78. DI COSA DOVREI ESSERE FELICE? -1

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Posso stringerti le mani? Come sono fredde: tu tremi...

No, non sto sbagliando, mi ami! Dimmi che è vero...!

Battisti

La palestra sportiva Skyhorse era stipata di gente. Ci si chiedeva come fosse in grado di contenerla tutta, dato che, quella mattina, vi si erano riuniti tutti i concorrenti del concorso regionale Il Veliero di Carta, in numerosi convogli provenienti dai più importanti licei della regione. Erano presenti sia la sezione artistica, sia quella letteraria, ed entrambe aspettavano il verdetto. Le tv locali riprendevano la scena, per cui Edmund poteva dire addio alla speranza che il resto della scuola rimanesse all'oscuro sul suo tema.
Se avesse vinto, sarebbe stato costretto a leggere il tema pubblicamente, e, se si fosse rifiutato, altri l'avrebbero fatto per lui. Di questo era già stato avvisato: la Roncalli aveva ritenuto più prudente dirglielo prima, per timore che perdesse le staffe durante le riprese. E c'era, in effetti, di che perdere le staffe: prima di iscriverlo al concorso, la preside gli aveva assicurato che la premiazione si sarebbe tenuta nel mese di luglio, ovvero dopo la maturità.
Invece, si era alla fine di maggio: il che voleva dire che Edmund aveva di fronte a sé più di un mese di scuola. Un mese di inferno, con ogni probabilità. In un mese, infatti, la notizia del "vero Edmund Lloyd" aveva tutto il tempo di diffondersi per l'intera scuola, affiorare alle labbra dei più chiacchieroni, finire su quelle dei più taciturni e, infine, morire nello stress dell'Esame Di Stato o nella pazza gioia delle vacanze estive per chi non era del quinto anno.
Insomma, Edmund era ancora in tempo per sorbirsi in prima persona tutte le tappe che l'imperdibile Gossip avrebbe compiuto prima di rovinargli la reputazione: scandalo iniziale, diffusione fino agli angoli più remoti e sordi della scuola, soffocamento e, infine, oblio. Un tragitto veloce, ma per nulla indolore: infatti, al suo passaggio, il Gossip avrebbe lasciato una scia di rovine e di rottami dietro di sé, ovvero tutto quello che sarebbe rimasto della reputazione di Edmund.
Per tutte queste comprensibili ragioni, Edmund era depresso e di umore intrattabile. E lo era ancora di più, per il fatto che gli sembrava di aver intravisto, fra i concorrenti della sezione artistica, anche Diana. Sperava di essersi sbagliato, e non osava guardarsi intorno per timore di avere ragione.
Accanto a lui c'era Windy, che aveva partecipato al concorso nella sezione letteraria. Se Edmund non alzava gli occhi dal pavimento grigiastro della palestra, Windy al contrario li muoveva per l'intera sala, senza perdersi un solo centimetro cubico, alla ricerca di una folta chioma rossa. Anche lei aveva notato la presenza di Diana.
Per spezzare il silenzio, Windy disse: «Hai visto quante telecamere?!». Edmund annuì, per niente sollevato da quella precisazione.
«Perché sei tanto in ansia per questo tema? Ti dispiacerebbe così tanto perdere?».
«Non mi importa affatto di perdere, è che non voglio vincere» rispose.
«Ah» annuì Windy, che non aveva compreso niente, ma non voleva indagare oltre per paura di peggiorare il suo umore.
Tornarono l'uno a guardarsi le scarpe, l'altra a guardare il soffitto, in un angosciante silenzio pieno di grida estranee.
L'attesa era il momento peggiore: c'era un sacco di gente che andava e veniva: gente dell'organizzazione, con in mano microfoni, fogli e altro.
Sul palco, c'era un gruppo di professori di tutti i licei che chiacchieravano amabilmente, nascondendo chissà quali pensieri dietro falsi sorrisi e complimenti. I professori tenevano a quel premio persino più dei loro allievi.
Man mano il tempo passava, più la situazione si faceva carica di ansia. Finalmente, il capo della commissione prese il microfono e incominciò un lungo discorso di introduzione, che nessuno ascoltò.
Quando dal palco giunsero le parole: «Fra pochi minuti annunceremo il vincitore della sezione letteraria del concorso il Veliero di Cart...», Edmund smise di guardarsi le scarpe, e alzò gli occhi di fronte a sé. Non l'avesse mai fatto.
Diana era proprio di fronte a lui, a due metri di distanza.
La prima cosa che Edmund riuscì a notare era che lei lo stava guardando. Poi si rese conto che lo stava guardando, sì, ma con un'espressione furiosa.
Diana si avvicinò con passo veloce e determinato e si fermò soltanto quando fu a mezzo metro di distanza da lui.
Poi, con voce tremante per la rabbia, esclamò: «Edmund!». Come se con questo avesse detto tutto.
Windy, rendendosi conto che Diana non era venuta per un lieto fine, ma, piuttosto, per insultare Edmund più di quanto non avesse già fatto, spostò lo sguardo dall'uno all'altra, sconcertata.
Diana non la guardò neppure. Aveva occhi solo per Edmund. E occhi che lanciavano lampi.
«Diana!» constatò Edmund, sorpreso e preoccupato.
«Che diavolo ci fai tu qui?!» gli chiese Diana, furente.
«Io... A dire la verità, io sono qui per...» cercò di rispondere Edmund, confuso.
«Bene, non m'importa! Non so davvero come hai il coraggio di farti vedere qui!» lo interruppe Diana.
«Io... Non capisco, Dy... che cosa?» mormorò Edmund, sempre più confuso.
«E non mi chiamare Dy, hai capito?! Non ti ho mai detto che potevi farlo!» gridò Diana, attirando l'attenzione degli studenti attorno, che si erano fatti silenziosi spettatori della scena.
«E va bene, se ti dà tanto fastidio, non ti chiamerò più così. Ma adesso calmati, ok? Ci stanno guardando tutti!» disse Edmund, cercando di mantenere il controllo, ma incominciando ad arrabbiarsi a sua volta.
Ma, insomma, che cosa aveva fatto per meritarsi quell'ennesima umiliazione?! Era stanco di questa storia. Non voleva più saperne, di soffrire per una ragazza così testarda e ingrata.
«Non m'importa che stiano guardando! Avete capito?».
Diana alzò la voce e si rivolse alla sala attorno a lei: «Avete capito? Non mi importa che mi stiate guardando e non mi importa che pensiate che sono un'invasata! Io me ne frego, di quello che pensate, avete capito?!».
«Diana, calmati!» le disse Edmund, poi aggiunse, abbassando la voce: «Non mi sembra di averti dato alcun motivo per questa scenata».
«Non ti sembra...?! Ah!» esclamò Diana al colmo della rabbia.
«Come osi...?».
«No, non mi sembra proprio».
«E hai anche il coraggio di ripeterlo!».
«Sì, esatto. E potrei ripeterlo ancora. Puoi almeno degnarti di dirmi per quale motivo sei tanto arrabbiata con me?» esclamò alterato.
Era umiliato di star dando un tale spettacolo a tutta quella gente. Nel bel mezzo di un'assemblea, circondato dai suoi compagni di scuola, molti dei quali lo conoscevano bene, ed erano già rimasti confusi dal suo graduale cambiamento di look e di atteggiamento che in pochi mesi lo avevano trasformato in un altro. Per non parlare di Emma, che, per di più, era al corrente di tutta la storia fin dall'inizio.
«Bene, ti rinfresco la memoria!».
«Magari! Non aspetto altro».
«Sei proprio uno stupido! Ti odio».
Ne aveva abbastanza.
«Se questo è tutto quello che volevi dirmi, allora potevi farne anche a meno! Perché lo sapevo già».
«No, che non ne faccio a meno! Ho intenzione di dirti esattamente tutto quello che penso di te!» gridò Diana.
Edmund mantenne il controllo e, con l'ultima briciola di orgoglio che gli rimaneva, disse:
«Allora sbrigati, perché non ho intenzione di perdere altro tempo per colpa tua!».
Ignorando l'allusione, Diana arrossì e, con voce tremante, abbassando il tono, disse: «Ti piacciono tanto le scommesse, non è vero?».
«Ma di che diavolo stai parlando?».
«Sì, tu non fai altro che far scommesse!». E prese un tono canzonatorio, rovinato solo da una punta di isterismo: «Scommettiamo che io scopro chi è Lo Spettatore, scommettiamo che se ti dico chi sono poi tu non ne vuoi più sapere, scommettiamo questo scommettiamo quell'altro, scommettiamo... Scommettiamo su chi la conquista per primo!» gridò infine, con voce rotta, perdendo il controllo.
Edmund prese un respiro, cercò di calmare la rabbia e, quando fu sicuro che la sua voce fosse ferma e chiara, dichiarò, scandendo ogni sillaba: «Io non ho idea di cosa stai dicendo, Diana. E se non ti spieghi...! Beh, te lo dico subito: sono stanco di farmi insultare da te!».
Lei lo ignorò:
«Hai scommesso con Davide, non è vero? Hai scommesso che mi sarei innamorata di te, invece che di lui, non è vero?» disse Diana, con voce più calma, per far penetrare bene il messaggio.
Da dietro di lui, Edmund sentì esclamazioni di sgomento e di disgusto. Emma mormorò, scuotendo la testa: «Non è vero!».
E così, era questo, quello che Diana credeva? Ma chi le aveva detto una cosa simile? Chi poteva essere stato? Alessia, naturalmente. Con la complicità di Davide! Ma come poteva, Diana, credere una cosa così orrenda di lui? E poi, solo una persona priva di autostima avrebbe potuto credersi oggetto di un simile scherzo! Solo una persona come Diana.
«Cosa?!» esclamò esterrefatto.
«Certo! Se no, perché Davide si sarebbe dato tanto da fare per farmi credere di essere il ragazzo perfetto? Con tutte quelle storie su Alexandre Dumas, su Star Wars, su Hugo Pratt! Già, come faceva Davide a sapere di quella maledetta citazione di cui ti avevo parlato, in un momento di pura follia in cui avevo persino creduto che fossi mio amico?!».
Diana si sfogava su di lui, senza mai riprendere il fiato e senza pertanto lasciargli il tempo di porre fine a quei vaneggiamenti che lo sconvolgevano, lasciandolo sconcertato, ferito, e senza parole.
«E Alessia? Lo sapeva anche lei, non è vero? Era tutto calcolato, vero? Le hai detto tu, di dire tutte quelle cose di me e te sul giornale?! Ma certo, che è così! Se no, non se le sarebbe certo immaginate tutte da sola!».
Edmund fece un passo avanti, approfittando di un secondo di pausa, gridando: «Ma vuoi star zitta, un momento?!».
«No, che non ci sto, zitta! Prima, ti dico tutto quello che penso di te! E ti sei anche andato a vantare in giro, con tutti! Ora tutta la scuola sparla di me! Non hai pensato che avresti ferito una persona, vero? Spero proprio che tu sia felice, di esserci riuscito!».
«Felice? E di che?» chiese Edmund. Di cosa doveva essere felice? Che cosa era riuscito a fare?
«Ma certo! Felice! Scommetto che hai già riscosso la posta con il tuo caro amico Davide, non è vero? E scommetto anche che hai imprecato contro di me, per averci messo così tanto: quasi un anno! Non ne potevi più -vero?-, di aspettare? Beh, alla fine ce l'hai fatta! E cosa ne pensano i tuoi nuovi amici? Perché questo non gliel'hai detto, non è vero? Loro non lo sanno, chi sei in realtà! Che cosa sei, anzi!». Riscuotere la scommessa? Felice? Per cosa Diana avrebbe dovuto metterci tanto?
«Diana!» esclamò, con un'intuizione improvvisa e un inatteso moto di speranza, che fece nascere un sorriso sul suo volto, e sparire la rabbia dal cuore. Felice? Sì, poteva esserlo.
«No! Lasciami finire! Come osi anche solo pensare di poter inventare una scusa con me, dopo tutto quello che hai fatto!».
«Ma io non voglio inventare...!» la interruppe Edmund, esasperato. «Ah, maledizione!» mormorò fra sé, scuotendo la testa.
«E pensare che io mi ero sentita un mostro, dopo averti rifiutato! E invece il mostro sei tu! Beh, sei proprio bravo a recitare, su questo non c'è alcun dubbio!».
«Ma taci! Maledizione! Stai zitta un secondo, ok? Soltanto un secondo!» esclamò Edmund.
Aveva bisogno di riflettere, di capire e di spiegarsi con lei.
«No! Non voglio star zitta! Non ci voglio stare, hai capito?! Voglio dirti...».
«Quello che pensi di me! Ho capito!» esclamò Edmund esasperato. Finalmente, Diana rimase un secondo in silenzio. Poi, con un filo di voce, disse: «Ti odio».
«Anche questo lo so già» constatò calmo Edmund.
Diana si zittì. Sembrava che avesse esaurito il fiato. Rimase a fissarlo in silenzio, con un'espressione furiosa.
Edmund si prese un attimo di tempo.
Sì, poteva essere vero...
Prese un respiro, si fece coraggio e disse, imbarazzato:
«Hai detto...» si fermò un secondo. «Hai detto che devo essere felice, giusto? l'hai detto? Ho sentito bene?».
«Sì che l'ho detto! Io...».
Edmund la interruppe, non aveva ancora finito: «Di cosa dovrei essere felice?».
Diana stette un secondo in silenzio. Poi aprì la bocca per parlare, ma la richiuse subito.
Edmund alzò la voce: «Di cosa devo essere felice, Diana?».
Diana esplose di nuovo: «Beh? Cosa credi, che non lo sappia che sei contento di aver vinto la tua maledetta scommessa? Pensi che non me ne sia resa conto, che non ti importa nulla di come sto io, per causa tua? Lo so, sai, che non te ne frega niente di me, del fatto che mi hai ferito, basta aver vinto la tua scommessa!».
«Vinto?» ripeté Edmund, e la speranza si fece sempre più grande e prepotente dentro di lui. Ebbe paura di aver capito male: «Ho vinto la scommessa, Diana?».
Diana non rispose. Lo fissò, con espressione attonita.
No, non stava sbagliando: era tutto vero. Ormai ne era certo!
Questa volta non si stava sbagliando.
«Vuoi dire che tu... Voglio dire, ti sei... Ti sei innamorata di me?».
In quel momento, la sala si fece silenziosa.
Edmund si bloccò sorpreso. Non capiva cosa stesse succedendo. Tutti si erano voltati verso di lui e lo guardavano sconcertati. Diana, invece, non lo guardava più: osservava oltre le sue spalle, il palco dal quale la preside stava tenendo la conferenza.
Sul suo viso, Edmund lesse sconcerto, confusione e sorpresa. Edmund intuì cosa stava succedendo. Dava le spalle al palco, e non pensò a girarsi: sapeva già che cosa avrebbe visto. Non gli importava di quello che stava accadendo in quel momento attorno a lui e a Diana! Diana si voltò verso di lui sgranando gli occhi, con un'espressione esterrefatta: «Ti stanno...» disse, con gli occhi sgranati per lo stupore:
«Ti stanno chiamando sul palco...?».
«No!» gridò Edmund, in preda al panico.
«E, invece, sì!» obiettò Diana, arrabbiata di venire contraddetta.
Una voce al microfono risuonò per l'intera palestra, e questa volta, Edmund la sentì: «Edmund Lloyd, avanti, vieni a ritirare il tuo premio!».
Diana tornò a fissare lui: «Devi ritirare un premio?» disse, come se lei per prima non riuscisse a capire il significato delle sue parole.
Non era l'unica ad avere quell'espressione confusa e sorpresa. Tutti si erano voltati a fissare lui.
Edmund sentiva le loro voci indistinte, ma non voleva ascoltarle. Aveva altro a cui pensare.
«Lloyd ha vinto il primo premio?».
«Come è possibile?».
«Non può essere, Lloyd ha la media del 4 di Italiano!».
«Già, lo deve aver rubato a qualcuno!».
«Che vergogna!».
«Ecco perché quella ragazza gli sta gridando di tutto!».
«Già, probabilmente, l'ha rubato a lei!».
Edmund chiuse gli occhi, e cercò di ignorare quelle voci. Proprio adesso!
La preside intanto ripeteva il suo appello, seccata che Edmund non fosse già comparso sul palco.
Diana tornò a fissare lui: «Devi salire sul palco! Ti stanno chiamando» ripeté.
«No!» esclamò Edmund: «No, ascoltami, Diana! Devo parlarti! É importante!».
Ma Diana non lo ascoltava: «La preside ti sta chiamando!» ripeté. «No! Aspetta! Cioè, sì, lo so! Lo so, che la preside mi sta chiamando! E so anche perché mi sta chiamando, ma...!». Edmund le prese una mano, per attirare la sua attenzione che continuava a fuggire verso il palco. «Diana, devi ascoltarmi!».
Ormai Edmund gridava per sovrastare il rumore della sala attorno a lui. Era disperato. Proprio ora che lei stava per dirgli che lo ricambiava...! Non voleva leggere il tema, la sua confessione, prima di chiarirsi con lei a tu per tu. Voleva dirle tutto di persona!
«Edmund Lloyd è pregato di salire sul palco a ritirare il suo premio».
La voce di Windy interruppe i suoi pensieri: «Edmund, non puoi più aspettare! É la decima volta che ti chiama!».
«No! Tu non capisci!» le gridò Edmund: «Diana...! Se non riesco a dirle tutto prima di salire su quel palco...! Il tema! È un vero casino...». «Un casino? Ed, di che diavolo parli? A proposito, complimenti! Hai vinto il primo premio!» gridò Windy, per sovrastare il rumore della folla.
Edmund non rispose. Diana non lo stava più guardando. Si guardava attorno confusa: la sua attenzione era attratta da ciò che avveniva sul palco alle sue spalle. Ormai non c'era modo di parlarle. E Edmund sapeva che non avrebbe fatto in tempo a chiederle quello che voleva chiederle.
Windy gli continuava a gridare in un orecchio che doveva sbrigarsi. Ma Edmund non sentiva più niente.
Stava cercando di riflettere. Doveva stare calmo, chiarirsi le idee, elaborare un piano.
Chiuse gli occhi, prese un profondo respiro per calmarsi, e finalmente capì cosa doveva fare.
Forse non tutto era perduto.
Riaprì gli occhi e cercò Diana con lo sguardo: «Diana!» la chiamò. Diana sentì la sua voce in mezzo a migliaia di altre e si girò verso di lui, con una muta espressione di sconforto.
«Diana! Ascoltami. Non te ne andare, hai capito? Io non ho mai fatto quella scommessa!».
Poi si girò verso Windy e le ordinò: «Assicurati che non se ne vada!». Windy annuì. Finalmente, Edmund si girò a far fronte alla situazione. Era arrivato alla resa dei conti, alla fine.

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