Capitolo 1

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Copriti gli occhi, ti si vede il cuore.

Suona la sveglia, che un altro inutile giorno inizi.

Cerco di stiracchiarmi ma i lividi cosparsi sul mio addome, sulle mie braccia e sulle gambe, iniziano a farmi male e un gemito di dolore esce involontariamente dalla mia bocca.

Mio fratello Derek, di un anno più grande di me, entra nella mia stanza piangendo e inizia ad abbracciarmi con aria colpevole.
Ormai ci sono abituata, lo fa tutte le mattine. Dopo inizia a singhiozzare e a chiedermi scusa, finché non mi vengono gli occhi lucidi e lo caccio fuori dalla stanza. Mi appoggio alla porta e scivolo lentamente sul pavimento.
Respira.. calma.. respira..
Dopodiché noto di essere in ritardassimo per la scuola e in fretta e furia prendo dei vestiti dal mio armadio e mi dirigo in bagno per farmi una doccia veloce lasciando intatti i capelli.

Non mi sono ancora presentata.
Sono Alexandra Jonson, ho i capelli neri e lunghi e gli occhi azzurri limpidi, sono l'unica cosa di bello che possiedo. Sono di statura abbastanza bassa e molto magra. Sono presa per il culo nella mia scuola per il mio abbigliamento e i miei modi poco femminili ma me ne sbatto. Non posso perdere la mia vita cercando di essere uguale a delle oche.
Appena ho finito scendo silenziosamente cercando di fare il meno rumore possibile.. sono quasi arrivata alla porta..

"Dove stai andando"

Merda

Mi giro lentamente per vedere mio padre con le braccia incrociate che mi scruta con disgusto.
Si avvicina lentamente e io ormai rassegnata mi faccio avanti coprendomi il viso. Sembra soddisfatto della mia mossa e per qualche secondo sembra rimuginare su qualcosa.. ma poi inizia a tirarmi calci, pugni e schiaffi.
Soffro ma non piango. Non posso permettermi di piangere davanti a lui. Resisti, resisti, resisti..
Mi arriva un calcio nelle costole che mi fa uscire un gemito, strozzato dalla mia volontà. Lui non sembra contento e continua sempre più forte, finché non arriva mio fratello e dopo avere urlato parole di cui non ho compreso il significato a mio padre mi trascina in macchina.

Stiamo in silenzio mentre io cerco di riprendermi e piano piano riesco a regolarizzare il respiro.

Sento mio fratello singhiozzare.

Ma non dovresti essere tu quella a piangere?

Gli poso un braccio sul bicipite e lo guardo facendogli un sorriso forzato.

"Come fai a resistere? Dimmelo!?"
Dice mio fratello in preda alle lacrime.

"Presto tutto questo finirà" affermo io.

Poggio la mia testa contro il finestrino, voglio andarmene, andare lontano da Londra, voglio riuscire a ritrovare me stessa, la ragazza felice che non si fermava un attimo, la ragazza disponibile per tutti, che amava cantare leggere e disegnare. La ragazza che stava con le amiche e rideva liberamente, la ragazza che si confidava.
La ragazza libera di essere quella che voleva, che in ogni caso avrebbe avuto amici e amiche disponibili, la ragazza che amava aiutare gli altri, i più deboli.

Non sapevo che queste caratteristiche ti si potessero ritorcere contro.
Non solo la situazione in casa mia con l'uomo che chiamo padre, ma anche l'abbandono di tutti, ordinatamente in fila indiana se ne sono andati dalla mia vita, uno alla volta, senza salutare, senza uno scusa, senza un addio.
Questa è la cosa che ha fatto più male oltre agli insulti degli amici o per meglio dire, quelli che consideravo amici.

Di sera, mentre guardavo il cielo stellato che ha l'onore di possedere gioielli splendenti e luminosi, della magnifica città di Londra, dalla mia finestra, immaginavo qualcuno come me, che dall'alto di quei pianeti, oltre la sommità di quelle costellazioni, urlava e chiedeva aiuto senza nessuno che se ne accorgesse.
Intanto io immaginavo una vita perfetta, o magari solo in parte, vedevo una vita lontana da Londra dove potevo ritrovare me stessa, dove potevo ritrovare la felicità, se ovviamente non fosse già troppo tardi...

Ti odio, ma sei già mia ||Cameron Dallas||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora