Capitolo 31

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Maddalena

La mia allucinazione onirica stava per finire. Lo percepivo da una nuova flessibilità delle spalle, una rigenerante sensazione di tornare al proprio posto. Tuttavia avrei preferito continuare a parlare a sagome anonime, offuscata da uno stato di parziale incoscienza che mi faceva cogliere solamente brusii attutiti. Aprii gli occhi e sobbalzai. Alessandro si piegò e mi sorresse per le spalle.
<<Ne sei sicura?>> mi sussurrò, prendendo la rivista dalle mie mani.
Alle sue spalle, Emanuele si era fatto calare il bastone da passeggio sulla fronte e il suo viso sembrava spartito in due. I suoi occhi erano sgranati. <<Sì, è lei.>>
Riccardo taceva. Sembrava sul punto di dover contenere una sfuriata o decidere a quale emozione abbandonarsi per prima. Gli si stava arrossando la mascella. Iniziò a deglutire. Le sue narici prima si aprivano, poi si stringevano. Paventavo la possibilità che uscisse dalla sala impetuoso come un toro.
<<Perché avrebbe deciso di posare mezza nuda per un servizio fotografico di cui può godere mezza Spagna?>> chiesi sottovoce, come se stessi parlando tra me e me.
<<Perché non lo ha deciso lei>> replicò Emanuele. <<Io l'ho vista quando posava per Javier. Non era il successo che cercava. Lei voleva solo autoaffermazione. Non le interessava ricevere consensi spagnoli.>>
<<E poi ce l'avrebbe detto.>>
<<Javier l'ha manipolata>> continuai.
<<A che scopo?>> domandò Emanuele.
<<Non lo so. Non sappiamo nulla.>> Alessandro si rialzò, ma barcollò un poco. Si portò una mano in mezzo alla fronte e si massaggiò lungo la linea del naso. <<Non dobbiamo trarre conclusioni affrettate.>>
<<Certo che no>> intervenne ora Riccardo. Raccolse lo zaino di Alessandro da terra e glielo lanciò contro il petto. <<Ma affrettarci per scoprire cosa è successo sì.>>
Non guardò in faccia nessuno quando dispose inflessibile che lo seguissimo, neppure me. Fissava un punto indistinto sul pavimento senza lasciarsi intralciare dall'istinto di mostrare che cosa gli stesse bollendo dentro. Sapevo che l'offesa arrecata a Carla aveva scoperto una discrepanza nel suo concetto di amicizia. Pronto com'era sempre stato a medicare le ferite altrui –quelle di tutti noi-, anche se il nostro sangue o il nostro dolore non avrebbe in alcun modo influenzato la sua vita, partì come un auriga verso la porta e noi, fedeli e fidati, lo seguimmo silenziosamente.
Poco dopo aver varcato la soglia, mi ricordai di Antonella. Era rimasta statuaria ad ascoltarci senza comprenderci, a vederci senza guardarci, ad attendere una parola dal giovane che l'aveva sedotta senza ricevere neppure uno sguardo. Mi voltai. Lessi nel suo sguardo la cruda consapevolezza di essere stata estromessa da un invito, di essere fuori dai giochi, fuori dalla nostra amicizia, lontana dalle nostre vite. Anche da quella di Riccardo. E, in qualche sadico modo, il mio cuore vibrava di soddisfazione.
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Prendemmo la Mercedes di Alessandro. Lui si mise alla guida e Riccardo si sedette sul sedile del passeggero. Il cappotto nero di Emanuele si apriva in larghe falde, occupando i sedili sul retro. Mi rincantucciai in un angolo, dal quale riuscivo a vedere il profilo di Riccardo e la luce che i lampioni spargevano sui suoi occhi verdi insondabili. Aveva le ciglia chiare e i capelli sembravano essere più ramati del solito. Mi ricordai di quando eravamo bambini e invidiavo la sua chioma fulva che si accompagnava con una spruzzata di lentiggini attorno agli occhi. Ora stava diventando molto più maturo e per me era difficile da sopportare. Un accenno di barba incolta lungo le sue basette mi fece trasalire. Distolsi lo sguardo e lo spostai su Alessandro. I suoi occhi neri, invece, erano molto più intelligibili. Mentre quella di Riccardo poteva essere scambiata per furia, quello di Alessandro era un istinto di protezione quasi paterno. Incurvò le sopracciglia, sovrappensiero, come un padre apprensivo per un figlio di cui non riesce più a prevedere i movimenti.
Non lo avevo mai visto guidare. La notizia della diffusione di alcune foto di Carla su una rivista spagnola mi aveva certamente fatto cadere in uno stato di profonda agitazione e inquietudine, ma mi ricavai un lungo minuto di intimità e di chiusura al mondo per guardare Alessandro.
Il modo in cui faceva scivolare entrambe le mani sul volante era delicato e ponderato, così come la precisione con cui cambiava le marce. I movimenti erano decisi ma puliti. Aveva le maniche della camicia arrotolate fino al gomito e anche nella penombra dell'abitacolo riuscivo a vedere le sue vene gonfiarsi. Immaginai che fossimo soli e mi stesse portando fuori città, oppure in un vicolo deserto di Roma che nessuno conosceva. I nostri sguardi si incontrarono nello specchietto retrovisore. Ci guardammo a lungo, come per assicurarci che i nostri pensieri coincidessero. Ebbi la certezza –o l'illusione- che per lui fosse lo stesso, identico, giovane sogno.
Riccardo, invece, aveva una guida più frenetica e nervosa. A volte gli piaceva tenere la guida con le ginocchia, come un ciclista provetto che azzarda ad abbandonare il manubrio con ostentazione. Non stringeva mai le dita attorno al volante, ma, con disinvoltura e sicurezza, adagiava il gomito sinistro accanto al finestrino e con la mano destra teneva il ritmo di un motivetto alla radio. La musica doveva essere sempre accesa nella sua Ford Ka, ma doveva inebriarsi di canzoni turbolente dalla vena elettrica. Appena udiva un cenno al pianoforte, cambiava stazione. Ora che il buio della sera si accompagnava ad un silenzio scettico e quasi funereo, lo vidi a disagio.
<<È al Portuense. Mi ricordo quando mi ha portato con lei>> disse Emanuele.
Riccardo si sporse verso il parabrezza, assottigliando gli occhi. <<Dove stai andando? Avresti dovuto svoltare prima. Così vai al Colosseo.>>
Alessandro si fermò di schiantò ad un semaforo. Si massaggiò gli occhi chiusi. <<Non vedo niente.>>
Lo fissammo, in silenzio, i volti interrogativi.
La sua voce era impastata e, quando riaprì gli occhi, il suo sguardo apparve sonnolento e stralunato. <<Mi si è abbassata la vista.>>
<<È il Campari>> dichiarò Riccardo. <<Non sei abituato.>>
<<Ne ho bevuto solamente un goccio per stare in compagnia.>>
Capii che la sua non era solamente una guida elegante e rilassata, ma più un modo poco prudente di vivere un'ubriacatura. Più procedevamo, più il buio si faceva fitto e il traffico ingolfato. Incontravamo potenziali pericoli a cui Alessandro non riusciva a tener testa se non con sbandamenti che ci portavano ai margini della strada: un gatto che attraversava, un'auto in sorpasso, un motorino in mezzo alla carreggiata.
<<Accosta>> gli suggerì Riccardo.
<<No>> rispose perentorio Alessandro, offeso. <<Ce la faccio.>>
<<Fai come ti dice>> intervenni, e cercai di muovere un cenno d'assenso per incoraggiarlo, ma Alessandro non rispose.
Intanto alla nostra sinistra si scorgeva, lontano, il Tevere. Anche le sue acque barcollavano come noi, ma ondeggiavano sicure della destinazione. Noi, invece, eravamo pallidi e sfiduciati.
Gli occhi di Alessandro sembravano sempre più bendati. Notai le sue palpebre abbassarsi pesanti, con lentezza, come una serranda tirata giù con noia. Poi, in uno scatto fulmineo, raddrizzava il collo, gli occhi spalancati.
Attraversammo un semaforo.
<<Sei passato con il rosso!>> gridò Riccardo gesticolando e voltandosi. La sua espressione si fece apprensiva e spaventata.
Visibilmente agitato, Alessandro tentò comunque di calmarsi. <<Non mi ha visto nessuno.>>
<<E invece sì>> replicò Riccardo.
Sentii il sangue defluire sulla punta delle mie dita.
<<Perdinci, Altieri!>> esclamò Emanuele gettando un'occhiata oltre il parabrezza posteriore. <<Ci sono i tuoi compagni.>>
Non dovetti girarmi per sapere chi ci stava seguendo alle nostre spalle, chi stava premendo energicamente i palmi delle mani sul clacson per attirare la nostra attenzione. Chiusi gli occhi, inspirando tanto a lungo da gonfiarmi il petto e impedirmi di parlare. Qualunque cosa avessi detto o fatto, Alessandro, fragile come lo vedevo in quel momento, con gli occhi neri terrorizzati e un poco lucidi fissi sullo specchietto retrovisore, sarebbe esploso in un attacco di panico, come una presa elettrica folgorata da una goccia d'acqua.
<<Ti stanno ordinando di accostare>> aggiunse Emanuele.
<<Non farlo>> ribatté Riccardo.
L'auto dei Carabinieri alle nostre spalle si confondeva nel buio, ma i suoi fari sfarfallavano puntati su di noi come i sinistri occhi di un gatto nero.
Fu in quel momento che Alessandro sfociò in un pianto nervoso e isterico, sbriciolandosi in un torrente di umanità. Sbatté le mani sul volante e prese a tremare. Non si accorse di dover cambiar marcia, tanto gli era impedito l'uso della ragione. Lo fece Riccardo per lui.
<<No, no, no, no>> iniziò a ripetere senza prendere fiato. Singhiozzò. <<Io non posso... Io non dovevo farlo... Non potrei neppure guidare quest'auto a diciott'anni... Mi sono compromesso il futuro... Se mi scoprono non posso più entrare, non posso più entrare, non posso più entrare...>>
<<Dove?>> domandò Riccardo.
<<Nell'esercito!>> urlò. Non credevo che la sua voce potesse avere una tale potenza distruttiva. Mi fece tremare quasi la mandibola. Poi tornò a discendere, fievole. <<Devo essere pulito...>>
A quel punto, Riccardo si slacciò la cintura. Slacciò anche quella del suo amico.
<<Che stai facendo?>> borbottò Alessandro. <<Sei idiota? Tra poco ci sparano e tu cerchi di peggiorare le cose?>> E cercò di trovare il bandolo della cintura, ma questa era già stata risucchiata dal riavvolgitore.
<<Vuoi poter sparare anche tu un giorno?>> disse Riccardo. <<Allora facciamo a cambio.>>
<<Cosa?>>
<<Vengo io al tuo posto. Muoviti.>> Tentò di scavalcare il freno a mano, ma Alessandro ancora rimaneva inchiodato al sedile, incapace di reagire.
<<Ma anche tu sei ubriaco...>>
<<Ma cosa dirai! Lo uso come bagnoschiuma, io, il Campari.>> Eppure scorgevo anche negli occhi di Riccardo un leggero bagliore, e nella sua parlata una pronuncia un poco strascicata.
<<E se ci vedono?>> Alessandro si voltò verso di lui con il volto striato di lacrime.
<<È buio.>>
<<Non voglio che tu vada nei guai al posto mio... >>
<<Io sono già un fallito. Tu meriti il futuro che ti sei scelto, invece.>>
<<E se ti chiedono la patente e il libretto? Questa non è la tua auto... Ci sono i documenti miei.>>
I Carabinieri ci stavano taccheggiando.
<<Vorrà dire che sprofonderò il piede nell'acceleratore e li seminerò.>>
<<No! Non fuggirai mai dalle forze armate in mia presenza!>>
Riccardo afferrò Alessandro per i capelli, finché non lo costrinse a strisciare verso il sedile del passeggero chinando la testa. Furono svelti e agili. Dopodiché ognuno allacciò la propria cintura.
<<Se scappi giuro che ti uccido.>>
<<Sta' zitto.>> Riccardo posteggiò davanti ad un cassonetto dei rifiuti. Il finestrino che veniva abbassato cigolò.
Vidi Alessandro prendersi la testa tra le mani e tapparsi le orecchie con i pollici. Anche Emanuele era agitato: mi prese la mano e me la strinse. Pensai a Carla che aveva bisogno di noi e alle complicazioni che ci stavano facendo ritardare la nostra folle missione di farle aprire gli occhi sulle disgrazie della sua vita.
<<Scenda dall'auto immediatamente.>>
Riccardo fece come gli venne chiesto. Avvicinai la testa al finestrino. Sotto il cappello stemmato da carabiniere, si nascondeva un uomo alto e slanciato con il naso a punta e il mento che slittava all'insù, come attorcigliato. Aveva un che di francese, pensai, nel modo in cui increspava le labbra, ma poi mi resi conto che era solamente il suo modo di riflettere. Inclinò il capo sulla spalla.
<<Ma tu sei il figlio di Ciotti.>>
Riccardo non rispose. Nelle mie orecchie –o forse nella mia testa- riuscivo a sentire le palpitazioni sostenute del suo cuore.
<<Se non fosse stato per tuo padre, avrei già cambiato quattro auto.>>
Riccardo sorrise, in silenzio.
<<Hai bevuto?>> chiese l'ufficiale, sospettoso.
<<Certo che no. Ho dimenticato gli occhiati da vista a casa e non ho saputo distinguere il rosso. Mi dispiace>> si giustificò.
E il carabiniere lo lasciò andare senza altre insistenze, se non la raccomandazione di non farsi più <<beccare in giro>> in quello stato. Gli diede una pacca sulla spalla. Quando salì in auto, lo vedemmo discutere con il suo collega. Ma scrollò le spalle e andò via.
<<Lo conosci?>> chiesi a Riccardo quando fu salito.
<<Ti ricordi quando ti dissi che avevo trovato un paio di Beats nell'auto di uno sbirro che faceva avanti e indietro da Singapore durante le estati? È lui. E' dell'Ostiense come me e te, mio padre gli ha aggiustato tre motori. Le sue Volkswagen non godevano di una buona stella.>> spiegò. <<Però, ecco, credo che non si sia mai accorto del mio furto.>>
Alessandro buttò fuori un sospiro di sollievo. Lo guardò e, con occhi grandi e sinceri, velati di emozione, sussurrò: <<Mi hai salvato la vita.>>
Quando si guardarono, vidi l'amicizia che li univa. Mi chiesi però se Alessandro avrebbe mai fatto la stessa cosa.
Riccardo annuì. <<Lo so.>>
Ripartimmo. Allungai una mano oltre il sedile del conducente e strinsi il braccio di Riccardo, lì dove il bicipite creava un rigonfiamento. Poi gli accarezzai i capelli. Sentii la sua pelle d'oca nascere sotto le mie dita. Sapevo che lo stava reputando come un ringraziamento. Era in errore. In realtà, le mie mani gli stavano dicendo che non eravamo noi a meritare una vita migliore, ma lui a meritare qualcosa che nessuno gli aveva mai veramente dato. E quanto, in quel momento, avrei voluto poter esaudire ogni suo desiderio!
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In questo capitolo ho voluto lasciar spazio all'amicizia che lega Riccardo ad Alessandro. E alla (forse temporanea) uscita di scena di Antonella. Che ne pensate?
Buona giornata a tutti!

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