Capitolo trentacinque.

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Due anni dopo.


Harry guardò l'enorme edificio alle sue spalle e respirò profondamente, ripercorrendo tutti i momenti vissuti all'interno.

«Un po' mi dispiace vederti andar via, ma allo stesso tempo sono contenta per te.»

Harry si scompigliò i capelli, ormai troppo ricci e lunghi fino alle spalle, e guardò la ragazza ridacchiando. «Alquanto incoerente.»

Sophie rise. «Hai capito, idiota.»

Il riccio annuì, sorridendole sinceramente. A quella biondina di appena venticinque anni doveva tutto. Era grazie a lei se, quel giorno, poteva tornare ad essere libero, come due anni prima. Era grazie a lei se non aveva abbandonato quell'edificio prima del previsto. Era grazie a lei se aveva continuato a lottare, con un pensiero fisso nella mente. Era grazie a lei che non si era mai abbattuto di fronte agli ostacoli, alle sconfitte.

«Grazie Soph» perciò le disse, sincero.

Sophie sorrise, con gli occhi lucidi, e annuì. Si avvicinò poi al ragazzo molto più alto di lei, e si alzò sulle punte, per avvolgere le braccia intorno al suo collo ed abbracciarlo. «Riprendi in mano la tua vita, e non fare sciocchezze che non ti voglio più rivedere. Almeno non qui dentro» sussurrò, mentre inevitabilmente alcune lacrime le bagnarono il viso.

Harry sospirò, avvertendo la sua spalla, scoperta leggermente dalla t-shirt estiva che stava indossando, bagnata. «Non piangere Soph. Ci rivedremo, e non qui dentro.»

La ragazza annuì, respirò poi profondamente e si staccò dall'abbraccio. Si asciugò in fretta le lacrime e gli sorrise. «Vai, prima che ti chiuda di nuovo in stanza» scherzò.

Harry rise e annuì. Le diede un ultimo bacio sulla guancia, prima di voltarsi ed entrare nel taxi, pagato da Sophie stessa. Il riccio poggiò il capo contro il finestrino e sospirò profondamente, vedendo quell'edificio allontanarsi sempre di più.

Era contento. Dopo due lunghi e duri anni, aveva portato a termine l'obiettivo. Era da un anno e due mesi che non toccava nulla, né alcol né, soprattutto, droga. Quei due anni erano stati, per lui, estenuanti. Molte volte aveva ceduto, molte volte, per il desiderio di volersi iniettare qualcosa, era stato portato in ospedale a causa di forti attacchi di panico.

Molte volte aveva pianto, urlato, e tutte le volte aveva pensato a Louis. Quel ragazzo era sempre stato nel suo cuore, nella sua mente. Aveva il suo taccuino sempre con sé e leggeva qualcosa ogni notte, prima di addormentarsi. Ormai conosceva a memoria le esatte parole di ogni rigo, riusciva persino ad imitare la calligrafia del più piccolo.

Sorrise a labbra chiuse, istintivamente, al pensiero di Louis. Al pensiero che, dopo due anni avrebbe potuto vederlo, stringerlo a sé, baciarlo. Poteva amarlo esattamente come meritava di essere amato.

Giunse a destinazione dopo una buona oretta di traffico londinese. Ringraziò il tassista, prese il borsone con tutta la sua roba, e quando la macchina si allontanò, alzò lo sguardo verso la casa dove sperava di trovare Louis. Si avvicinò al cancello e suonò il citofono, aspettando con ansia e col cuore a mille.

«Chi è?» rispose una voce che conosceva.

«Ehi Niall» parlò, schiarendosi poi la voce.

«Ma chi è?»

«Sono Harry» dall'altra parte cadde il silenzio. «Louis è da te?» Harry deglutì, mordendosi poi nervosamente le labbra.

«No» rispose atono.

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