29. LA PALADINA DELLA GIUSTIZIA - 2

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Edmund fissò il professore sconcertato.

«Ma non è giusto!» esclamò la voce di Diana, da dietro alle sue spalle.

Il professore si voltò verso Diana, come avesse appena visto un fantasma: «Cosa dici, ragazza?».

«Dico... Dico che Edmund ha risposto a tutto quanto!».

«Risposto, eh? E cosa vuol dire "risposto"? Ha risposto, sì, ma ha detto un sacco di sciocchezze! Si è inventato metà di quello che ha detto, per non parlare delle date...» disse il professore, con estrema cognizione di causa, scuotendo la testa mestamente.

Con un'occhiata nella sua direzione, Edmund cercò di far capire a Diana che non gli importava, e che era meglio se se ne stava zitta. «Ma non è assolutamente vero! Ho controllato, sul libro. Ha detto solo cose esatte, e...».

«E chi mi dice che tu non lo stia dicendo per difendere il tuo ragazzo, eh?».

«Il mio ragazzo?!» esclamò esasperata Diana. «Innanzitutto non è il mio ragazzo! E poi, se lei l'avesse ascoltato, non avrebbe tanti dubbi sul perché io lo voglia difendere!».

Questo era troppo. Edmund la fulminò con lo sguardo, ma lei lo ignorò. Rimase in silenzio, aspettando le conseguenze di quanto aveva fatto, per niente pentita.

«Ah, vi eravate messi d'accordo, eh?! Fuori! Tutti e due!» gridò il professore, con gli occhi arcigni che scintillavano e la faccia paonazza tipica di chi rifiuta che gli venga fatto notare un proprio errore. «Fuori, ho detto! O volete una nota sul registro?!».

Diana lo guardava esterrefatta.
«Allora, volete una nota sul registro?!».

Edmund intervenne per entrambi, perché Diana sembrava incapace si spiccicare parola: «No, no. Ce ne andiamo fuori».

Poi si rivolse a Diana, cercando di nascondere un sorriso divertito: «Allora, vieni?».
Diana si alzò e lo seguì fuori dalla classe, come una marionetta senza vita.

Si allontanarono dalla classe, per paura di non riuscire a trattenere le risate prima di essere ad una buona distanza di sicurezza e oltre qualche parete che attutisse il rumore.
Mentre salivano le scale diretti al secondo piano, Edmund scoppiò a ridere:
«Ehi, grazie. Se mai scriverò un'autobiografia, mi rifiuto di dichiarare che "ogni riferimento a fatti, cose o persone narrate è puramente casuale"...! È stato davvero... liberatorio!».

«Estremamente!» convenne Diana, fra le risate: «Non riuscivo più a tollerarlo, Zamponi!».

«Neppure io! É un arrogante! E poi, in realtà, è ignorante e meschino... talmente pieno si sé... e non so proprio di cosa, poi, si possa essere riempito, quel pallone gonfiato!».

«Beh, forse è un pallone gonfiato di ...scimmie, di galeoni e di banane!» esclamò Diana, sempre ridendo: «Meno male, che ci ha mandato fuori! O non mi sarei trattenuta dal ridergli in faccia, dopo quello che gli hai detto! Sei proprio uno stupido, sai! E la scimmia salì sul cassero...». Le risate interruppero le parole.
Edmund aveva già smesso di ridere.

Era una situazione così surreale, così vicina ad un sogno e così lontana dalla realtà che conosceva...

Quando Diana si accorse che lui non stava ridendo, disse: «Intendevo... Intendevo uno stupido divertente...».

«Lo so» disse Edmund.

La campanella suonò ed interruppe l'incanto. In un attimo, il corridoio dove un minuto prima erano soli, lui e Dy, si riempì di curiosi. Erano i loro compagni di classe, venuti a complimentarsi con loro per l'audace impresa che aveva rimesso al suo posto l'arrogante pallone gonfiato che tutti sembravano detestare.

Ne avevano per entrambi: «Ehi, Ed, che coraggio, hai avuto! La scimmia che avvista terra! Ah ah ah!». «Diana, sei stata fantastica, dovrebbero farti una statua!». «Ed, non so proprio come hai fatto a sopportarlo, dev'essere stata una vera tortura!». «L'hai rimesso al suo posto, eh, Dyn?! Hai visto che faccia paonazza, gli è venuta?!». «Ma quanta ne sapevi, Ed! che rabbia che Zamponi sia così ignorante! Non si è neanche accorto di come lo stavi prendendo in giro! Sei stato troppo forte!». «Diavolo, Dyn, che coraggio!».

Quelle esclamazioni non fecero piacere a Edmund, quanto invece ne fecero a Diana.
Edmund la fissava rattristato. Diana l'aveva difeso solo perché era nella sua natura fare la paladina della giustizia, e non era importante chi o cosa stesse difendendo. Anzi, forse Dyn avrebbe anche preferito che fosse stato tutt'altro che Edmund Lloyd, a condividere con lei quell'esperienza. Forse le era persino dispiaciuto, di non aver difeso qualcuno che se lo meritava sicuramente più di lui.

Preso da quei pensieri, Edmund non si era reso conto che Alessia era comparsa accanto a lui.
Alessia stava ridendo a crepapelle, per attirare la sua attenzione, ascoltando tutti quanti avessero la pazienza di informarla su quanto era successo. I resoconti, più o meno verosimili, piovvero su di lei da tutte le parti e, mentre ne ascoltava uno di qua e l'altro di là, cercava invano di trovare il modo di attaccar bottone con l'eroe in persona.

Quando tutti, compresa Diana, furono rientrati in classe, Alessia trattenne Edmund in corridoio, per complimentarsi con lui di quello che era accaduto.

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