74. LA MUSICA FA MALE

549 57 1
                                    

voce narrante: Jade

Se esprimi un desiderio è perché vedi cadere una stella,

se vedi cadere una stella è perché stai guardando il cielo,

se guardi il cielo è perché credi ancora in qualcosa.

Bob Marley

La musica ha il potere di farmi entrare in una dimensione da sogno: nella dimensione delle emozioni umane.
Ha colori e gusti tutti suoi: accompagna ogni tuo movimento e gli dà un significato... distante.
É come quando immagini di essere l'eroe di un libro: ogni cosa che fai e che pensi assume un valore diverso, se visto con gli occhi del lettore che leggerà di te e che vedrà in te un eroe, invece che un uomo comune.
Se scrivessi un libro, vorrei che venisse letto con una colonna sonora, come un film...
Con le cuffie nelle orecchie, tutto prende ritmo: anche il tuo passo veloce nelle strade della città.
Ogni persona che ti passa accanto è un altro essere vivente, che vive una vita parallela, con una sua propria colonna sonora, e che talvolta si affaccia nella tua finestra del mondo per vedere come te la passi.
La musica fa male, se hai qualcosa a cui pensare. Sad songs say so much...
Prendo la mia chitarra e mi metto a suonare... Un collage di canzoni che raccontano la mia storia.
La nostra storia, mia e di Tommy.
Io volevo che lui mi raggiungesse. Volevo incontrarlo.
Molto prima di oggi. «Perdonami» mi ha detto.
Aveva ancora il fiatone, perché aveva corso per raggiungermi.
Sono quattro anni che lo aspetto.
L'ho guardato. Nel mio sguardo c'era tutto quanto non avevo saputo dirgli cinque anni fa.
C'erano odio, risentimento, paura e tristezza.
Odio. Perché mi aveva tradito.
Risentimento. Perché mi aveva strappato ogni possibilità di cullarmi nel mio romanticismo e nelle mie speranze di tredicenne.
Paura. Perché sapevo che avrebbe potuto farlo di nuovo.
Tristezza. Per la consapevolezza di quanto avevamo perso per colpa sua.
«Voglio dirti tutta la verità, se tu vorrai ascoltarla» sono state le sue parole.
Io volevo ascoltare la sua verità.
Volevo dargli la possibilità di farsi perdonare.
Volevo che mi desse una ragione per perdonarlo.
Non dissi nulla. Ma non me ne andai.
Doveva aver compreso che gli avevo offerto una possibilità. La possibilità di parlare...
Doveva scegliere bene, cosa dire. Perché io non ero per nulla ben disposta nei suoi confronti; e avrei ascoltato ogni sua parola - ogni suo respiro - con rabbia e con sospetto.
«Ti prego, ascoltami, Jade! Sono cinque anni che ho bisogno di dirtelo».
Lui aveva bisogno di dirmelo?
Lui?!
E io?
Di cosa avevo bisogno, io?
Non ne avevo forse avuto bisogno, allora? Cinque anni fa, non avevo forse diritto ad una spiegazione?
Non avevo forse diritto alla verità?
Io credo che Tim sapesse bene che cosa gli avrei detto se avessi parlato.
Si vedeva chiaro, quale conflitto stava avvenendo nel suo cuore in quel momento.
I suoi occhi dicevano ogni cosa. Prima fra tutte, il senso di colpa.
Ma io non gli avevo detto di tacere. Non mi ero sottratta a quell'incontro, fuggendo prima che avesse la possibilità di raggiungermi. Non gli avevo gridato contro bloccando ogni sua possibile confessione.
Anzi, mi ero fatta raggiungere. Ero stata zitta. E avevo atteso che parlasse.
Tutto questo mi era costato un grande sforzo. Sono sicura che lui doveva averlo compreso.
E allora perché non ha voluto parlare?
Perché non ha detto altro?
Mi ha visto andare via, senza dire una parola, guardandomi come si fosse ormai trasformato in automa.
Le sue ultime parole sono state: «Vuoi ascoltarmi?».
Io attendevo soltanto che parlasse.
Ma non potevo dar voce al mio desiderio. Era troppo. Mi stava chiedendo troppo.
Le corde vocali erano bloccate in una morsa. Ogni mio sforzo era impegnato nel tentativo di mantenere la calma e trattenere le lacrime. Ogni muscolo teso, per la ferma volontà di non mettermi a correre nella direzione opposta.
E lui voleva anche che gli dicessi: «Parla, ti ascolto»?
Cosa pensava, che io dovessi essere felice che, finalmente, dopo tanto tempo, avesse deciso di parlare?
Si aspettava davvero che io mi umiliassi, abbandonassi quella ferma volontà che mi aveva permesso di superare il ricordo di quello che lui mi aveva fatto, per cadere di nuovo nella sua rete, dando per prima il consenso al mio stesso passo falso?
Non dovevo essere io a dirgli: «ti ascolto».
Doveva essere lui ad obbligarmi a farlo.

Dragonfly BlogDove le storie prendono vita. Scoprilo ora