Emanuele
<<Te l'ho detto io che alla fine ci sarebbe venuto>> fece Carla, allungando una gomitata a Riccardo con sguardo complice. Entrambi mi guardarono da sopra una spalla prima di scendere dall'auto. Lui aveva ancora la sigaretta tra le labbra –un mozzicone quasi spento che aveva masticato per tutto il tragitto- e si trascinò verso l'entrata della discoteca a spron battuto, come un leone che entra nella propria giungla con un grande desiderio di ruggire. Dietro venivano Alessandro e Maddalena, come la parte finale di un vagone di un treno un po' arrugginito, che si trascina con svogliatezza sulle rotaie. Ispiravano simpatia e anche un po' di compassione l'aria svagata di lei e la mitezza di lui, ma sapevo che erano atteggiamenti che sarebbero stati ben presto messi in ombra dalla loro capacità di lasciarsi persuadere almeno un poco ad inserirsi in quel clima sovreccitato.
La Fiaccola era un locale caldo dall'atmosfera agitata, in un alternarsi di luci e rumori graffianti. I riflessi colorati proiettati sul pavimento lucido della pista sembravano tante piccole emanazioni di spiriti immersi in una estasi forsennata.
Tirai su con il naso per saggiarne gli odori: sudore, alcolici, vomito e saliva. Riccardo lasciò la propria giacca in mano a quello che doveva essere un guardarobiere e indicò anche noi. Poi mi si avvicinò: <<Levati quel lenzuolo da beccamorto che hai addosso.>>
<<È una finanziera. Dici bene, tu, a giudicare la moda che non conosci.>>
<<Non puoi sembrare Giacomo Puccini in discoteca, cazzo.>>
<<Non credevo conoscessi nomi di musicisti così facoltosi.>>
Dall'impianto di luci appeso al soffitto venne un bagliore viola che gli rischiarò il volto. Vidi le sue spalle contorcersi in un fremito. Alzò un sopracciglio. <<Li conosco e basta.>>
<<Il cilindro no, però.>>
<<Anche il cilindro.>>
Riluttante, obbedii. Lui e Carla risero quando mi videro indosso un gilet grigio che copriva un cravattino nero. Ero cosciente di avere dei modi curiosamente datati che mi istupidivano ai loro occhi, ma, per la verità, anche loro erano davvero molto stravaganti per me. Guardai con occhio torvo i jeans strappati di Riccardo e gli stivaloni di pelle che cingevano le ginocchia nude di Carla.
<<La valigetta devo tenerla stretta, però. Ho tutto ciò che mi serve qua dentro>> dissi.
Riccardo sospirò e si rivolse al goffo guardarobiere urlando: <<È asmatico. Ha i suoi problemi. Non posso spolparlo come una lisca di pesce.>> Quando ricevette un consenso un po' forzato, tornò a guardarmi. <<Che hai lì dentro?>>
<<L'autoinalatore, riserve di vitamine A e B in flaconi, pillole di proteine, gel antisettico e salviettine umidificanti. Sono germofobico, lo sai.>>
<<Qui dentro si assume di tutto tranne che vitamine.>>
<<Devo farlo. Il caro vecchio Berto cucina male, a casa. Non si limita a fare il maggiordomo, ma è un vero e proprio schiavo, e credo si stia ribellando in qualche modo. Forse vuole avvelenarci. Polpette scotte, pasticci di carne tritata, patate con salse pesanti, intrugli di verdure e persino finocchi in agrodolce. Una volta si è confuso e ha messo il sale nella macedonia, e nemmeno una settimana di gargarismi è riuscita a togliermi quell'orribile presenza in gola di sapori opposti accoppiati con quel senso del disgusto che ha solamente Berto. Devo proteggermi.>> La mia voce trotterellò nervosamente. Mi sentii mancare il fiato. Aprii la valigetta di metallo e inspirai nell'inalatore. Poi buttai fuori una boccata d'aria, sollevato. Intanto tutti i miei medicinali erano rovinati a terra, quindi mi piegai carponi per raccoglierli. Venni aiutato da Alessandro e Maddalena.
Quando mi rialzai, mi sentii afferrare il cravattino da Riccardo. Prese sul palmo della mano il rosario che avevo attorno al collo, poi mi studiò con uno sguardo affilato, come un avvoltoio davanti ad un corpo morente, pronto a scendere in piccata da un momento all'altro. Dalla sua bocca sarebbero uscite critiche e grasse risate qualora avesse intercettato in me qualche segno di genuflessioni o di preghiere.
<<E questo?>>
<<Lo stavo sgranando prima.>>
Lasciò la presa. <<Questo posto si chiama La Fiaccola, ma non si fanno fiaccolate papiste>> disse. <<Ero venuto qui con il nobile proposito di farti diventare uomo. Per il momento sei solo nobiluomo, ed è del tutto inappropriato al contesto. Sai, è un'inclinazione proprio mia quella di provare a traviare chiunque mi circondi: è divertente. Ma credo che non ci sia capacità di risoluzione con te.>>
<<Copulerai tu qua dentro. A me piace fare altro.>>
<<Che cosa?>>
<<Osservare.>>
<<Andiamo a prenderci qualcosa da bere, su>> intervenì Alessandro, posandogli una mano sulla spalla. Alessandro era colui che ammiravo di più. C'era armonia in ogni suo movimento, un'elegante ponderazione, che lo rendeva simile ad una statua antica. Aveva persino una sorta di sorriso arcaico che conferiva impenetrabilità ad ogni sua espressione. Era sempre immerso in una dolorosa meditazione quando si guardava attorno. E ora vedevo che, come me, non riusciva a sentirsi a casa in quel luogo, ma scorrazzò ugualmente assieme a Riccardo verso il barman che miscelava alcolici con estrose tecniche acrobatiche dietro il bancone.
Maddalena scrollò le spalle. Sarebbe sembrata una vera e propria femme sérieuse in pieno stile vittoriano, una di quelle raffinatezze francesi che agitavano i guanti scamosciati in un saluto, se non avesse infilato le mani dentro le tasche della felpa. Passò alcuni minuti a parlarmi di tutto quello che avrei dovuto vivere lì dentro.
<<Si dovrebbe ballare. Ma neanche io lo faccio mai. Non mi piace molto.>>
<<Io non lo faccio per non assomigliare a Natasha>>, disse Carla, <<anche se immagino che il mio rigetto sia frutto di un'invidia abbastanza sostanziosa.>>
Riccardo e Alessandro sembrarono tornare molto contenti. Il primo beveva un drink con foga indefessa, l'altro invece annusò il contenuto del proprio e scosse la testa. Carla gli strappò di mano il bicchiere e prese a trangugiare in piccoli sorsi.
Esplose una musica assordante e ripetitiva, in cui le parole del cantante venivano sempre troncate a metà, ma qualche minuto più tardi le sue note ci sfiorarono a malapena quando fummo invitati da Riccardo a seguirlo nei bagni. Era quello delle ragazze, ma nessuna di quelle presenti, attaccate agli specchi a controllarsi i rossetti o addossate alle pareti impallidite e sudicie, si accorse della nostra intrusione.
Riccardo ci infilò in un gabinetto stretto e sprangò la porta, poi estrasse dalla tasca una bustina di plastica con delle pasticche bianche.
<<Allora anche tu hai qualche problema, vedi?>> gli dissi. <<Costipazione?>>
Tutti mi guardarono senza rispondermi.
<<Credevo fosse in polvere>> sussurrò Carla, tesa e innervosita.
<<No. Troppo sospetta.>>
Riccardo allungò le pasticche come se fossero caramelle alla menta. Solo Carla infilò le dita dentro la bustina velocemente, per poi chiudere la mano a coppa e portarsela alla bocca, ingoiando la pasticca come se dovesse finire in un punto particolare e tappare qualcosa.
Da quel che ero riuscito a mettere insieme dai movimenti, quella era droga e io volevo uscire dal bagno, asfissiato e nauseabondo come mi sentivo. Cercai l'inalatore.
<<Cos'è?>> chiese Alessandro.
<<Coca.>>
<<Non dovresti.>>
<<Smettila di fare il figlio della mamma dottore>> rispose Riccardo ciondolando il capo con indolenza. <<Farebbe bene anche a te.>>
Me ne porse una.
<<No.>>
<<Ma con quella voglia di vivere che hai tu non accumulerai cacciagione stasera. Goditi la vita.>>
<<Depravato.>>
<<Finalmente qualcuno che usa una terminologia adatta me.>>
Ciò che notai, però, era che Riccardo non riuscì ad allungare la cocaina a Maddalena, perché rimase a fissarla con lo sguardo tergiversante, il respiro corto. Fu Carla a farlo. Mi accorsi in quel momento che, per quanto avrebbe voluto gettare ai rovi la sua lucidità e svanire, dissolversi nelle luci abbacinanti della discoteca, e assieme perdere anche la sua moralità, non aveva il coraggio di corrompere la donna che amava. I suoi sentimenti non erano ancora del tutto ossidati. Poi, però, uscì dal bagno a passo furioso, risucchiato nell'improvviso buio della pista come in una gola nera, non badando neppure a lei. Forse soffriva, forse era semplicemente sciocco o non voleva dare a Maddalena un motivo per ammirarlo e per innamorarsi di lui quanto lui lo era di lei.
Uscimmo dal bagno, seguendo le nostre ombre oscillanti sul pavimento. Dallo specchio sopra i lavandini vidi Maddalena gettare la pasticca nel gabinetto e tirare lo sciacquone. In compenso ne prese un'altra dalla propria tasca e se la lasciò sciogliere sulla lingua. Tremò come un cerbiatto ferito quando si accorse che la stavo osservando e sparì tra la ressa saltante con le mani sulla testa, barcollante. Mi chiesi che cosa avesse ingollato. Alessandro la seguì chiamandola a gran voce.
Con quella valigetta, mi sentivo un diplomatico tra una folla di capretti scalpitanti o un impavido nazista che guarda i suoi nemici, giovani e forti, catturati dietro un recinto di filo spinato. Mi fu difficile trovare una poltrona e sedermi. Accanto a me, un gruppo di ragazze dalle risate sguaiate e dai petti acerbi in vista era piegato sopra un grande bacile pieno di un liquido verde. Succhiavano avidamente con delle cannucce. Una di loro fu sul punto di strozzarsi e sputò a terra accanto al mio piede, una mano alla gola. Allontanando la gamba, rimboccai il fondo dei miei pantaloni, disgustato. Ogni persona che mi passava affianco portava un nuovo odore e muoveva nell'aria un che di fetido che mi faceva pizzicare le mani. Sentivo sulla pelle un formicolio, come se fossi pungolato dai becchi di uno stormo di rondini inferocite.
Decisi di rimanere lì ad osservare il mondo. Difficilmente stornavo gli occhi da qualcuno senza prima aver stilato una descrizione nella mia testa, ma non riuscivo a fare altro che analizzare i loro movimenti, quasi sempre legnosi, senza avere nulla di particolarmente interessante da aggiungere. Mi resi conto che, se volevo dedicare pagine intere, un giorno, a quel periodo della mia vita, trasformandolo in una sorta di romanzo d'appendice, dovevo prima catturare delle esistenze, e le uniche che conoscevo erano quelle dei miei amici.
Avrei trasformato la mia vita in un racconto: magari io sarei stato una sorta di Emil Sinclair, Riccardo il mio Franz Kromer e Alessandro –già me lo immaginavo, ne aveva la stoffa- Max Demian. Ma io nutrivo una sviscerale passione per la poesia, tramandata come un'emozione ereditaria, e mi accorsi di cercare nella folla lei. Di lei non conoscevo ancora il nome, quindi per me rimaneva semplicemente lei. Lei non inseguiva le temporanee passioni del mondo, aveva altri interessi, altri scopi: sarebbe stata sicuramente altrove quella sera, forse nel suo letto a baldacchino, a promettersi di realizzare qualcosa l'indomani, perché il suo concionare allegro le sottraeva sempre tempo prezioso. Prima che crollasse il giorno su Roma, volevo vedere lei.
Mi alzai e andai a recuperare la mia giacca e il mio cilindro dal guardarobiere. Quando uscii all'aria aperta, rimasi stordito dalla presunzione con la quale l'aria fredda si insinuò tra le mie narici. Come un animale che si trascina spossato verso la propria tana, mi avviai verso il marciapiede. Mi voltai solo una volta, prima di abbandonare la discoteca a distanza d'occhio: Riccardo era appena uscito claudicante nel parcheggio, piegato sulle proprie ginocchia, sul punto di vomitare, ma non lo fece. Alzò lo sguardo e, quando vide Maddalena contro la sua auto al fianco di Alessandro, rise forte. Era una risata triste. Soffriva perché pretendeva la corrispondenza. Forse avrebbe dovuto fare come me: amare in maniera disinteressata.
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In piazza Sulmona, a pochi centinaia di metri da casa mia, tornai al bene. Era interessante quel grandioso momento di riappacificazione con il mondo chiaro e limpido in cui era sempre languita, pallida, la mia vita. La mia fantasticheria venava quei momenti di quiete di febbricitanti racconti eroici: ecco che mi vedevo arrampicarmi su per i balconcini del palazzo dorato e approdare, con uno slancio da lince e senza sforzo, alla quinta finestra. Lì abitava lei. In un'ottica molto più realistica, però, ero solamente un ragazzo tutto solo e infreddolito dietro una Peugeot datata parcheggiata malamente che occupava due posti, e che prima o poi, al principiare dell'alba, qualcuno avrebbe aperto da lontano, e i faretti lampeggianti mi avrebbero fatto sobbalzare e correre via.
Riuscivo a vederla bene perché nella sua stanza non c'erano tende, ma solamente una finestra pulita, che talvolta apriva durante la notte, per affacciarvisi e chiudere gli occhi con un vago senso di consolazione, con le guance sferzate dal vento. Adesso, però, stava afferrando i lembi della sua camicetta e, con una torsione del busto, se la sfilò. Non doveva temere occhiate indesiderate, perché a quell'ora della notte sui marciapiedi passava solo chi non aveva nulla da fare e, un po' pericolante sulle gambe, teneva gli occhi bassi pieni di sconforto: nessuno avrebbe mai pensato di rivolgere lo sguardo al quinto piano del palazzo color oro.
Aveva i seni piccoli e tondi stretti sotto una fascia bianca bordata di pizzo, o di qualche tessuto ricamato molto simile. Presto il suo petto fu nudo, e benché i miei occhi, spinti da un sentimento innocuo e per niente molesto o malizioso, volessero carpire un'immagine di lei per conservarla nei meandri della memoria, mi sentii subito un ragazzo di cattive maniere, tuffato nel peccato. Mi promisi di chiedere perdono quando fossi tornato a casa, sperando che uno spirito caritatevole mi giustificasse e concordasse con me che era impossibile non soffermarsi su quella bellezza pura e fanciullesca.
Sul corpicino esile cadde una camiciola a fiori. Ne lisciò la gonna, poi con le mani sfilò i capelli rimasti incastrati sotto e li mosse vivacemente.Erano i capei d'oro a l'aura sparsi
che 'n mille dolci nodi gli avolgea....Erano biondi e riccioluti, tanto luminosi che sembravano fili di stelle intrecciati dalle mani di Dio nel giorno in cui creò il mondo nella sua eterna perfezione. Dopodiché, si inginocchiò sopra il letto e si sporse verso una mensola per prendere un libro. Ricadde sul materasso in un saltare vivace che mosse il tappeto di cuscini rossi sparpagliati tutt'intorno, poi distese le gambe nude verso una sedia. Accavallò le caviglie. Con gli alluci che si agitavano, carezzava lo schienale, e intanto con gli occhi cercava il punto in cui riprendere a leggere. Quando l'ebbe trovato, annuì, nel gesto di chi improvvisamente si ricorda di che cosa stava parlando.
Il naso puntuto si arrossava sempre di più, le labbra venivano torturate dai dentini bianchi che vi affondavano, i movimenti delle palpebre si facevano stentanti, rallentati, come se le ciglia stessero trainando il peso del sonno da lungo tempo.
Vagheggiava sempre con quell'aria di spensieratezza tutta sua, la mia lei. Spronata da chissà quale sogno romantico, si era iscritta al gruppo di rievocazioni storiche di mia madre, e me la trovavo in casa tre volte alla settimana, tutta frizzante e saltellante, luminosa e fresca, ingenua e genuina, nella piccola taverna, sempre in compagnia di mia madre e delle sue compagne attempate. Lei era la più giovane e la più sveglia, doti per cui le venivano assegnati i compiti più delicati, come quello di ricamare abiti di taffetà, cucire orpelli di pizzo, infilare piume colorate nelle tese di ampi cappelli, e poi provare tutto il vestiario d'epoca selezionato da maman.
Capitava che la spiassi anche lì, attraverso la stretta fessura della porta d'ingresso alla taverna e la vedessi immersa in quell'istante ambrato, tra luci dorate e tiepidi focolari, sfilando e danzando come una principessa d'altri tempi ad un ballo di corte, con quel suo passo flessuoso che aveva solo lei. Era un incedere un po' infantile, però, un'eleganza gradevole proprio perché acerba e mai artefatta: sembrava un leprottino.
Altre volte, invece, sedeva composta e costumata assieme alle altre al cerchio di sedie che si formava sempre in occasione di una lettura condivisa di poesie. Avrei voluto dire a qualcuno che cosa si catapultava su di me, come un dardo che scende dal cielo, quando la vedevo con la fronte china sul libro, atteggiata in una concentrazione precaria e sensibile, per la quale talvolta distoglieva lo sguardo lucido e si guardava attorno, ma sapevo che se lo avessi confidato ai miei amici, Riccardo avrebbe commentato con il suo caratteristico vizio di sminuire ogni sentimento altrui, dicendo che probabilmente stavano prendendo parte ad una setta satanica, sedute tutt'intorno come delle megere complottiste, delle donne rivoluzionarie, stanche di assistere mute all'abiezione maschile. Allora assaporavo quello strascico di tenerezza in silenzio, senza pretendere ricompense, né in sguardi né in parole, rimanendo in ombra come uno zelante osservatore che ama senza essere mai amato.
Non riuscii a contare il tempo che trascorsi lì davanti, mentalmente prostrato al seggio di una regina bella, nobile, ma crudele nella sua indifferenza. Anche quando chiudevo gli occhi ero capace di immaginarmela nella stessa attitudine, di precedere i suoi movimenti.
Lei fu davanti alla finestra e io me ne accorsi solamente dopo qualche istante. Teneva il libro chiuso attorno all'indice e una mano alla corda della serranda, lo sguardo incollato davanti a sé, su di me. Mi resi conto della lontananza perché non fui più in grado di carpire le contrazioni del suo volto: forse me le ero solamente immaginate.
La guardai atterrito, come un predone scovato a rubare, e così lei fece con me.mi punge Amor, m'abbaglia et mi distrugge...
Trafugai nella mia valigetta con ansia, come chi cerca un oggetto prezioso tra cocci e ciarpame. Presi l'inalatore e lo portai alle labbra. Inspirai.
Prima che lei abbassasse la serranda, la Peugeot lampeggiò con un fischio. Feci leva sulle gambe intirizzite e corsi verso casa.
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Ed ecco il capitolo dedicato ad Emanuele. Spero vi sia piaciuto nella sua stravaganza. È un ragazzo strambo, di altri tempi, con interessi fuori dal comune e una grande disposizione ad amare e ad osservare il mondo. Che ne pensate?
Secondo voi, a chi sarà dedicato il prossimo capitolo? (Ci saranno due punti di vista).
Votate e commentate!
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I cinque nomi di Roma
General FictionLa storia tratteggia le vite di cinque amici che vivono a Roma, un sottofondo pulsante e onnipresente, che annebbia agli occhi altrui le personalità di Maddalena, adolescente sensitiva dotata di poteri di chiaroveggenza, innamorata del bell'Alessand...