Capitolo 22

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Carla

<<Sembra uno di quei posti frequentati da adulti divorziati che vogliono imparare a ballare il tango o la salsa. O il luogo perfetto per vecchi fanfaroni.>>
<<Credo lo sia. Ma oggi è un'apertura speciale>> spiegai.
Riccardo aggrottò la fronte. <<Perché?>>
<<È l'Epifania.>>
<<Quindi hai ben deciso di essere una delle tante befane qui dentro.>> Il suo sguardo mi scivolò addosso, con un velo di interdizione e critica. <<Ma come ti sei conciata?>>
<<Non va bene?>>
<<Non è acconcio. Non è una parata imperiale di metà Ottocento.>>
Sotto le luci rosse e bianche del Galaxy la mia immagine si rifletteva sui bicchieri pieni della gente. Mi correva nelle vene il sospetto che chiunque mi osservasse, anche solo per un momento, nascondendo un risolino o un moto di stupore, dietro le cannucce che venivano fatte vagolare distrattamente negli alcolici.
Quando eravamo andati nella vecchia sartoria storica della nonna di Alessandro avevo preso alcuni vestiti, senza neppure provarli. Non mi interessava se non sembravano cucitimi addosso: avrei stretto i lacci dei corsetti fino a costringere le costole, se necessario.
<<Avrei potuto indossare qualcosa di più vistoso!>> esclamai. <<La nonna di Alessandro ha perfettamente riprodotto alcune ricostruzioni ungheresi degli abiti di Sissi esposti ad Hofburg, ad esempio. E io me le sono portata a casa. Ma questo che indosso ora è più da atelier. Organza di seta e pizzo. La gonna non è ampia.>>
<<Perché vuoi imitare l'imperatrice d'Austria?>> mi chiese Maddalena.
<<Perché era bella. E io posso essere apprezzata quanto lei. Leggendo le sue biografie ho capito che ciò che veramente affascina non è la stravaganza moderna. Se è diventata un mito su cui si specula anche oggi un motivo dovrà pur esserci. È che la bellezza di una volta viene apprezzata molto di più.>>
<<Apprezzata e derisa>> commentò Riccardo. <<Non lo sedurrai così. Starà qui da qualche parte, probabilmente infilato nei bagni a sudare come un maiale con chissà quale rotolo di carta igienica umano. Ora che ci penso, dovrei trovare qualcuna con cui passare il tempo anche io.>> E così dicendo, finse di far cadere lo sguardo casualmente su Maddalena. Lei lo distolse con stizza.
<<Gianmarco è qui con Natasha>> risposi con un sospiro. <<Devo cercarlo.>>
Maddalena mi tirò per un braccio mentre Riccardo si ritraeva ridacchiando. Mi accontentò, ma non era affatto compiaciuta: nel modo in cui stirava le labbra c'era un rimprovero quasi materno.
Ero attorniata da aggruppamenti di donnicciole abbigliate e truccate come ero solita fare io, ma quel genere disinvolto e quasi spartano non mi apparteneva più. Il mio viso ora rimaneva molto più pulito e sobrio, e in cambio sentivo di attirare l'attenzione per come intrecciavo i capelli in elaborate code lungo la schiena o per come congiungevo le mani davanti al ventre mentre camminavo.
Capitolatami quasi addosso dopo essere stata spinta da continue gomitate, Maddalena arricciò il naso, come se avesse percepito un qualche olezzo fastidioso. Guardò i miei capelli, mentre onde di luci colorate apparivano e scomparivano sul suo viso.
<<Li ho lavati con uova e cognac. Poi ci ho spruzzato un po' di profumo. Non dovrebbero puzzare...>>
Si insaccò le mani nella sua felpa bianca e attraversò un corridoio brulicante di giovani ubriachi. Sebbene fosse come a casa propria, Maddalena era inquieta. Mi conduceva e mi seguiva, ma i suoi occhi erano mobili e agitati: perlustravano la pista con un senso di privazione. Non sapevo a chi fosse dovuta la sua momentanea sofferenza, se all'assenza di Alessandro o alla lontananza di Riccardo.
Mancavano soddisfazione e stabilità di sentimenti nella vita di noi tutti. Non eravamo nella giusta carreggiata, ma sempre nella corsia d'emergenza. I cambiamenti erano rotatorie perenni dalle quali non riuscivamo ad uscire. Le nostre vite senza segnali stradali ci provocavano dolore e smarrimento.
Li trovai sotto un fiotto di luce azzurra, sotto un palco dove un gruppo locale emergente cantava facendo stridere le voci sui microfoni. Natasha sorseggiava una bevanda dalla cannuccia di lui. Gianmarco le sorrideva e accarezzava i capelli. Frattanto, parlava con i suoi amici. Fra di loro scorsi mio cugino.
Mi voltai.
Fu una vista inattesa. Non sapevo esattamente come mi aspettassi di trovarli. Forse l'uno in adorazione dell'altra, in un ridicolo regno di pace e devozione. Io ero –o ero divenuta- una personalità singolare e inappropriata al mondo, e anche Natasha lo era, pensavo. Anche lei non poteva essere quindi a proprio agio: al fianco di Gianmarco sicuramente non si sentiva bene, non c'era una vicinanza di idee e sentimenti, non trovava un aggancio con il mondo reale di lui. Lei era elevata e spirituale, lui un giovane maschio ardente e terreno. Eppure fui costretta ad osservare con quanta perfezione la coppia che formavano si calasse con disinvoltura nel quadro colorato della sera, nel frastuono delle genti, come un minuscolo e fondamentale tassello di un grande mosaico. Nella sua distinzione, nella sua armonia, nella sua bellezza, Natasha gioiva. Sorrideva e parlava, sorprendentemente umana e allo stesso tempo velata di etere.
Mi avvicinai al bancone del bar e urlai la mia ordinazione.
<<Ma sei pazza?>> Maddalena mi scrollò per una spalla. <<Cadrai a terra con un Angelo Azzurro. Sei a stomaco vuoto poi, scommetto. Non mangi più come una volta.>>
<<Toccare il fondo fisicamente non mi importa. L'ho già fatto con la testa.>>
Sentivo di dover lapidare me e le mie illusioni in qualche modo, entrando in contatto con quel male che ancora mi apparteneva. Presi coscienza dell'irraggiungibilità della mia meta superba: volevo essere migliore e costumata, elegante e un po' altera, un nuovo ideale di bellezza che ricalcava il mite splendore del passato. Ma questa via nella quale io stavo affondando perdendo me stessa, se mai fosse esistita nel mondo un'identità più confusa, non era per Gianmarco né buona, né interessante, né desiderabile. Lui prediligeva il chiarore di Natasha, di quella Beatrice che confinava con il più bel miracolo terreno da elogiare e lodare nella modestia di ogni suo gesto. Le riusciva così naturale! Le era così intrinseca la grazia e la dolcezza! Ed era invece così artificiale il mio estremo tentativo di giungere a quel livello supremo. Dovevo perdere contatto con il fondo e ritornare ad essere parte del mondo in cui ero nata e cresciuta: bello e orrendo, semplice e vagabondo, concreto e disperato. Io ero l'unità più scontata di quel gregge che mi era intorno e lei l'ape regina. L'avrei lasciata al suo ruolo e sarei tornata nel mio.
Scivolò via, come cacciata da un energico getto di acqua bollente, la mia volontà di incantare. Ora volevo riscattarmi e guadagnarmi una pezza di terreno glorioso, un trono effimero, solamente per quella sera. Volevo diffondere al mondo, a lui e alla sua musa, e a me stessa in un secondo momento, la conferma che ero risorta in solitudine e mi ambientavo con determinazione nella fiumana selvaggia della gioventù locale, quella romanità sbraitante e rumorosa.
Ingoiai la bevanda in pochi sorsi. Fu una sensazione piacevole e liberatoria. Sentivo le guance frizzanti e un retrogusto alcolico continuare a schiumare sotto la mia lingua. Mi guardavo intorno ad occhi aperti, attendendo un qualche effetto. Arrivò dapprima lentamente: un tepore quasi sublime, un rilassamento dei muscoli che mi chiamava a godere di più di quella soffusa ebbrezza. Ne chiesi un altro, fino a che una possente allegria non iniziò a squillare nella notte e tutta dentro di me.
Non resistetti a lungo nel pacifico groviglio dei miei pensieri che tentavano di assumere un ordine. Volevo fare astrazione delle mie riflessioni.
Quando le dissi che dovevo trovare Riccardo, Maddalena si irrigidì. Non pronunciò un suono fino a che non lo vedemmo sotto ad una grande palma artificiale nei giardini del Galaxy, intento a sussurrare qualcosa all'orecchio di una ragazza dalla rossa chioma leonina. Avrà avuto quindici anni e l'esaltazione di avere al suo fianco uno stallone di quasi venti le faceva vibrare lo sguardo di eccitazione. Gli teneva la mano sulla coscia, vicina al cavallo dei jeans.
<<Vieni sulla pista e balla con me>> gli dissi.
<<Come?>>
<<Fallo. Ti prego.>>
<<È pieno di gente sudaticcia lì dentro.>>
<<Chissà quanto sarai sudato tu lì sotto. Non ti conviene esprimere giudizi>> intervenne Maddalena.
Riccardo succhiò la sigaretta con un sorriso allusivo, poi la lanciò a terra. Alzò altero le sopracciglia e, quando mi seguì, passò accanto a Maddalena soffiandole in viso l'ultima boccata di fumo.
<<Non ti arrabbiare>> gli mormorai all'orecchio quando strinse le braccia attorno alla mia vita. <<È ferita dal tuo silenzio.>>
<<Così come te.>> Riccardo setacciò la discoteca con occhiate attente. <<Immagino che sia qui nei pressi e tu voglia cercare di farlo ingelosire.>>
Scossi la testa.
<<Se non è destino che tu stia con lui, non ci starai mai>> aggiunse.
<<Ah, voglio sbarazzarmi del destino! È la giustificazione di chi vuole arrendersi in silenzio senza ferite.>>
Ballammo in maniera sconnessa per qualche minuto. Mi sentivo ancora vigile e prudente.
<<Dimmi che ce l'hai.>>
<<Non vuoi essere più la principessa?>>
<<Sono sempre stata una strega.>>
Riccardo si guardò attorno, poi mi allungò furtivamente una pastiglia. Me la feci sciogliere sulla lingua. Intanto osservavo Maddalena appoggiata noiosamente alla parete, le braccia incrociate al petto. Dissi: <<Danne una anche a lei.>>
<<No.>>
<<Perché?>>
<<Perché questa roba qui è solamente per gente che sa che cosa vuole e che non riesce a prendersela. È un modo per essere felici nella sconfitta.>>
<<E tu sei felice nella sconfitta?>>
<<Tu lo sei?>>
Mentre annuivo, un rigurgito salmastro mi saliva in gola. Davanti a me comparve un buco nero. Di lì in poi non ricordai più nulla.
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Maddalena

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