Capitolo 35

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Riccardo

<<Che ti ha detto Masci?>>
<<Dice che è disposto ad archiviare il caso e a lasciarlo libero, se lo chiediamo. Ovviamente è contro ogni norma.>> Alessandro era accosciato davanti ad un cassetto aperto dentro l'armadio a sei ante. Le sue mani trafficavano in cerca di qualcosa. <<Credo proprio che Carla debba testimoniare per un risarcimento. E se non fa la prima cosa, ma si accorge della seconda si porrà sicuramente qualche domanda.>>
<<Dobbiamo lasciarlo impunito e a piede libero?>> esclamai con fervore. <<E io che pensavo lo si potesse sbattere direttamente in prigione!>>
Alessandro si girò con gli occhi spalancati e allarmati. <<Parla piano>> sussurrò.
<<Perché?>>
<<I miei non vogliono che frughi qui. Ci tengono tutti i completi da cerimonia che devo indossare per qualunque evenienza: matrimoni di loro colleghi, funerali di cugini ultraottantenni, battesimi di pargoli dai nomi americani.>>
Sebbene filtrassero solamente pochi, sottili e obliqui listelli di luce dai buchi della serranda abbassata, riuscii a distinguere le sagome di decine di camicie, giacche e pantaloni dalla lavorazione raffinata.
<<Ma hai un'intera cabina armadio. Anche se sparisce qualcosa non se ne accorge nessuno>> obiettai. <<Sembri un discendente di casa Savoia con tutta quella roba.>>
Mentre prendeva in mano un paio di piccoli oggetti luccicanti, Alessandro rivolse un'occhiata guardinga alla porta. Poi si alzò e proseguì: <<E comunque, se serve a far sì che Carla non sappia mai nulla... lo lasceremo impunito.>>
<<Ma come facciamo ad impedirle che veda ancora Javier?>> domandai. <<Non possiamo sorvegliarla tutto il giorno.>>
<<No>> concordò Alessandro. <<Ma possiamo adottare strategie diversive.>>
Lo guardai, in attesa.
<<Possiamo minacciarlo, ad esempio.>>
<<Altieri, siamo entrati in casa sua passando da una finestra, Manfredi gli ha dato una bastonata in testa e noi lo abbiamo sbattuto a terra. Io credo che basti come primo episodio romano di Walker Texas Ranger.>>
Alessandro mi guardò fisso negli occhi, come soppesando le mie parole. Poi assentì impercettibilmente. <<Sì, forse hai ragione>> concluse. <<La cravatta è troppo antidiluviana per un appuntamento, anche se in un locale chic. Ma due gemelli da camicia in argento credo vadano più che bene.>> Alessandro aprì il pugno e rivelò i gioiellini scintillanti che aveva scovato nel cassetto.
<<Non mi importa. Questa camicia va bene. I pantaloni anche.>> Ne osservai la fattura in controluce. <<Quanto l'hai pagata questa cintura?>> Indicai la cintura nera di Hugo Boss che mi stringeva proprio attorno al bacino.
<<Credo ci abbiano speso un capitale, in effetti. Forse novanta euro>> rispose con tranquillità.
<<Cazzo, le mie orecchie!>> Sfoderai un'espressione piacevolmente inorridita.
<<È in pelle! Che pretendi?>>
In confronto a tutti gli ammennicoli che ero solito indossare –come l'orologio digitale rosso che segnava l'ora con una luce verde marziano o il finto punto luce sul lobo sinistro- ora sembravo un vero uomo di classe, che pure conservava una certa burberità virile. Se lasciavo slacciata la camicia sullo sterno, infatti, si notava un sottile ciuffo di peluria sotto le clavicole. La mia biasimevole tendenza ad esprimermi in maniera scortese sembrava taciuta. Uno sposo che si vede riflesso in uno specchio il giorno del proprio matrimonio, vestito così di tutto punto, con la necessaria ufficialità che la situazione richiede, doveva provare lo stesso senso di vertigine. Avevo chiesto di essere –e ora lo ero- la replica appassionata di Alessandro.
<<Ti piace?>> mi chiese lui. <<Anzi, ti do anche il mio orologio.>> Si sganciò il Rolex che aveva al polso e me lo porse.
<<Sì. Credo sia adatto.>>
<<Certo che è adatto!>> Alessandro piegò in una pila sul letto tutte le camicie che avevo provato e poi escluso, facendo per riporle nell'armadio aperto.
<<Hai indossato anche tu qualcosa di simile per la stessa ricorrenza?>>
Il mio amico lasciò la mano a mezz'aria, a un soffio dall'anta. Mosse le dita e non la toccò. Piroettò lentamente e mi guardò, serio. Forse dovevo apparirgli bellicoso, perché mi osservò con timore e diffidenza. <<Lo sai?>>
<<Sì.>>
Alessandro sospirò. <<Io... non l'ho portata fuori. Non ancora. Mi dispiace, Riccardo. Non vorrei parlarne con te.>>
<<Non me ne frega nulla.>>
<<Come fai a saperlo?>>
<<Lei ti ha sempre amato.>>
<<E tu lo sapevi?>> Piegò la testa su una spalla.
<<Sì.>>
<<Scusa.>>
Feci un vago gesto nell'aria e mi toccai la fibbia della cintura con imbarazzo, dondolando sulle gambe. <<Quando la vedi?>> gli chiesi.
<<L'ho invitata stasera. I miei non ci saranno.>>
<<Risparmiati il tono compassionevole, Altieri>> dissi brusco. Afferrai e gettai sull'incavo del braccio la felpa e i jeans con cui ero venuto e mi infilai il portafogli nella tasca posteriore dei pantaloni. <<Entrambi passeremo una buona serata, no?>>
<<Perché ho l'impressione però che la mia sarà migliore della tua?>> Alessandro mi accompagnò indugiando un poco verso la porta. <<Non sei obbligato se non vuoi, Riccardo.>>
<<Non azzardare previsioni.>> Quando uscii dalla grande villa dalle pareti color latte, tornai a sprofondare nell'oscurità. Mentre mi allontanavo nel cortile, gli urlai: <<Non ti compete.>>
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Alessandro

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