Capitolo ventisette.

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Nonostante tutto, Louis il giorno successivo era di nuovo in ospedale. Anche se si era promesso di non tornarci, la voglia di rivedere Harry era più forte di tutto. Era per quel motivo che Louis non sapeva più che cosa voleva. Da un lato, c'era il dolore che tornava a farsi presente nel momento in cui pensava ad Harry, dall'altro lato, invece, c'erano le emozioni belle e positive che continuava a provare stando accanto al più grande.

Era come una contrapposizione tra testa e cuore. Il primo gli diceva di starsene il più lontano possibile da tutto ciò che riguardava Harry, mentre contemporaneamente, al contrario il cuore gli suggeriva di lasciarsi andare totalmente a lui, gli suggeriva di pensare unicamente all'amore che provava nei suoi confronti, che riusciva ad essere più forte del dolore e della delusione.

«Quindi hai chiarito con tua madre» Harry lo riscosse dai suoi pensieri e Louis annuì, dopo essersi schiarito la voce e mosso a disagio sulla solita poltrona. Il maggiore lo scrutò attentamente, prima di sospirare.

«Perché mi racconti cavolate?»

«Non..non è una cavolata» ribatté Louis, deglutendo.

Harry roteò gli occhi. «Se per te era opprimente vivere insieme, bastava dirlo. Non mi sarei offeso.»

Il minore respirò profondamente, abbassando lo sguardo, senza dire una parola. «Sei andato a stare da Niall?» Louis annuì. «Mi mancherai in giro per casa» ammise Harry, sorridendo tristemente.

Louis lo guardò e quella frase gli fece ritornare in mente il discorso che gli aveva fatto alla tavola calda, per sistemare tutto. Così sospirò e puntò lo sguardo alla finestra. «Ti abituerai» affermò, scrollando le spalle.

«Perché sei così freddo?» chiese Harry, con la fronte corrugata.

«Non lo sono.»

«Ah no? Mi guardi e mi parli il minimo indispensabile. Se non sono io ad iniziare la conversazione, staremmo in silenzio tutto il tempo. Per non parlare del fatto che mi sono svegliato e non ho ancora ricevuto un bacio da parte tua, né un abbraccio né una carezza. Non ho una malattia infettiva, sai?»

A Louis tremarono leggermente le mani e dovette stringere i pugni per tentare di fermare il tremolio. Abbassò, poi, lo sguardo su di esse e sospirò. «E' che..» la sua mente elaborò quante più bugie possibili in quel breve arco di tempo. Ma proprio non ne trovò nessuna che potesse essere plausibile.

«E' che..?» lo incoraggiò Harry, curioso.

«E' che ho sofferto tanto, nel vederti in quello stato» dichiarò Louis, costatando, però, che non fosse una vera e propria bugia. «E ancora non riesco a realizzare del tutto il fatto che tu sia qui con me, sveglio» continuò, guardandolo negli occhi.

Harry respirò profondamente e sorrise. «Vieni qui» lo invitò, allargando le braccia in un chiaro segnale di volere un abbraccio. Louis si morse il labbro inferiore e, titubante, si alzò dalla poltrona avvicinandosi lentamente al letto. «Siediti qui e abbracciami» lo spronò ancora una volta, il maggiore, senza smettere di sorridergli dolcemente.

Louis si fece coraggio e si sedette il più piano possibile, per non fargli male. Harry se ne accorse e ridacchiò. «Non mi farai male, tranquillo» disse. Quando poi poté finalmente toccarlo, il maggiore lo spinse verso di sé così da fargli poggiare la testa sul suo petto. Sospirò di sollievo e socchiuse gli occhi, annusando l'odore dei suoi capelli e sorridendo ampiamente.

«Tutto questo mi è davvero mancato un sacco. E non so perché, ma ho avuto come la sensazione di non poterlo fare mai più.»

Louis chiuse gli occhi e deglutì il groppo in gola, mordendosi poi nuovamente i labbro inferiore, cercando in tutti i modi di non piangere. Anche lui aveva pensato di non provare mai più quella bella sensazione di essere tra le sue braccia forti, di sentirti protetto, nel posto giusto.
Si chiese, però, se fosse giusto sentirsi ancora una volta in quel modo, dopo tutto quello che era successo. Decise di non darsi una risposta, non quella volta, almeno.

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