Capitolo 33

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Carla

Quando riaprii gli occhi sentii odore di alba. Si percepiva dall'immobilità delle cose: la lampada sul comodino, il cassettone di legno, il letto.
Mi accorsi dopo qualche momento che tutto ciò non mi apparteneva. Mi misi a sedere di soprassalto, guardandomi attorno spaventata.
<<Tranquilla>> mi disse una voce. <<È tutto a posto.>>
Maddalena accarezzava il manico di una tazza arancione che recava in mano. La appoggiò sulla scrivania incassata tra due colonne di mensole riempite di testi scolastici.
<<Alessandro ti ha comprato qualcosa in pasticceria. Tra poco dovrebbe arrivare.>>
<<Perché sono qui?>>
<<Ci hai chiamato perché avevi un attacco di sonno e non saresti riuscita a prendere la metro per tornare a casa>> intervenne Riccardo. Neppure mi ero accorta della sua presenza. Sostava accanto alla porta con le gambe intrecciate e le mani infilate nelle tasche dei jeans. Indossava una polo che non avrei mai detto si addicesse con il suo stile.
<<E perché non mi avete portato a casa mia?>> chiesi sospettosa.
<<Una nottata tra amici, tutto qui. Cosa vuoi che sia!>> Maddalena mi porse una tazza di caffé. <<Ti aiuterà a svegliarti.>>
La ricevetti tra le mani. Il calore che emanava, che si insinuava bollente sotto la mia pelle, bastò a cacciare gli ultimi residui di sonno. Gli occhi però mi pizzicavano. Portai l'indice sulle ciglia inferiori e raccolsi una lacrima.
Distinsi la figura di Emanuele seduta sul bordo del letto.
<<Stai bene?>> mi domandò, sporgendosi verso di me.
<<No. Ho la vista ancora appannata e mi gira la testa.>> Sorseggiai il mio caffè.
<<Ci credo!>> esclamò Riccardo. <<Ieri ti sei sparata un cannone. Di quelli potenti poi. È sempre un po' difficile riaversi.>>
<<Javier non voleva fumare, allora l'ho fatto da sola.>>
Catturai una sequenza di occhiate che i miei amici si scambiarono, in silenzio.
Mi alzai, e il contatto con il pavimento freddo mi allarmò. <<Non ricordo di averlo salutato.>>
<<Eri distrutta>> disse Maddalena.
Vidi un tassello della mia sagoma riflessa su un piccolo specchio ovale accanto alla porta. Indossavo una camicia da notte rosa, orlata da una bordatura in pizzo sulle ginocchia.
Sollevai un sopracciglio. <<Sul serio?>>
<<Era l'unica che avevo che non ho mai usato. I tuoi vestiti sono a lavare>> spiegò Maddalena.
Mi tastai con violenza il petto. <<Non ho il reggiseno!>>
Riccardo fece slittare gli occhi al cielo e schioccare la lingua sul palato. <<Tranquilla. Non mi traumatizzi. Ne ho viste tante di tette in vita mia.>>
Mi voltai verso Emanuele. Lui sollevò i palmi aperti.
<<Anche io>> disse.
<<Nei quadri>> gli fece eco Riccardo. <<Specifica.>>
Suonarono alla porta. Poco dopo Alessandro entrò con un vassoio di cartone sigillato dentro un pacco rosa.
<<So che ti piacciono le meringhe, ma non credo che di prima mattina... sai...>> esordì.
Mi stupii che se ne ricordasse. <<Non importa.>> Scrollai le spalle e accennai un sorriso di ringraziamento. Chiesi loro se volessero assaggiare qualcosa. Scossero tutti la testa allo stesso momento, come uniti da una silenziosa e prestabilita sincronia.
Finii l'ultimo pasticcino alla crema seduta sul pavimento del balcone, che dava su una strada un poco malridotta, ma la luce rosata e tenue dell'alba alleggeriva e puliva l'atmosfera. Le ultime stelle della notte sbiadivano in cielo, piccole come lentiggini d'argento.
Incassai il capo tra le ginocchia. Vedevo i riflessi dei miei amici alle mie spalle attraverso la ringhiera in metallo. Li guardai. Maddalena ed Emanuele si sedettero.
<<Qualcuno ha una sigaretta? Mi va di fare un tiro>> dissi.
<<No. Ora ascoltaci.>> Maddalena mi posò una mano sulla caviglia. <<Perché passi così tanto tempo con Javier?>>
Mi irrigidii. <<Lo sapete il perché! Sono una delle sue fotomodelle.>>
<<Tu conosci il tipo di foto che ti scatta?>>
<<Certo che le conosco. Dice che il corpo femminile è un'opera d'arte e che dovrebbero goderne tutti. Ecco perché ha scelto la fotografia come mezzo di condivisione della bellezza.>> Sospirai. <<O almeno così dice lui.>>
<<Cosa ci fa con le foto che ti scatta?>> domandò Alessandro. Pareva un agente inquisitore, con quelle mani infilate nelle tasche dei jeans e il bacino leggermente proteso in avanti.
<<Lui niente, credo.>> Mentre parlavo mi accorsi che ogni mia risposta veniva commentata tacitamente da una serie di sguardi scambievoli e fissi tra tutti loro, ma decisi di non badarvi. <<Cosa ci faccio io, vorrai dire>> lo corressi. <<Ho raccolto le più belle in un album e l'ho regalato a mio padre.>>
<<E lui?>> domandò Riccardo.
<<E lui... e lui niente. Dubito che gli siano piaciute. O che le abbia guardate per più di qualche istante.>>
Riccardo uscì dalla camera senza proferire parola. Restammo in silenzio a contemplare la mutevolezza del giorno. Mi piaceva il rincorrersi di luci ed ombre, il modo in cui i colori si scacciavano a vicenda. Sentivo freddo ai piedi. Li nascosi sotto la vestaglia ripiegando le gambe sotto le cosce.
<<Che giorno è oggi?>> chiesi ad un tratto.
<<Mercoledì.>>
<<Non dovreste essere a scuola?>>
Alessandro fece spallucce e si agganciò le ginocchia con le braccia. <<Non importa.>>
Mi alzai. <<Io invece dovrei farmi venire a prendere da qualcuno. Da Alberto magari.>> Mi piegai sul letto, sollevando il cuscino e tastando le lenzuola. Neppure sull'attaccapanni dietro la porta su cui era appesa la mia borsa a tracolla riuscii a trovare nulla.
<<Dov'è il mio cellulare?>> chiesi.
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Riccardo

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