una donna con la quale poter instaurare un rapporto più maturo, soprattutto a livello sessuale. Le forme di Lydia erano in continua crescita: il seno piccolo le doleva per via della pubertà, me ne resi conto durante il pomeriggio trascorso in casa mia, nel mio studio. Avevo agito con cautela eppure, nonostante le maniere pacate, percepivo il suo dolore. Non volevo provasse alcuna forma di sofferenza fisica, anche se prima o poi sarebbe dovuto accadere, con o senza di me.

"Facciamo il bagno" dissi di getto. Non ci avevo riflettuto molto sopra. Semplicemente l'immagine di noi, nudi, in una vasca da bagno, era allettante.

Lydia sgranò gli occhi e scosse il capo, il che mi fece sbuffare. Sempre meglio del Monopoli -pensai tra me e me.

"Scordatelo. Abbiamo appena mangiato, non possiamo" disse afferrando la scatola del gioco. Prima ancora che potesse alzare definitivamente la parte superiore di cartone e rivelare le varie pedine, i dati e quant'altro, le afferrai la mano.

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