1. L'OPINIONE CHE HANNO DI ME

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Ma tu chi sei,
che avanzando nel buio della notte,
inciampi nei miei più segreti pensieri?
Shakespeare

Una faccia bianca e tonda grugnisce nel finestrino della corriera: è la luna, che mi augura un buon primo giorno di scuola.

Un tonfo.
Un ragazzo è crollato sul sedile accanto al mio: le gambe devono aver ceduto sotto al peso del suo ego.
Se ne sta lì: sbracato, con le ginocchia spalancate, il capo gettato all'indietro, la bocca aperta e gli occhi socchiusi.
Non mostra alcun rimorso per aver frantumato i miei sogni.

Con un'aria di sufficienza, sposta lo sguardo verso di me, senza alzare la testa dal rivestimento a rombi viola e arancio del sedile. Forse pesa troppo. Il suo sguardo è eloquente:

Cos'hai da guardare?
Non certo la tua camicia rosa.
Che vuoi?
Da un truzzo come te, proprio niente.
Allora smettila di fissarmi.

Mi volto borbottando verso il finestrino: la mia luna si è presa un proiettile nell'occhio, stamattina.
Mi metto comoda per riconciliare il filo del pensiero.

«Qualcosa non va, per caso?». La sua voce profonda e un po' roca mi raggiunge da lontano.
«Affatto».
«Certo, e io sono tua nonna».
Il ragazzo, con un'alzata di spalle, torna a dormire: la testa ancora appoggiata, ed un sorriso compiaciuto stampato sulla faccia.
Ah! La metti così, eh?
«Non c'è niente che non va. Solamente, mi irrita la maleducazione di certa gente, che si crede superiore solo perché il cervello non l'ha informata dei propri deficit».
Mi giro. Gli occhi mi si incrociano nel tentativo di fermare il mondo a strisce che sfreccia oltre il vetro.

Perché sono così odiosa?
Vedo un volto, riflesso nel finestrino a cui mi sono rivolta come rifugio. Per un momento, due occhi scuri splendono nelle tenebre. Mi fissano con un'aria mortificata che è peggio di qualsiasi rimprovero. Il volto si gira dall'altra parte.
Percepisco tensione; con la coda dell'occhio, vedo il ragazzo irrigidirsi e allontanarsi un po' dal mio sedile. Ma non l'ha fatto perché si è pentito della sua maleducazione. E non è lui quello che si sente in colpa.

Il resto del tragitto trascorre tra il chiedersi: "chissà cosa pensa di quello che gli ho detto?" e il rispondersi: "non me ne importa nulla". E ora come faccio a chiedergli di farmi passare, visto che - maledizione! - si trova fra me e l'uscita?
Prendo coraggio, mi volto e... mi do della stupida: quanti minuti di agitazione avrei potuto risparmiarmi! É già sceso da un pezzo, mentre io ero qui a torturarmi.

Ritrovo l'uso delle gambe; mi alzo; scendo dall'autobus; e impreco contro la mia tendenza ad andare in panico quando temo che la gente pensi male di me. Il tutto rallentato dai miei tempi di risveglio mattutino.
Abbasso gli occhi sulla ragazza che mi viene incontro, frizzante come una Sprite appena stappata: «Diana! Ciao! Ti devo raccontare cosa è successo ieri!».
So già cosa è successo ieri: ha visto il ragazzo che le piace, altrimenti non avrebbe quell'aria allegra.
Mi lascio prendere dal suo discorso, ricco di particolari ai quali solo noi riusciamo a dare importanza. Prendiamo la strada verso il bar, facciamo colazione, e infine ci trasciniamo verso scuola: routine di tutti i giorni nei prossimi nove mesi.

Appena il mio liceo spunta dietro la curva, cerco di cacciar giù l'ansia insieme alla colazione. Mi restano entrambe indigeste.
Francesca prosegue verso l'artistico, salutandomi con tutto il braccio: non tutti subiscono il mio stesso Panico-Da-Primo-Giorno.

Perché non ho fatto il liceo artistico anch'io? Perché devo scegliere sempre andando contro i miei desideri, seguendo quello sciagurato principio che si chiama "bastian contrario"?
Non sopporto il liceo: mi sento sempre fuori posto.
Ma non come un pesce fuor d'acqua. Piuttosto, come un albatro catturato dai marinai e inchiodato sul ponte di una nave: "E li hanno appena posti sul ponte della nave che, inetti e vergognosi, questi re dell'azzurro pietosamente calano le grandi ali bianche, come dei remi inerti, accanto ai loro fianchi."

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