Capitolo 63

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Alessandro

Maddalena se ne andò via caricandosi faticosamente lo zaino su una spalla. Aveva le spalline girate al contrario, e sulla sua schiena le cinghie si avvolgevano a spirale, ma non vi badò e andò via comunque. Rimasi solo e afflitto nel centro di Roma, e ci rimasi per un bel pezzo. Mi era preso un certo tremolio alle mani, quindi cercavo di non muoverle, ma era impossibile rimanere lì dietro i cancelli seduto ieraticamente come quei colossi egizi. Avevo fatto qualcosa che non avevo mai fatto, come chiudere con una ragazza che conoscevo e amavo e mi tremavano le mani. Sapevo che forse sarebbe stato meglio così per entrambi, ma non potevo dire alle mie mani di rilassarsi. Quelle erano i burattini della coscienza più vera e la coscienza più vera stava dicendo al mio corpo che quello era il modo più doloroso di iniziare a vivere la vita.
Decisi di studiare sotto il piccolo porticato della basilica. Presi Saryricon, rileggendo i paragrafi almeno venti volte ciascuno. Il latino mi sembrava una lingua minacciosa, anche se ero di Roma. Il greco era più sofisticato. Chiusi il libro un'ora più tardi senza ricordare nulla.
Le vecchie bigotte uscirono dalla basilica dopo le lunghe confessioni con i padri con borse nere alla spalla con rosari e caramelle alla menta dentro. Ne facevano girare una sempre in bocca dopo una messa, come se avessero parlato molto dei loro peccati e dovessero sciacquarsi il palato. Se ne tornarono a casa con leggerezza e con qualcosa di irreale addosso e mi guardarono come un esecrando. Dio non esisteva, per me. Dio non esisteva proprio quel giorno.
Quando tornai a casa, mia madre era a lavoro. Aveva lasciato sul tavolo del salotto un manuale aperto, edito da qualche commissione di medici italiani, dove si parlava di ferite acute, di lesioni croniche e di come curarle e di come catalogarle in un grado più o meno alto di infezione, e anche di rigenerazione cellulare e migrazione di cellule dermiche dai bordi verso il centro della ferita in modo molto dettagliato. Anche mio padre lavorava, chiuso nel suo ufficio che con tutte quelle bilancette orafe sembrava un laboratorio anni Trenta. Edoardo giocava ai suoi piedi con i pezzi massicci d'oro che dovevano essere fusi perché nessuno comprava più quelle goffe sciccherie se non a volte nella bassa Italia. Faceva strisciare i cinturini degli orologi a terra, mentre mio padre contava i mazzi di banconote stretti dentro giri di elastici di gomma, e notavo che la lingua gli usciva fuori dalle labbra perché anche quel mese saremmo stati ricchi più di quello precedente. Poi si mise ad urlare perché mio fratello aveva preso alcuni timbri e li aveva schiacciati sopra a dei documenti importanti, ma era normale cercare di guarnire il proprio siparietto facendo brusio nella vita degli altri, però mio padre questo non lo capiva e lo cacciò. La domestica era in ferie. Lo presi con me.

Aveva voglia di giocare, ma io ero stanco. Gli piaceva piegare i vestiti. Lo divertiva. Iniziò a prendere a pugni l'anta del mio armadio ridendo. Mise a soqquadro camicie e felpe e pantaloni e li ripiegò a modo suo. Lo lasciai fare, in silenzio. Non potevo aiutarlo a ripiegare nulla, mi tremavano ancora le mani.
Ricordo che piansi, muto, fissando il soffitto bianco. Edoardo mi venne vicino, mi saltò sopra, mi toccò le labbra, mi si aggrappò addosso e si addormentò sulla mia spalla.
Com'era brutta quella casa, pensai. Com'erano brutte tutte quelle pareti bianche che mi avevano insegnato la neutralità.
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Riccardo

Alla fine ero riuscito a sfilargli un paio di cento euro, al tizio della Golf. Avevo assunto nel volto una certa esasperazione drammatica, fingendo che ci fosse stato molto altro da fare, che i freni ora erano a posto, ma se voleva respirare un po', tra qualche mese, avrebbe dovuto far pulire anche l'aria condizionata. Per la valvola EGR gli avevo fatto uno sconto, e la gente quando gli parlavi di sconto si illuminava, ed era pronta a sborsarti grandi cifre, senza sapere che prima di fargli lo sconto hai alzato il prezzo alle stelle. Ero molto abile nel commercio, se volevo, come lo erano i ladri e i truffatori. Ero un ladro e un truffatore, ma era necessario. Alla fine mi aveva chiesto ancora una volta dove fosse mio padre.
<<E' morto.>>
<<Da quanto?>>
<<Un mesetto. Arrivederci.>>
<<Mi dispiace>> aveva risposto e se ne era andato, con la faccia di chi non sarebbe più tornato.
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Le poste erano un posto sempre così silenzioso che odorava di naftalina da armadio che quando mi squillò il cellulare mi pareva di aver commesso un peccato da chiesa cattolica.
<<Linda, basta.>>
<<Dài, balordo.>>
<<Sono già qui.>>
<<E' da un mese che sono ferma>> mi spiegò.
<<Non lavori?>>
<<No.>>
<<Ti è venuta la cellulite?>>
<<Smettila, dannato.>>
<<Ti fa schifo anche a te cosa fai.>>
<<A voi uomini però guardarli piace.>>
Probabilmente si era innamorata di qualche porco depravato e si era fatta ricattare per un po' di spiccioli, facendo mostra di sé in deprecabili video amatoriali girati chissà dove. Mi augurai che almeno la qualità non fosse eccellente.
<<Perché non ti fai mantenere da lui allora?>>
<<In qualche modo già lo fa>> rispose.
<<Dio, che schifo. Se questo lo avesse saputo papà, come dici sempre tu...>>
<<Stai zitto. Io con la mamma non ci volevo mica abitare. Questa puttana che ha messo sempre le corna a papà.>>
Decisi di ignorarla. <<Che devo fare?>>
<<Devi trasferirmi i soldi. Te l'ho detto più e più volte.>>
<<Come si fa?>>
Sbuffò. <<Che vuol dire come si fa? Papà me lo faceva sempre.>> Non le risposi. <<Devi prendere un modulo. Quello della vaglia postale. Richiedilo allo sportello.>>
Capii che non c'era bisogno di richiederlo allo sportello, perché vidi una piccola scaffalatura poggiata sopra un tavolino e decine di moduli impilati nei ripiani. Dovevo pagare anche altro, quindi assieme al vaglio presi anche un bollettino.
<<Compilalo ora.>>
<<Io però non posso inviarti seicento euro.>>
<<Perché no? A te non servono i soldi della mamma o quelli dell'officina, no? Quindi che ti importa?>>
<<Lo dici tu>> ribattei. <<Avrei voluto mettermeli da parte e comprarmi una macchina nuova.>> Ero affezionato alla mia Ford Ka, ma era vecchia e scarcassata e la gente rideva quando mi vedeva aprire la portiera. Una Golf come quella sarebbe stata perfetta. Mi piacevano le Golf. Non ero tipo da macchine lunghe –certo, erano ganze- ma mi dava l'impressione che gli uomini comprassero le auto in base alla dimensione del loro cazzo, come con le cravatte. Una macchina lunga equivaleva ad un cazzo lungo. Io non avevo bisogno di far sapere niente a nessuno. Una Golf era okay.
<<Non ci arriviamo>> proseguii. <<Ho giusto i soldi contati per una bolletta stratosferica che ci è arrivata, e poco più.>>
<<Quanto?>>
<<Cento.>>
<<Inviami quei cento allora.>> Sospirò. <<Devi aggiungerci dieci euro per la pratica a carico del mittente.>>
<<Ah, pure?>>
Mi feci spiegare linea per linea come dovevo compilarlo. Le anziane signore in attesa con un ticket e un bastone tra le mani si girarono nella mia direzione. Avevano delle spirali ipnotiche dentro gli occhi. Mi guardavano magari immaginando che potessi essere loro nipote e che anche i loro nipoti potessero essere ignoranti, inesperti e sprovveduti come me. Quando mi capitavano quegli sguardi addosso, sentivo tutta la mia generazione pesantemente insultata e mi sentivo responsabile, così come dovevo sentirmi responsabile della mia vita, che poco a poco mi stava raggiungendo nella sua dura e cruda realtà. Sentivo, sempre con quegli sguardi addosso, la loro consapevolezza che da anziani vecchi e saggi non erano riusciti a fornirci gli strumenti per cavarcela nel mondo. O forse pensavano che eravamo nati già con un patrimonio genetico da falliti e pressappochisti.
<<Ho messo Chopin come parola chiave.>>
<<Come si scrive? Ma sempre a quello pensi? Non te ne veniva una più semplice in mente, cazzo?>>
Non glielo dissi e chiusi la telefonata.
Le dipendenti dietro il banco postale erano donne di cattivo gusto. Ti guardavano con quegli occhi infimi dietro gli occhiali, alzavano le sopracciglia disegnate e ti iniziavano a spiegare come dovevi procedere, che dovevi prendere la ricevuta prima di sgattaiolare via, e sorridevano debolmente quando avevi simili sbandamenti, facendoti credere che sapevano che poteva capitare, lo sapevano quelle regine della tolleranza, ma si ma si vedeva che in realtà pensavano che eri un cazzone che non conosceva neppure la più piccola strategia.
Quando uscii avevo le tasche molto sgonfie. Avrei dovuto riempirle in qualche modo. Avrei dovuto fare come la formica in quella favola di Esopo. Solo che a me era sempre piaciuta la vita da cicala.
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Maddalena

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