Alessandro
Era arrivato un bel pomeriggio soleggiato, non si sentivano più i mal di testa dolorosi tipici dell'inverno e si respirava finalmente aria di primavera. Avevamo comprato delle birre e le stavamo sorseggiando. La mia era diventata calda e aveva un sapore cattivo. La versai in un tombino e tenni la bottiglia vuota stretta tra i piedi. La gente affollava Piazza del Popolo e noi rimanevamo a fissarla e a provare ad indovinare chi fosse turista e chi fosse nostrano, ma il fatto era che la gente romana se ne stava spesso a casa a quell'ora della domenica, quando è già ora di apparecchiare la tavola e di scegliere le stoviglie più belle ché arrivano i parenti a cena. Non a tutti interessano i tramonti e gli arcipelaghi di luce del nuovo cielo degli equinozi.
Poggiati ai gradoni della Fontana della Dea, allungavamo le gambe come lucertole e prendevamo il sole sulle caviglie.
<<A me non piace la primavera>> disse Emanuele. <<Porta illusione.>>
<<Ai depressi piacciono le scale dei grigi>> rispose Riccardo.
<<È sempre così infittita Roma quando arriva la bella stagione. Non mi piace.>>
<<Hai più possibilità di cuccare, Manfredi. Ti prendi una bella turista norvegese, di quelle bionde e con gli occhi chiari, e ci ricalchi sopra la tua Laura. Te la godi per un mesetto, la convinci a rimanere ancora un po' dicendole che le paghi l'abbonamento dei mezzi e che la fai girare per le boutique dei Parioli, e intanto vivi un po'.>> Riccardo prese un libro che Emanuele reggeva in mano. <<E la smetti di puttaneggiare mentalmente con questa roba. Fa' leggere... Keats. Eh, no, sta' fermo, voglio leggere e farmi una cultura, te lo restituisco subito subito... Leggiamo... Che mi ami tu lo dici, ma la tua mano... non stringe chi teneramente la stringe... è morta come quella di una statua... mentre la mia brucia di passione.>> Rimase in una pausa come estatica, a bocca schiusa. Aveva letto troppo velocemente e con tono troppo concitato per interpretare una poesia, quindi forse se la stava rileggendo mentalmente. Poi si espresse in un cenno di apprezzamento. <<Ho parlato troppo presto. È molto bella. Però non dovrei dirlo. Si sa che poi di notte è okay leggere queste cose, ma di giorno non è un po' da frocetti?>>
<<No, non è da frocetti>> ribattei io. <<Lascialo stare.>> Emanuele cambiò di posto e si mise a sedere accanto a me e continuò a leggiucchiare con la schiena curva, dondolando ritmicamente sui talloni.
<<Mettiamo un po' di musica>> fece Riccardo. Strisciò il dito sullo schermo del suo cellulare e alzò il volume al massimo. I Nickelback sciamarono lungo la piazza. <<Cazzo, troppo belli gli Anni Novanta. C'è stata la musica migliore. I più vecchi diranno che quella Anni Settanta era vera musica, ma io credo che quasi tutti sono avvinghiati alla propria epoca. Io sono nato negli Anni Novanta e ne sono fiero. Senti che roba.>> Avvicinò il cellulare al mio orecchio e a quello di Maddalena. Lo accostò anche al viso di Edoardo. Lo avevo portato con me e lo avevo sulle gambe.
<<Gli piace?>>
<<Fa sì con la testa, quindi penso gli piaccia.>>
<<Visto?>>
Quanto al resto, non riuscivo a pensare al resto. La musica, anche se finiva spesso come un brusio urbano di sottofondo o come intermezzo musicale tra una nostra frase e l'altra, mi faceva pensare a certi traguardi e me ne vidi uno, proprio in quel momento, proiettato sulla parete della fronte, che non riuscii ad ignorare. Guardavo a terra, in quei momenti difficili, quando la musica mi faceva pensare a cosa future o a cose già avvenute, e spesso le due conciliavano. Come in quel momento, che mi venne in mente cosa mi aveva detto mio padre, e poi fui sbalzato di nuovo verso il presente e mi chiesi se quella canzone sarei mai riuscito a dedicarla a qualcuno di importante, perché il testo mi pareva importante e degno di nota, e se riuscivo a capirlo da me, voleva dire che avevo una minima e vaga idea di come si costruiscono i sentimenti attorno all'arte e alla musica e alla poesia e ad altre cose.
Avvolsi un braccio attorno alla vita di Maddalena, con molta cautela. Non riuscì a nascondere i suoi grandi occhi blu, spalancati come due soli durante un'eclissi.
<<Ascolti anche tu questo tipo di musica?>> le chiesi.
<<No. Mi piacciono cose più leggere e meno schitarrate.>>
<<C'era da intenderlo.>>
<<Non è vero.>> Riccardo si sporse verso di noi. Mi parve che avesse notato la mia presa stretta attorno ai fianchi di lei e che vi fosse sorvolato sopra con un'abile indifferenza di sguardi. <<Sembra una tipa da Coldplay e da altre meno talentuose band di fighetti che stonano davanti ad una platea di femminucce sboccanti, ma quando le ho fatto ascoltare i Green Day mi aveva detto che le piacevano.>>
<<Sì, va beh.>>
Poi mi distrassi, con Carla che arrivò schizzando sulla sua bici, pesante come un sommergibile, e che inchiodò poco distante da un baracchino ambulante di gelati, e tolsi la mano. Aveva due bambini con sé, uno seduto sul cestino davanti e uno sul portapacchi posteriore, e lei teneva posate le mani traballanti sul manubrio e si sporgeva pericolosamente tutta verso un lato per guardare la strada. Le sue ruote scalciarono un'ultima volta e, nel tentativo di smontare di sella in tutta fretta ma con grazia, ruzzolò a terra. I bambini saltarono giù.
<<Non credevo ti fossi accoppiata con qualcuno, Carletta.>> Riccardo fece saltare il tappo di una Pals e gliela allungò.
<<Mi somigliano, vero?>> Carla strinse le guance dei ragazzini e fece voltare loro la mandibola a destra e a sinistra, mostrandoceli in viso. Ci disse che erano i suoi fratelli. Avevano una fisionomia ancora bambinesca, ma erano lo spettro della sorella, con lo stesso naso un po' lungo e la stessa curvatura rotonda degli occhi. <<Dove diavolo sei riuscito a trovarla una Pals?>>
<<Hai preso la migliore. Ne avevamo comprata solo una, giusto per essere meno pezzenti. Attenta. Sai com'è.>>
<<Che ci fanno con te?>> chiese Maddalena.
<<Sono la loro sorella. Tu non hai mai portato in giro tuo fratello?>>
Il respiro ci si spense dentro all'improvviso. Carla sussultò.
<<Scusami, davvero. Non ci ho pensato.>>
<<Che ha?>> disse uno dei gemelli fissando Edoardo. <<Sembra matto.>>
<<Si innervosisce quando ha a che fare con persone poco intelligenti, quindi fa così>> rispose Riccardo.
<<Non possono mica saperlo!>> esclamò Carla.
<<Smettetela>> dissi.
Pensammo che quella conversazione non aveva più molto senso, e cambiammo argomento. Parlammo della scuola mentre sotto battevano furiosi i piatti metallici della batteria dei Linkin Park. Creava una sorta di atmosfera, In The End, perché riusciva a trasmetterti il peso significativo di una fine e d'un tratto ti sentivi estremamente in colpa per aver mancato ad una certa responsabilità nella tua vita.
Avevamo tutti e tre l'esame quell'estate, io, Maddalena e Riccardo. Ci guardammo negli occhi.
<<Avete iniziato a studiare voi?>> chiese Maddalena.
<<Qualcosa>> dissi.
Riccardo scosse la testa. <<Faccio cose molto più intellettuali che sedere cinque ore ad un banco oltretutto sporco e imbrattato di scritte a pennarello dalla punta extralarge risalenti alla metà degli anni Ottanta, quando la gente si appuntava le canzoni dei The Police.>>
<<Tipo?>>
<<Tipo stare con voi. Ma vi sembra semplice organizzare queste uscite di gruppo? Richiede un certo sforzo, un impegno mistico>> spiegò. <<Siamo tutti degli sfigati, a modo nostro, e insieme facciamo dei bei gregari sfigati.>>
<<Ecco perché io ho abbandonato prima della matura>> disse Carla. <<È una palla inutile, e alla fine tutti quei crediti che ti rifilano te li sbatti sapete dove come i bollini-premio dei supermercati.>>
<<No, tu hai lasciato perché sei una capra>> replicò Riccardo.
<<Sei tu quello che è stato bocciato.>>
<<Oh, ma io mi sono fatto bocciare per una ragione che non vi dirò. Certo, mi riusciva un po' difficile capire perché nella vita devo incidere parabole su assi cartesiani, ma insomma, ce l'ho sempre fatta. E poi, vuoi mettere essere il più grande di tutta la classe? Quando ho compiuto diciott'anni mi sentivo una bestia, dannazione. Potevo finalmente andare a votare, e tutti gli altri mi guardavano come una semidivinità, perché ero in grado di dare una svolta al futuro del nostro paese. Se lo avessi voluto, ecco. Non so se ci sono ancora i socialdemografici o i cristiani o quel che è...>>
<<Ci sono altri partiti, ora>> disse Carla squadrandolo con un certo allarmismo nello sguardo. <<Poi non dire che è Emanuele quello che vive anni addietro.>>
<<È che l'italiano medio se ne sbatte della politica. Non crede di poter influenzare il proprio paese attraverso una spunta su un foglio di carta. Non riesco neanche a finire un cruciverba semplificato, figuriamoci. Gli italiani non si alzano a protesta, si lasciano trascinare giù fino al fosso e poi quando stanno per annegare chiamano aiuto, ma hanno già le caviglie concatenate e vengono spinti verso il fondo. Hai mai sentito parlare di Rivoluzione italiana? Gli americani, gli inglesi, i russi e quegli snob dei francesi eccome se ne hanno fatte! Perché loro hanno le palle di dire basta. Sono gli stessi che appendono la bandiera fuori dalla finestra. Nel nostro paese di merda non cambierà mai nulla.>>
<<Non cambierà mai nulla finché c'è gente come te che continua a dire che non potrà mai cambiare nulla>> risposi. Mi infastidiva la sua sfiducia e mi faceva diventare le membra gonfie e brucianti. Avevo voglia di andarmene.
<<Oh, Altieri, ma tu sei garibaldino! So che moriresti senza conforti religiosi per salvare il culo alla tua terra. Ma io no, capisci. Io tutto questo spirito nazionalista non lo sento e non credo mai nessuno potrà farmelo sentire. E poi con i soldati non si può parlare. Siete tutti troppo... patrioti.>>
<<È fine marzo. Io tra un mese mi iscrivo al secondo bando di reclutamento>> dissi.
<<Niente Accademia quindi?>>
Feci spallucce.
<<Sei un coglione. Cosa te ne frega se i tuoi cercano di impedirtelo? Quanto mi stanno sulla punta, non puoi capire. Tu provaci. Sei maggiorenne, non possono dirti nulla. E poi è la volta buona che ti fai una di quelle litigate pesanti, di quelle che sbatti la porta e dici che vai a prendere il treno e ti levi dalle palle, ma in realtà vai solo a casa di un amico a chiedere alloggio e conforto, e quell'amico sono io. Sai, ora ho un letto vuoto. Ti piacciono le pareti rosa con i poster di Alain Delon, Tom Welling e poi pure Leonardo DiCaprio? Secondo me mia sorella ci faceva delle cose con quelle foto appese per la stanza.>>
<<Beh, anche io praticherei autoerotismo sotto la supervisione di DiCaprio>> osservò Carla.
<<Attappagli le orecchie a quei bambini!>> esclamò Maddalena indicando i due gemelli.
<<Ma cosa! Devono crescere. Se la saranno sparata anche loro qualche sega, no?>>
<<Diobbuòno.>>
<<È un nuovo tipo di proiettile?>> chiese Emanuele, alzando la testa dal suo libro.
<<Cosa?>>
<<Hai detto sparata qualche sega. Cosa si spara? Come si fa a sparare una sega?>>
<<Eh, beh, ma ci vuole la pistola...>> disse Riccardo.
<<Zitto, perdio!>>
<<Ma quanto è fuori dal mondo? Regaliamogli un dizionario urban italian. Crede ancora nei cori di verginelle vestite di bianco che vanno in chiesa la domenica con le gonne alle caviglie.>>
<<Che poi chi è figlia di Maria...>>
<<Ne hai un'altra?>> chiese Carla guardando Riccardo.
<<Di cosa?>>
<<Di Pals. Anzi, due.>>
<<Ti ho detto che ne avevo solo una. È gradata otto punto cinque. Deve ancora salirti la botta? Sai, se vuoi ce ne possiamo far salire una tutti insieme.>>
<<Quanto hai in tasca?>>
<<Cinque euro...>> Riccardo sfilò fuori dalla tasca la banconota e Carla l'acciuffò.
Poi d'improvviso capii. Mi tesi tutto e bloccai Carla per il polso prima che si alzasse. <<Non servono a te due Pals. Sregolata sì, ma non così tanto.>>
Ci esibimmo in un gioco a forza l'uno per sfilare dalla mano dell'altro la banconota. Non volevo farle male, quindi non esercitai troppa pressione. I cinque euro si strapparono in due tronconi grigi e Carla mugolò forte.
<<Vedete perché non voglio frequentare gente troppo perspicace?>>
<<Non puoi far bere loro una Pals! Brucerai loro i neuroni!>>
<<Alla loro età io e Ciotti rullavamo l'erba, che cosa vuoi che sia una Pals?>> Carla andò verso la sua bicicletta e assestò un calcio al cavalletto. Guardò Riccardo. <<Non si può frequentare sempre gente perbene. Vieni tu con me. Voglio far assaggiare loro qualcosa.>>
Riccardo si alzò, ma non rispose. Si limitò solamente a raccogliere le nostre bottiglie di birra vuote e a tenerle tra un dito e l'altro.
<<Allora?>>
<<Sono d'accordo con Alessandro.>>
Carla soffiò, trascinò i fratelli verso la bicicletta e salirono tutti e tre. Se ne andò senza neppure guardarci in viso. Poco dopo sparì pedalando dietro la fontana.
<<Io la capisco, sapete?>> disse Riccardo, mentre rimanevamo a guardare il punto in cui la bici si era rimpicciolita fino a dissolversi. Si udì il clangore acuto delle bottiglie vuote che scaraventammo in un cestino.
<<Non la giustificare>> risposi. <<Sono i suoi fratelli.>>
<<Il rapporto tra di loro non è come quello che hai tu con lui.>> Accennò con la testa verso Edoardo. <<A volte bere con qualcuno è l'unico modo per farsi ricordare. È uno di quei ricordi che non muore mai.>>
Il tono della voce era rimasto fermo, ma gli scendevano negli occhi tante immagini. Mi stupiva sempre il modo in cui riusciva a trascrivere gli altri nei paragoni con la sua vita.
Mentre ci incamminavamo, mi sentivo pizzicare addosso la rabbia di non averlo capito anche io. Non ero molto perspicace. Ero rigido e mio padre aveva ragione.
Ci guardammo, con la sensazione di non poter mai capirci del tutto.
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Capitolo un po' più dialogico. Fatemi sapere che cosa ne pensate! Grazie mille a tutti.
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I cinque nomi di Roma
Fiksi UmumLa storia tratteggia le vite di cinque amici che vivono a Roma, un sottofondo pulsante e onnipresente, che annebbia agli occhi altrui le personalità di Maddalena, adolescente sensitiva dotata di poteri di chiaroveggenza, innamorata del bell'Alessand...