Emanuele
<<Vieni, ti prego.>>
<<Dove?>>
<<A casa mia. Al più presto. Ho fatto una scoperta disgustosa>> dissi.
<<Quale?>>
<<Ho scoperto che mio padre ha un'amante.>>
<<Capirai!>> esclamò Carla. <<Sai quante volte mio padre ha fatto cornuta mia madre prima di lasciarla?>>
<<Vieni.>>
<<Hai bisogno di parlarne con qualcuno?>>
<<Sì.>>
La sentii ridere prima che riattaccasse. Agganciai l'appiccicosa cornetta rossa e mi infilai le mani inguantate nelle tasche. Mossi con le dita gli ultimi spiccioli che avevo. La gente che passava per le strade, ingrigite e spettrali, guardava con divertimento la cabina telefonica che mi custodiva un poco al caldo. Sapevo che nessuno entrava più dentro quei lunghi e sgangherati gabbiotti, ma per era già stato uno slancio di novità che non mi piaceva. Non ci sarei mai più entrato. Era un ambiente che puzzava di marcio e stantio. Un picciolo di una banana mi si era incastrato sotto la suola degli stivali. Strofinai i piedi contro la grata del pavimento.
Appena fui fuori, recuperai l'inalatore e ne aspirai una grande quantità. Poi tossii. Camminai sotto il buio spettrale a passo lesto, un po' ingobbito, la schiena che sembrava bitorzoluta. Ma sopra portavo il peso ingestibile di sogni sfumati e di peccati meschini. Mi sentivo allo stremo, come appena uscito da mesi di insonnia, letargo e apatia, e ora fossi costretto a fare i conti con una nuova emotività dirompente.
Aveva tradito maman! Mio padre aveva tradito maman! Loro erano sempre stati uno strumento a due corde e se ne era appena rotta una. Capitava, nei drammi familiari, e allora si chiamava il buon liutaio che altri non era se non il desiderio di riconciliazione. Ma un tradimento non era alleggeribile. Non ci si poteva appellare al liutaio.
Quando ritornai a casa, non sentivo più la sinfonia caratteristica che percorreva l'aria e le pareti. C'era una distanza siderale tra l'equilibrio che sempre vi avevo trovato e l'avvilimento che mi sorprese in quel momento. I quadri e le candele erano complici del misfatto, e mi guardavano con compassione.
Si erano disuniti anche se Dio li aveva uniti, o forse non era stato Dio ad unirli, ma la fatalità del caso che si era poi ritorta come una fiera. Forse il vero amore era quello sottaciuto che non si manifestava, che non veniva suggellato. Suggellare è come stringere un patto, e quando si è dipendenti da un patto è sempre costante la tentazione di infrangerlo.
Carla arrivò assieme a Riccardo. Mi disse che aveva portato anche lui perché le sembrava una faccenda che poteva interessarlo. Li feci entrare dalla porta sul retro che scendeva verso la taverna. Lì, maman si era riunita con le sue compagne a leggere alcuni versi di Jane Austen.
<<Gliel'ho trovata dentro al letto, con i piedi infilati sotto le sue cosce. Ho aperto la porta per sbaglio. Volevo fargli vedere cosa avevo scritto. E invece c'era lui appollaiato sotto le lenzuola, e poi l'amante ha urlato e gli ha detto guarda, c'è tuo figlio! Gli ha dato del tu. Devono essere in confidenza, presumo. Lui ha detto solo figliolo, un giorno te ne troverò una anche per te. Questa me l'ha trovata tua madre.>>
<<Nel frattempo che si sviluppi la tua sessualità, può trovare un'amante per me. Le accetto>> disse Riccardo. Quando salimmo le scale, -dopo aver incrociato lo sguardo carico di rimprovero del maggiordomo che lo aveva riconosciuto- Riccardo mi chiese quale fosse la camera di mio padre. Non gliela indicai: sapevo che avrebbe voluto guardare attraverso lo spioncino.
Entrammo nella mia stanza. Inchiavai la porta alle mie spalle e infilai un pezzo di carta nel buco della serratura. Poi spiegai: <<Berto non vede mai bene i nuovi venuti. A meno che non cerchiate ricovero per la notte –in quel caso, ha un cuore buono- è sempre in allerta. I miei genitori lo hanno educato così nell'amministrazione della casa. Forse potrebbe spiarci. E questo vi rincrescerebbe, non è così?>>
<<Berto?>> domandò Carla.
<<Sì, Filiberto. Il maggiordomo. Non si chiama realmente così. Lo hanno nominato così i miei genitori: il suo nome di servizio deve farlo apparire come un eletto. Io mi chiamo Vittorio Emanuele. Lui Filiberto.>>
Riccardo sbuffò ironico. <<E la Casa dei Savoia è al completo. Quando abdicate tutti quanti?>>
Lui e Carla subito furono colpiti dalla ragguardevole biblioteca e presero a leggere i titoli sulle coste dei libri, piegando le teste. Ansante, mi sedetti alla scrivania e feci ordine tra il diluvio di carte spiegazzate e lettere inchiostrate. Mi sentivo il viso emaciato e le guance di marmo.
<<Cosa hai lì?>>
<<Le Familiares. No, non le puoi vedere.>> Le nascosi sotto un fermacarte. Riccardo alzò un sopracciglio. Mi sovrastò per un istante, poi si piegò, veloce come una lince, e afferrò le carte tra le mani.
<<A chi scrivi?>>
<<A una persona. Dammele.>>
Lesse il nome del destinatario, che si ripeteva sistematicamente al principio di ogni lettera. <<Chi è Francesco? E per quale diavolo di motivo scrivi in latino?>>
<<Petrarca.>>
<<Petrarca?>>
<<Sì.>>
<<Ma è morto. Ormai è un fossile quell'uomo lì.>>
<<Lo so. Lui stesso scriveva a Cicerone. La gente che scrive ha bisogno di qualcuno di grande spessore e di vasta cultura a cui affidare la propria irrequietezza.>>
<<Dici che se ne faccio qualche fotocopia posso farmele poi tradurre da Alessandro? Mi do agli studi dell'animo umano anche io.>>
Sentivo il bisogno di impugnare stretta la penna e scrivere in quelle epistole di ciò che avevo visto: tutto avrebbe preso forma attraverso le parole, e avrei creduto si fosse risolto, o non fosse mai accaduto e tutto fosse stata una tragica invenzione, un ricamo della mia fantasia.
<<Forse... >>, iniziai, <<forse maman non è stata il tormento dei suoi anni giovanili... Lei lo ha sempre tenuto ad alte quote nella considerazione senza mai sottrarsi... ma è buono quando ci si sottrae in amore. Diventa una conquista sofferta per chi lo vuole davvero. Però è solo un pensiero, non so perché dovrebbe necessariamente essere così. Oh, non ascoltatemi!>> Iniziavo a respirare male e lo schermo dei miei occhiali si appannò dei miei ripetuti sospiri. Carla mi prese per le mani e mi invitò a stendermi sul letto. Lei e Riccardo si sdraiarono al mio fianco.
Fissai gli intrecci luminosi cosparsi sul soffitto.
<<Non è trascurabile questo dettaglio: gliel'ha procurata lei, maman! Deve essere proprio una disgrazia il loro matrimonio! Elisabetta d'Austria affidò la vita del marito ad un'amante solamente quando capì che i suoi viaggi per l'Europa la sottraevano dal suo ruolo di moglie... ben capite a cosa mi riferisco. Forse maman vuole viaggiare. Si è stancata di stare qui, come me. Anche io vorrei viaggiare, allora. Posso andare con lei. Ma non ci sono più le corti di una volta...>>
La mano di Riccardo si distese sopra il mio volto, facendomi sobbalzare. Si era acceso una sigaretta e ora me la porgeva. La allontanai come se avessi visto il corpo sconciato del demonio.
<<Tu ti imbastardisci il cervello, così. Tuo padre tradisce tua madre. (Certo, povero... le baldracche hanno un po' di pulci, malattie veneree e cose così). Anche mia madre tradisce mio padre. Forse. Tutti tradiamo qualcuno. Io fumo. E compio altri atti illegali. Io tradisco la società. E cazzo se mi piace. Piacerà anche a te>> disse. <<Prendi.>>
<<Allontanala da me.>>
<<Fai un tiro. Non morirai.>>
<<No.>>
Carla lo pregò di non insistere con me, ma lui si alzò e si chinò su di me. Mi puntò un dito alla tempia e lo fece roteare.
<<Tu devi ficcarti in testa che non tutto il male della vita è un male per te. Hai qualche problema qui dentro se lo pensi.>>
Arrancai per prendere la valigetta dei medicinali sopra alla scrivania. Mi sentivo sprofondare addosso un calo di pressione. Riccardo mi tenne fermo. Confermò ancora che avevo un problema serio e che dipendevo da patologie che non esistevano.
<<Fai il compatito perché credi che si viva di più in questo modo. È un modo per darti importanza, vero? La gente particolare attira sempre tutti. Ma io ti ho capito, sai? Sei un po' come questo cuscino.>> Disfece il letto e pescò il mio cuscino. Ce lo mostrò, sprimacciandolo. <<Vedi, tu sei un po' come questo coso. Io posso fare così... o pestarlo sotto i piedi... gonfiarlo di pugni, e cambia forma. Diventa un po' speciale. Poi però torna ad essere un normale cuscino, piano piano. Quindi è inutile che fai il sofferente, perché... ah, no, forse non sono riuscito a rendere l'idea. Non sono sempre bravo con le metafore e le figure.>>
Fosse stata un'altra persona a rinfacciarmi i miei difetti, forse avrei aguzzato l'udito, ma, a sentire Riccardo, volli provare ad ignorarlo bellamente. Non ci riuscii.
<<Tu vuoi che la gente diventi come te, traviata e corrotta. Nascondi l'insofferenza dietro una finta vitalità. Vuoi far credere a tutti di essere arricchito da ogni esperienza, come un peregrinus ubique, ma sei tu a voler lasciare la tua impronta in ogni circostanza, altrimenti non si attesta la tua esistenza. Solamente Maddalena può sopportarti, perché conosce il vero exul della vita che sei. Lasciami in pace>> sbottai. <<Lasciami in pace, di grazia>> aggiunsi.
Attesi che la rabbia scivolasse via da me con qualche sospiro, e quando recuperai il contegno mi accorsi di non pensare ciò che avevo detto. Oppure lo pensavo, in minima parte, ma un lato di me comprendeva il suo comportamento e lo giustificava: ora, invece, mi ero imposto come un giudice severo con un grugno sprezzante.
Riccardo succhiò avidamente la sua sigaretta. La spense sulla costa di un libro vecchio e spellato. Un confabulare cospiratorio si era acceso nei suoi occhi alla menzione di Maddalena.
<<Hai ragione>> disse. <<Ma ho ragione anche io.>>
E proprio mentre mi affrettavo precipitosamente alla valigetta di medicinali, approfittando del suo momento di estraneazione, lui, seguendo un impulso improvviso, mi anticipò e la prese. Borbottò che mi avrebbe fatto guarire lui, ma in realtà sapevo che era solo offeso. Oltrepassò il bovindo, si inginocchiò sul divanetto sottostante, aprì la finestra e, allungando le braccia, rovesciò il contenuto della valigetta, che cadde, come pioggia, sull'erba ghiacciata del giardino.
Difatti, non ebbi l'istinto di urlare dalla disperazione. Il fiato lo trattenevo, ma riuscivo a risputare l'aria fuori, senza dover far ricorrere il pensiero all'inalatore. Trattenni Riccardo per la manica.
<<Mi dispiace, mi dispiace.>>
<<Nulla mi crea dispiacere. Ti voglio ancora bene, ma ti credo un po' stupido, sai.>>
Si sentì dalla taverna un rumoroso e continuo raschiare di sedie. Maman e le sue compagne dovevano essersi alzate, spaventate dalla pioggia di medicine improvvisa. Mi affrettai per le scale preparando una spiegazione plausibile nella mia mente, combinando e scombinando frasi senza senso compiuto. Sfrecciai davanti al buon Berto e quasi gli feci cadere dallo spavento il vassoio d'argento che aveva tra le mani. Alla porta della taverna, mi bloccai. La mia lei doveva essere là dentro! Mi aggiustai gli occhiali sul naso, il panciotto e la giacca lunga. Quando aprii, fissai i pannelli di legno che rivestivano le pareti. Non volevo incrociare il suo sguardo: mi sarei innamorato ancora, l'esca d'amore che avevo nel cuore mi avrebbe reso pazzo, e i suoi occhi mi avrebbero irretito un'altra volta.
Mentre rotolavo fuori le mie giustificazioni, il mio sguardo si spostò, inevitabilmente: lei non c'era.
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Carla
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I cinque nomi di Roma
General FictionLa storia tratteggia le vite di cinque amici che vivono a Roma, un sottofondo pulsante e onnipresente, che annebbia agli occhi altrui le personalità di Maddalena, adolescente sensitiva dotata di poteri di chiaroveggenza, innamorata del bell'Alessand...