Capitolo 30

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 Kai mise il suo braccio un'altra volta sopra la mia spalla. Il nostroviaggio di ritorno fu silenzioso e poco più pieno di gente. Ci fermammodavanti a una porta chiusa. E senza bussare, lui l'aprì.Un'altra sala medica.Pareti bianche. Armadietti. Vassoi con strumenti medici. Un tavolo con...staffe.Feci un passo indietro, scossi la testa. Il mio cuore prese a battereall'impazzata quando il mio sguardo passò dal dottor Jason a George, cheera seduto su di una sedia di plastica. L'altro ragazzo che era andato viacon lui non era da nessuna parte.La mano di Kai si strinse e prima che potessi uscire completamentedalla porta, lui mi fermò. -Non lo fare- disse a bassa voce, maabbastanza alta che solo io lo potessi sentire. -Non vuoi che si ripeta ciòche è accaduto ieri-.La mia testa scattò verso di lui, e i miei occhi rimasero incollati ai suoiocchi blu. -Non voglio tutto questo.- Non batté ciglio. -Non hai altra scelta-.Le lacrime spuntarono sui miei occhi quando ascoltai le sue parole.Guardai il dottor Jason. Quest'ultimo distolse lo sguardo, eun muscolo della sua mandibola si contrasse. La disperazione di tuttaquesta situazione mi colpì. Fino a questo momento, non sapevo ciò cherealmente stava pensando. Tuttavia non avevo altro da dire su ciò chesarebbe accaduto intorno a me. 

  Il Dottore si schiarì la gola. -Come ti senti oggi, Becca?- Mi venne voglia di ridere, ma la mia voce uscì fuori come un gracidio. -Lei che cosa pensa?-  -Sarà più facile.- Si fece da parte, facendomi un cenno verso il tavolo. -Specialmente una volta che lo avremmo fatto-.  Una pressione si serrò sopra il mio petto e le mani si aprirono e siserrarono davanti al mio petto. Non avevo mai avuto un attacco dipanico prima, ma ero abbastanza sicura che a breve ne avrai avuto uno. -Non lo voglio nella stanza-. Le parole uscirono fuori veloci e dure. George si guardò in torno e si alzò in piedi, roteò gli occhi. -Ti aspettofuori-.Volevo dargli un calcio mentre camminava, ma Kai era ancora lì. Migirai verso di lui ed ebbi la sensazione come se gli occhi mi stesserouscendo fuori dalla testa.

  -No,- disse, muovendosi davanti alla porta. Congiunse le mani. -Non mene vado-.Volevo piangere. Lì non potevamo lottare. La stanza come il corridoio ela caffetteria, avevano le pareti luccicanti. Senza ombra di dubbio unmiscuglio tra diamanti e onice.Il dottore mi diede un terribile camice da ospedale e mi indicò unatenda. -Puoi cambiarti lì dietro.- Avvolta come in una intorpidita nuvola, mi trascinai dietro la tenda. Mitolsi a tentoni i vestiti e poi misi il camice. 

Uscii da dietro la tenda, avevoil corpo caldo e freddo, le gambe deboli mentre camminai in avanti.Tutto era eccessivamente brillante e le mie braccia si scossero quandole misi sopra il tavolo imbottito. Strinsi i piccoli lacci del camice, incapacedi alzare lo sguardo. -Per prima cosa preleverò un po' di sangue,- disse il dottore.Durante tutto quello che accadde successivamente o fui molto coscienteo completamente disconnessa. Sentii, prima, la nitidezza dell'agomentre scivolava nella mia vena, fino alla punta dei miei piedi, poi, illieve strappo di un tubo che doveva essere stato posizionato in cimaall'ago. Il dottore mi stava parlando, ma in realtà non lo stavoascoltando.Quando fu fatto tutto, io fui di nuovo nei miei vestiti, mi sedetti sul tavolo,fissai le scarpe bianche da ginnastica che mi diede. Erano della miataglia, una combinazione perfetta. Il petto mi si alzava e abbassava inrespiri profondi e lenti.Ero indolenzita.   

  Il dottor Jason spiegò che le analisi del sangue dovevano essereaccurate per studiare il mio DNA. Mi disse che non ero incinta,cosa che già sapevo, quasi risi di questo ma mi sentivo troppo male, perfare qualcosa di diverso dal respirare.Dopo che fu detto e fatto tutto, Kai si avvicinò e mi condusse fuoridalla stanza. Non disse nulla per tutto il tempo. Quando mise la manosulla mia spalla, contrassi le spalle per allontanarla, non volevo esseretoccata da nessuno. Non l'appoggiò di nuovo. George aveva la schiena contro la parete fuori l'ufficio, aprì gli occhi nonappena la porta dietro di noi si chiuse. -Finalmente. Siamo in ritardo-.Mantenni le labbra serrate, perché se le avessi aperte per dire qualcosa,sarei scoppiata a piangere. E io non volevo piangere. Non davanti a George e ad Kai o a qualcun altro di loro. -Bene-. George parlò non appena iniziammo a camminare lungo ilcorridoio. -Questo dovrebbe essere divertente-. --Non parlare-, disse Kai. George fece una smorfia, però restò in silenzio fino a quando non cifermammo di fronte a delle doppie porte chiuse, di quelle che si vedonoall'interno degli ospedali. Schiacciò un pulsante nero e le porte siaprirono, rivelando il Sergente.Era vestito come il giorno prima, con l'uniforme militare. -Sono contentotu ti sia finalmente unita a noi.-

 Montò nuovamente quella risata nervosa, quasi folle. -Mi spiace.- Miscappò una risatina.Tutti i tre i ragazzi mi lanciarono un'occhiata, George era il più curioso ditutti, ma scossi la testa e presi un lungo respiro. Sapevo che dovevomantenere la calma. Sapevo che dovevo prestare attenzione econservare per me il mio giudizio. Ero molto oltre le linee nemiche.Diventare pazza e essere trucidata a causa del diamento di sicuro non miavrebbe aiutata. Stavo precipitando in una crisi isterica e avrei volutocercare un angolo nel quale rannicchiarmi. Era difficile - forse la cosapiù difficile che io avessi mai fatto - però lo feci.Il Sergente MCConnel girò sui talloni. -C'è un cosa che mi piacerebbemostrarti, Becca. Spero che questo ti renda le cose più facili-. Lo dubitavo, ma lo seguii. Il corridoio era diviso in due corsie, e sidiresse per quella di destra. Questo posto era un labirinto pieno di salee stanze.Il Sergente si fermò davanti a una porta. C'era un pannello di controllosulla parete con una luce rossa lampeggiante all'altezza degli occhi. Siposizionò davanti. La luce divenne verde, emise come un debole suonodi risucchio e la porta si aprì, rivelando una stanza quadrata piena dimedici. Era insieme un laboratorio e una sala d'attesa. Feci un passo,immediatamente facendo un smorfia per l'odore di antisettico. 

  C'erano diverse stazioni a forma di U nel centro della stanza, ciascunadi esse mostrava dieci poltrone che io sapevo già che erano comode.Molte di quelle postazioni erano occupate da persone – umani – in ognitappa della malattia. Dall'ottimista, da quelli con gli occhi luccicantirecenti da una diagnosi, o avevano appena saputo dove si trovavano etutti loro erano attaccati a delle sacche di liquido e ad altro che nonsembrava quello della chemio. Lo sguardo del Sergente si spostò in una postazione più vicino a noi. -Mi piacerebbe farle conoscere qualcuno.- Prima che potessi dire qualcosa, fece un passo in avanti e si fermòdavanti a una delle poltrone che stavano lì vicino. Kai annuì, e dimalavoglia mi mossi per poter vedere ciò che il Sergente stavaosservando.Era un ragazzina. Forse di 9 o 10 anni con un tono di pelle giallastra e latesta calva, non potevo dire se era un ragazzo o una ragazza, ma i suoiocchi erano di un blu brillante. -Questa è Lori. Lei è una delle nostre pazienti-. Fece un occhiolino allabambina. -Lori questa è Becca-.Lori posizionò i suoi amabili e grandi occhi sui i miei mentre allungò lasua mano piccola e terribilmente pallida. -Ciao Becca-.Presi la sua mano fredda e la scossi, senza sapere cosa altro fare. -Ciao-.Il suo sorriso comparve. -Sei anche tu così tanto malata?- In un primo momento non sapevo cosa dire. -No- . -Becca è qui per aiutarci,- disse il Sergente MCConnel quando la bambinaritirò la sua mano dalla mia, mettendola sotto una coperta grigio pallido. 

  -Lori è al quarto stadio di un linfoma primario del sistema nervoso-.Volevo distogliere lo sguardo, perché ero una codarda e lo sapevo.Non mi sembrava giusto. Lori era troppo giovane per una cosa comequesta.Sorrise alla bambina. -È una malattia molto aggressiva, ma Lori è moltoforte-.Lei annuì con fervore. -Sono molto più forte della maggior parte delleragazze della mia età!- Feci un sorriso forzato mentre si mosse di lato, permettendo al dottore dicontrollare una delle sacche. I suoi occhi da bambina di un blu brillanterimbalzavano tra noi tre. -Mi stanno dando una medicina per farmisentire meglio,- disse mordendosi il labbro inferiore. 

--E questa medicinanon mi fa sentire tanto male.- Non sapevo cosa dire, e non riuscii a parlare fino a quando non ciallontanammo dalla bambina e non ci spostammo in un angolo nel qualenon eravamo sul cammino di nessuno. -Perché mi sta mostrando tuttoquesto?- domandai. -Tu comprendi la gravità dei malati,- disse, spostando il suo sguardo alpavimento del laboratorio. --Come il cancro, le malattia autoimmunitarie,le infezioni per stafilococco e molte altre cose possono rubare la vita auna persona, alcune volte ancor prima che questa possa cominciare.Sono stati spesi decenni invano per cercare un cura per il cancro ol'Alzheimer. Ogni anno, viene fuori una nuova malattia, capace didistruggere una vita- Tutto questo era vero.

  -Ma qui- disse, aprendo le braccia, -noi prendiamo posizione contro lamalattia grazie al suo aiuto. Il suo DNA è prezioso per noi, ha la stessacomposizione chimica di quello dei Kija. Noi potremmo iniettarle ilvirus dell'AIDS, e lei non si infetterebbe. Ci abbiamo già provato. Tuttociò che sembra essere nel DNA dei Kija, fa sì che  loro siano resistenti a tutte le malattie umane conosciute.  



PER CHI FANNO SCHIFO LE SIRINGHE UN MONDO DI SCUSE!!!!!

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