Ho sempre pensato che ad un certo punto della vita tutti i sogni, le speranze e le aspettative che una persona avesse immaginato per sé stessa, si sarebbero realizzati.
Ho sempre pensato che la speranza fosse davvero l'ultima cosa a morire.
Finché c'è vita, c'è speranza.
Volere è potere.
Così dicevano.
Be', non voglio passare subito per la stronza di turno, ma vi dico già che non è così.
Almeno per me.
Magari voi avete realizzato tutti i vostri sogni nel cassetto. Magari siete riusciti a realizzare tutto quello che vi passava nella testa.
Per me non è stato così.
Ho sperato non so quante volte di dare una scossa alla mia esistenza, ma purtroppo non sono riuscita a realizzare neanche uno dei miei desideri.
Forse perché ero troppo timida, troppo altruista, troppo bassa, troppo grassa, troppo rossa, troppo silenziosa, troppo accondiscendente... e forse anche troppo imbranata.
Perché vi dico che per me volere non è potere?
Innanzitutto, perché avevo una laurea triennale in economia e commercio ottenuta con il pieno dei voti e una laurea specialistica in marketing, più che ottenuta direi sudata, con il pieno dei voti e con tanto di lode, e lavoravo come commessa in un supermercato, a tempo determinato; ogni fine mese scoprivo se avevo ancora un lavoro o meno.
Avevo tre amiche che per me erano tutto il mio mondo, peccato che io non ero il mondo per loro. Prima c'erano loro tre e poi venivo io.
Ogni sera si organizzavano e se io mi facevo viva per chiedere qualcosa, loro mi mettevano al corrente di quello che era stato deciso per la serata, che fosse di mio piacimento o meno. Se io invece non mi facevo sentire, loro non si prendevano il disturbo di avvisarmi e coinvolgermi nella serata.
Certo, non era sempre stato così, prima di fidanzarmi ero molto unita con le mie amiche. Ci vedevamo ogni giorno, uscivamo ogni sera, e molte volte dormivamo perfino insieme.
Eh già, avevo anche un fidanzato.
"Ecco la solita ragazza che abbandona le amiche per il ragazzo" penserete voi.
Forse vi posso dare ragione, ma ho sempre cercato di non mettere in primo piano l'amore o l'amicizia.
Peccato che le mie amiche mi incolpavano di trascurarle e il mio fidanzato litigava con me perché io volevo stare sempre in loro compagnia e, a detta sua, non avevo mai tempo per lui.
C'era qualcosa che non andava, ma ovviamente io ero troppo altruista e mi davo la colpa per tutto questo casino.
Infine, c'era la mia famiglia. Una famiglia all'antica, con i paraocchi e condizionata dalle opinioni che la gente del paese aveva degli altri.
Abitare in un piccolo paesino nelle campagne della provincia romana di certo non aiutava.
Tutti si conoscevano e tutti sapevano letteralmente ed esattamente cosa stessi facendo in ogni momento della giornata.
Speravo, ogni singola sera, che le cose si sarebbero prima o poi aggiustate.
Sognavo un lavoro adatto al mio titolo di studio, e che mi facesse sentire realizzata, soddisfatta e ripagata di tutte le ore di sonno perse, dei mal di testa e degli attacchi di schizofrenia pre-esame.
Sognavo un ragazzo che mi amasse davvero, che amasse i miei hobby e le mie passioni, che amasse le mie amiche. Che amasse me per quello che ero realmente.
Sognavo, anzi rimpiangevo, il mio vecchio rapporto di amicizia.
Sognavo una famiglia con una mentalità un pochino più aperta.
Inutile dire che non avvenne niente di tutto ciò.
Forse adesso capirete un po' di più il perché del mio pessimismo.
Poi arrivò il momento della svolta.
"Finalmente" direte voi.
Be', sarebbe stato meglio se quel giorno non fosse mai arrivato.
Una mattina mi svegliai e realizzai di aver raggiunto un mio piccolo ma grande obiettivo.
Avevo perso venti chili, avevo raggiunto il traguardo della taglia quarantaquattro e mi sentivo una gran figa.
Quella mattina pensai che finalmente avrei dato un bello schiaffo alla mia vita precedente, e vaffanculo a tutti.
Invece lo schiaffo lo presi io, dritto in faccia.
Quella stessa sera, all'uscita dal lavoro, fui aggredita da un uomo.
Tentò di violentarmi.
Ricordo ancora le sue mani sul mio corpo.
I suoi occhi verdi circondati dal passamontagna.
L'odore della sua pelle.
La sensazione della sua bocca sul mio collo.
Fortunatamente non riuscì nel suo intento.
Un passante si accorse di noi e lo fece scappare.
Denunciai l'accaduto, ma il colpevole non fu mai rintracciato. Non avevano abbastanza indizi.
Da quel momento tutto cambiò.
Non riuscivo più a sostenere la mia vecchia vita. Ogni volta che camminavo per strada dovevo guardarmi le spalle, avendo sempre la sensazione che qualcuno mi stesse seguendo. Che lui mi stesse seguendo. Per terminare il lavoro che aveva lasciato incompleto.
Quando sentii alcune persone parlare tra loro del mio accaduto e affermare che, testuali parole, "me la fossi cercata", ho capito che dovevo assolutamente fare qualcosa per me e per il mio futuro. Questo fu davvero il mio punto di svolta.
Decisi di avere superato il limite di sopportazione ed iniziai a rispondere ad ogni annuncio di lavoro, ovviamente il più lontano possibile e in una grande città, con l'intenzione di andarmene quanto prima.
Tre mesi dopo l'aggressione, presi qualche vestito, i miei risparmi, alcune cose a me più care e saltai sul primo treno diretto a Milano.
Lasciai il mio lavoro, lasciai il mio fidanzato, lasciai le mie amiche e lasciai la mia famiglia.
Lasciai me stessa in quel piccolo paesino.
Mi lasciai semplicemente tutto alle spalle, senza speranze, senza sogni e senza pretese.
Ed ora eccomi qui, due mesi dopo la "fuga".
A Milano, la mia città italiana preferita.
Mi chiamo Jennifer, ho venticinque anni, e questa è la mia nuova vita.
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La mia nuova vita
ChickLit"Ho sempre pensato che ad un certo punto della vita tutti i sogni, le speranze e le aspettative che una persona avesse immaginato per sé stessa, si sarebbero realizzati. Ho sempre pensato che la speranza fosse davvero l'ultima cosa a morire. Finché...