Capitolo trentatré.

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"Lui era il mio Nord, era il mio Sud, era l'Oriente e l'Occidente,
i miei giorni di lavoro, i miei giorni di festa.
Era il mezzodì, la mia mezzanotte, la mia musica, le mie parole.
Credevo che l'amore potesse durare per sempre: era un'illusione."

Harry chiuse il taccuino che qualche ora prima Louis gli aveva regalato, sospirando profondamente. Il minore era sul suo letto che dormiva beato, mentre lui non riusciva a prendere sonno. Ogni volta che chiudeva gli occhi s'immaginava quelli tristi e delusi di Louis quando sarebbe venuto al corrente di tutto.

Harry non trovava pace. Non voleva far del male a Louis, ma inconsapevolmente lo stava già facendo. Voleva soltanto che tutto ciò finisse. Non aveva più voglia di vedere Louis entrare in casa con un sorriso sereno, felice, mentre lui ogni volta moriva dentro sempre di più.

Il maggiore si portò le mani tra i capelli e socchiuse gli occhi, respirando profondamente. Si alzò poi dal divano per avvicinarsi al letto ed osservare il volto rilassato del più piccolo, seminascosto dalle coperte. Sorrise tristemente, allungando un braccio per spostargli il ciuffo dalla fronte.

Louis si mosse e aprì piano gli occhi. Sorrise debolmente, non appena si trovò il volto del maggiore di fronte al suo. «E' già mattina?» mugugnò, con voce assonnata.

Harry ridacchiò e scosse la testa, accarezzandogli i capelli. «Allora perché sei in piedi?» continuò Louis.

«Dovevo andare in bagno» mentì, tornando poi sotto le coperte, al suo fianco. Subito Louis si poggiò sul suo petto, ed Harry lo strinse fortemente, chiudendo gli occhi e nascondendo il naso tra i suoi capelli, inspirandone l'odore. Nemmeno a quel punto, riuscì ad addormentarsi.

Qualche ora più tardi, Louis salutò Harry per andare al lavoro, e quando il maggiore si ritrovò da solo in quell'appartamento, fu invaso da mille pensieri. Pensieri che avevano un unico obiettivo: smettere di fare del male a Louis.

E decise, quindi, di mettere in pratica quell'idea.





Louis inarcò un sopracciglio quando ripartì, per la dodicesima volta, la voce femminile della segreteria telefonica. Sospirò, poggiando il cellulare sulla gamba.

«Perché quella faccia?» Niall entrò in camera proprio in quel momento, trovando il suo migliore amico seduto sul letto con un'espressione pensierosa in volto.

«Harry non mi risponde. Dopo il lavoro sono andato a casa sua, ma non era in casa, non ha risposto al citofono. Ho provato a chiamarlo una decina di volte da allora, e le prime volte squillava a vuoto, adesso parte direttamente la segreteria. Non capisco» Louis sospirò, frustrato, scompigliandosi i capelli.

Niall si sedette al suo fianco, con la fronte corrugata. «Ma tra di voi è tutto apposto? Avete litigato?»

«No, non abbiamo litigato, anzi. Fino a stamattina siamo stati benissimo. L'ho lasciato alle tredici per il lavoro, e da allora è sparito» spiegò.

«Torna a vedere se è in casa, no?»

«Sicuramente non lo troverò» sbuffò, lanciando il cellulare sul letto all'ennesimo tentativo malriuscito di chiamarlo.

«Lou restando qui a chiamare non concluderai nulla. Vai sotto casa sua, fatti aprire il portone da qualcuno e sfonda la porta» gli suggerì il biondo.

Louis lo guardò titubante, mordicchiandosi il labbro inferiore, ma dopo qualche minuto di tentennamento annuì, respirando profondamente. «Okay, vado» disse, riprendendo il cellulare da dove l'aveva lanciato. Indossò la giacca e corse via.

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