47. SONO TORNATO IN ME - 2

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Filippo si stupì molto di quel tono di preghiera: Edmund non era mai stato umile, mai si era abbassato fino al punto di ammettere di aver bisogno di qualcuno...

Fil decise di dargli la possibilità di spiegarsi. Si girò verso di lui, in silenzio. E attese, con sguardo calmo e freddo, che Edmund dicesse ciò che aveva da dire.

«Hai ragione, Fil. Sono stato un egoista».

Edmund fece una pausa. Come poteva dirgli tutto? L'avrebbe mortificato: raccontargli l'intera storia era come confessargli che non l'aveva mai considerato un amico, ma, piuttosto, uno strumento in un'ottica orribilmente machiavellica.
Ma dirgli la verità era l'unico modo in cui Edmund poteva ancora sperare di cambiare le cose e rendere finalmente vera e reale la loro amicizia. La loro amicizia passata, quella presente... e quella futura.

«Io sono stato un egoista. Vi ho trattati tutti, dal primo all'ultimo, nessuno escluso, come strumenti per raggiungere uno scopo. Ho creduto di potervi usare, e non mi sono reso conto che vi avrei potuto ferire...».

Per tutta risposta, Fil si fermò. E attese. Non era la curiosità a fermarlo dall'andarsene, ma l'amicizia che li aveva legati nei quattro anni passati.

Edmund cercò le parole giuste. Dopo qualche secondo, un senso di dell'assurdo si impadronì di lui. Involontariamente, con una risata sorda, esclamò: «Sembra che io abbia la stramaledetta capacità di farmi odiare da tutti quelli a cui tengo!».

Filippo lo guardava esterrefatto. Non capiva nulla di quello che Edmund gli stava dicendo.
Edmund non riusciva a procedere con ordine.
«Allora, ascolta» disse: «Prima, io non ero affatto come mi conosci tu... come sono sempre stato al liceo, intendo. Ero una persona molto diversa. Non mi comportavo come adesso: non ero così maleducato, così arrogante, così egoista. Lo sono diventato qui, perché... Penso che fosse perché avevo appena perso un amico. Era un vero amico, che ora mi detesta. Come mi detesti tu...».

«Di che stai parlando?».

«É difficile da spiegare... Ascolta. Io ho creduto che, se mi fossi comportato nel modo in cui tu, Alessia, e gli altri vi aspettavate da me, avrei potuto essere più felice... Credevo che, se fossi diventato come voi, sarei finalmente stato soddisfatto di me stesso... Puoi capirmi?».

«No. Non sto capendo un accidente, Edmund».

«Già» disse Edmund, scoraggiato. Non sapeva proprio come avrebbe fatto a spiegargli tutto.

«Ecco, io ero diverso... L'opposto di come sono ora: ero... Ecco, ero... Come definirmi?».

«Uno sfigato? É questo, quello che stai cercando di dirmi?».

«Sì, precisamente!» esclamò Edmund, felice di essere stato compreso. Fil scosse la testa, scoppiando a ridere.

«No! Aspetta! Io ero davvero uno sfigato! Ero un ragazzo educato, facevo ciò che mi veniva chiesto, amavo leggere, mi divertivo seriamente a studiare Storia, mi piaceva fare esercizi di Matematica, facevo sedere le vecchiette sull'autobus, non mi curavo affatto dell'aspetto esteriore, mi piaceva andare a pesca col padre, e dipingere soldatini con gli amici... non avrei mai detto qualcosa per ferire o prendere in giro un'altra persona, come faccio oggi ogni giorno. Non mi curavo affatto dell'aspetto esteriore. Alle medie mi prendevano in giro perché avevo sempre i pantaloni troppo corti e si vedeva la fantasia dei calzini! Hai capito adesso, maledizione?!».

Fil lo guardò con gli occhi sgranati.
«Tu eri così?!» esclamò, con un mezzo sorriso divertito.

Edmund si sentì umiliato di quel tono stupefatto. Ma non aveva intenzione di fermarsi.
«Sì. Ero esattamente così. É per quello stesso sguardo che vedevo sulla faccia della gente e che vedo ora sulla tua, che ho deciso di cambiare: volevo che gente come voi fosse contenta di essere mia amica. Non volevo più venire preso in giro. Volevo che i miei amici non si vergognassero di farsi vedere con uno come me...».

Era stato sincero. Aveva detto anche più di quello che era necessario. Filippo taceva, pensieroso.
Edmund non attese il responso e continuò: «Quindi ora capisci, vero, perché ho voluto diventare vostro amico? Ma, ora me ne rendo conto, io non sono mai stato uno di voi. Non mi piace parlare male della gente, farla sentire meno di un verme solo perché è come un tempo sono stato anch'io... Mi piace leggere, e non mi piace affatto andare in discoteca: tutto quel rumore ad altissimo volume che ti rintrona la testa, l'odore del fumo che ti impregna i vestiti e i capelli, l'alcool che ti fa perdere il controllo di te stesso, le luci smaterializzanti che ti fanno bruciare gli occhi! Ho sempre dovuto nascondere la mia vera personalità a tutti voi... E ci sono riuscito bene, temo».

«Ci sei riuscito benissimo» disse Filippo, cupo.

«Mi dispiace davvero. Hai creduto di essere amico di qualcuno che non esiste, ti ho ingannato. Come ho ingannato Alessia... Ora capisci, perché l'ho illusa fino ad adesso?».

«Lei ti serviva come copertura».

Era orribile, detto in quel modo.

«Beh, in un certo senso, è così... Non potevo mandarla via prima, e farle capire che non ero come sembravo...».

«Perché stai dicendo queste cose a me?».

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