75. NON É TROPPO TARDI

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voce narrante: Jade

Ad ogni singolo filo d'erba è destinata almeno una goccia di rugiada del mattino

Anonimo

Non potevo credere che mio fratello mi avesse fatto una cosa simile! Lo guardai con espressione furente, e non mi curai di gridarglielo in faccia, nonostante la presenza di mio padre e di mia madre, che non sapevano nulla e nulla capivano.
«

Tu! Tu non sei mio fratello! Tu sei un mostro! Come hai potuto lasciarlo venire qui!».
Tommaso guardava ogni cosa con l'espressione terrorizzata che era stato il mio ultimo ricordo di lui.
Sembrava non essere in grado di dire un accidenti di niente, nonostante tutto quanto avvenisse solamente per colpa sua.
Mio fratello si era lasciato incantare da lui.
Gli aveva creduto e gli aveva permesso di incontrarmi una seconda volta.
Non capiva che così mi feriva ancora di più?
Come poteva essere dalla sua parte, invece che dalla mia? Dalla parte di sua sorella?
Non era più il fratello protettivo che allontanava tutti i miei pretendenti per difendermi da possibili ipotetiche delusioni che era stato qualche anno prima?
Quando si trattava di Tommaso, Edmund non ci vedeva più, non ragionava più ed era in grado di mettere da parte persino me.
Era stato per colpa della loro amicizia, che io e Tommaso non eravamo mai stati insieme.
Che Tim non avesse mai avuto il coraggio di mio fratello o la sua determinazione, l'ho sempre saputo.
Ma riuscivo lo stesso a meravigliarmi che stesse lì, impalato, di fronte ai miei genitori, di fronte a mio fratello, di fronte a me, mentre gli gridavo che era un vigliacco e un meschino.
Edmund era ferito dalle mie parole, ma non cercava tuttavia di mandar via la causa della mia sofferenza.
Anzi, tutto il contrario: era dalla parte di Tommaso.
Mi diceva: «Jade, lascia che ti spieghi!».
Mentre Tommaso non spiccicava parola e non si avvicinava neppure. Infuriata e stanca, mi rifugiai in camera mia.
Sbattei la porta, e scoppiai in lacrime di rabbia.
Da fuori, sentii mia madre che esclamava: «Edmund, ma che cosa sta succedendo? Avete litigato ancora?».
Mio padre, invece, stava in silenzio. Sono sicura che avesse compreso qualcosa in più di mia madre, in tutta quella storia.
Dopo qualche secondo, parlò: «Edmund. Tu puoi risolvere questa... cosa, é così? Tu sai che cosa sta succedendo, non è vero?».
La voce di Edmund mi raggiunse lontana e attutita attraverso la parete: «Sì, pa'. Io so che cosa sta succedendo e....».
«Non mi importa, non lo voglio sapere. Ma tu aggiusta questa cosa! Mia figlia ha già sofferto abbastanza. E ora incomincio a temere di sapere chi è il colpevole di tutto».
«Pa', ti giuro... Ti giuro che risolverò tutto, davvero. Fidati di me». «Io... Non so se lo posso fare... Non so se posso fidarmi di te, Edmund». La sua voce mi parve incerta.
Mio padre non poteva più fidarsi di mio fratello.
Io ero l'unica persona in famiglia a sapere che Edmund non era come appariva. Con me, Edmund si confidava. E io mi confidavo con lui. Noi ci potevamo capire, senza bisogno di parole... Avevamo entrambi sofferto per lo stesso motivo...
Almeno, così avevo creduto... fino a qualche minuto prima.
Dopo qualche secondo, sentii mio padre dire a bassa voce: «Vieni, Anna, andiamo. Lasciamoli da soli».
Mia madre non parve molto convinta: «Ma... Io voglio sapere che cosa è successo!».
«Lo saprai più tardi, ora lascia che Edmund pensi ad aggiustare quello che ha fatto».
Evidentemente, papà era convinto che io avessi litigato con Edmund e non si immaginava che il vero colpevole di tutto era Tommaso.
Ma Edmund se l'era meritato. E io mi sentii quasi contenta che mio padre gli addossasse la colpa di ogni cosa...
I passi di due persone che risuonavano per il corridoio mi informarono che i miei genitori se ne erano andati. Il portone di casa si chiuse dietro di loro.
Io non avevo chiuso la mia porta a chiave, e ora mi aspettavo da un momento all'altro che entrassero.
Sentii bussare piano alla porta.
Mio fratello disse: «Jade, io adesso entro, ok?».
Io rimasi in silenzio.
«Jade, sul serio. Non puoi credere davvero che io l'abbia portato qui solo per...».
«Voglio parlare con Tommaso» dissi, attraverso la porta.
Fuori si fece un silenzio vigliacco.
Mi immaginai mio fratello che, sorpreso, si faceva da parte e faceva segno a Tommaso di entrare. Lo sentii andarsene, ed uscire, lasciando me e Tommaso da soli in casa.
Tommaso ci mise parecchi istanti ad entrare.
Si richiuse la porta alle spalle, e fece tutto molto lentamente, prima di alzare gli occhi su di me.
Era sempre stato così: disinvolto con tutti, l'anima della festa, finché non si trattava di superare le proprie emozioni...
«E adesso, parla» gli dissi.
Non era il modo migliore per far parlare uno come Tommaso. Ma io volevo costringerlo a raccogliere quel suo poco coraggio e a farsi forza per lottare per la sua vita.
Tommaso aprì bocca. Pareva davvero che sarebbe riuscito a dire qualcosa, questa volta.
«... Jade...».
«Io il mio nome non l'ho dimenticato» gli dissi.
«Mi... mi dispiace».
Era quanto mi aspettavo.
«Se tu non riesci a parlare, allora lo faccio io per te, ok? Ti dispiace, giusto? É così che volevi incominciare, non è vero? Volevi dirmi che ti dispiace di aver creduto che ti eri innamorato di me. Ti dispiace di avermelo detto. Ti dispiace di avermi persuaso a credere che ti ricambiavo. Ti dispiace di avermi chiesto di aspettarti. Ti dispiace di aver cambiato idea. Ti dispiace di esserti subito fidanzato con un'altra, dopo essere stato in Sardegna per tutta l'estate. Ti dispiace di non aver avuto neppure il coraggio di dirmelo per telefono. Ti dispiace di aver obbligato mio fratello a dirmelo al posto tuo. E, infine, ti dispiace di non esserti più fatto rivedere neppure per chiedermi scusa. É così? Ho dimenticato qualcosa? É questo, che cercavi di dirmi?».
«Sì».
«Bene. Se pensi che, ora che ci siamo chiariti, possiamo chiudere l'argomento, puoi anche andartene».
Tommaso non si mosse.
Avevo parlato con tono alterato, lo sapevo, ma senza gridare; e con calma. Tutto questo lo aveva spiazzato e sconvolto. Aveva sentito tutti i sui sensi di colpa assalirgli il petto, e non era stato in grado di reagire.
«... Non... non ci siamo chiariti... Io non ti ho ancora detto la verità su...» disse.
«Su di lei, non è vero? Sulla tua Ilaria, giusto? E cosa hai da dirmi su di lei? Parla, ti ascolto».
«...Non c'è mai stata nessuna Ilaria».
«Cosa?!».
Dovetti ammetterlo a me stessa. Quella frase mi aveva spiazzato.
Ero sicura di aver capito male. Aveva parlato con un filo di voce...
«Non c'è mai stata nessuna Ilaria» ripeté Tommaso più forte.
«Non c'è mai stata...?» scossi la testa, come per far tornare al loro posto le rotelle sparse per il mio cervello sconvolto.
«No. Era solo una mia invenzione. Ilaria non è mai esistita».
«Ah, non è mai esistita, eh?» dissi io, in tono ironico.
«No, non è mai esistita».
«Allora è tutto a posto. Se avessi saputo prima, che mi ero innamorata di un pazzo, non mi sarei mai permessa di soffrire per lui come ho sofferto per te».
Tommaso mi ignorò e continuò:
«Io l'ho inventata perché ho avuto paura». La sua voce sincera mi impedì di interromperlo di nuovo.
Vedendo che lo lasciavo parlare, Tommaso incominciò la sua confessione, con quanta chiarezza era in grado di chiamare a raccolta nella sua mente: «Temevo che avrei perso l'amicizia di Edmund... Lui era rimasto malissimo, quando gli avevo detto che credevo di essermi innamorato di te. Aveva detto che non era possibile, che tu eri troppo piccola, che mi stavo sbagliando, che era solo perché ci vedevamo tutti i giorni, perché passavo la mia intera esistenza a casa vostra... E io ho sempre creduto che Edmund avesse ragione su ogni cosa. Per questo, ti ho chiesto di aspettare un anno, così Edmund si sarebbe abituato all'idea... Temevo che avrei potuto ad un certo punto - troppo tardi - scoprire che mi ero inventato ogni cosa. Tu eri troppo piccola... E anch'io lo ero. Se fosse successo davvero, avrei perso la sua amicizia, la vostra famiglia, e anche te. E io non potevo permettere che accadesse! Voi eravate troppo importanti per me. Non potevo perdervi. Così ho creduto che, se avessi inventato quella storia su Ilaria, e se avessi detto a Edmund che mi ero innamorato di un'altra e che ti avevo dimenticato, Edmund si sarebbe sentito sollevato al pensiero che tu eri libera. Mi sono sbagliato. Edmund aveva capito una cosa che io non avevo voluto vedere: che tu eri davvero innamorata di me e che questo ti avrebbe fatto soffrire. E mi ha gridato di tutto al telefono. Mi ha detto: "E va bene, se tu sei un vigliacco e non vuoi prenderti la responsabilità di quello che fai, allora sarò io a dirglielo. Ma sappi che, in questo modo, tu hai chiuso con lei, con la mia famiglia e con me". Solo in quel momento mi sono reso davvero conto di cosa avevo fatto. Senza Edmund, io ho sempre fatto solo casini. Se non fossi stato via per tutta l'estate in Sardegna, non avrei mai creato questo disastro. Non devi arrabbiarti con Edmund per non averti mai detto che era solamente una mia invenzione. Edmund non lo sa. Non ho mai voluto dirglielo... Era già distrutto dal senso di colpa, e non potevo addossargli anche questo...
Così almeno poteva essere sicuro che la colpa era solo mia. Se, invece, gli avessi detto che l'avevo fatto perché avevo paura di perdere la sua amicizia e perché temevo che avesse ragione quando mi aveva detto che fra me e te non poteva essere una cosa seria, non se lo sarebbe mai perdonato. Ecco perché non lo sa neppure adesso». Non so per quanto tempo sono rimasta in silenzio, scioccata, a guardarlo ad occhi spalancati e a bocca aperta. Penso di averci impiegato secoli, per assimilare quell'intera storia.
Era la prima volta che Tommaso trovava il coraggio di parlare.
Aveva detto tutto, senza tralasciare niente. Neppure le cose che potevano ferirmi.
Alla fine gli dissi:
«Ma... mio fratello... voi siete tornati amici!».
«Edmund ha sempre avuto la vista più lunga della mia. Lui aveva capito che tutto quanto era avvenuto perché io avevo paura. Non aveva la più pallida idea che fosse tutto inventato, credeva anzi che fosse vero. Ma quando sono tornato e l'ho implorato di perdonarmi, dicendogli che ero ancora innamorato di te, che non avevo mai smesso di esserlo, e che non volevo perdere anche la sua amicizia, Edmund ha capito che ero sincero. Ma non siamo più tornati davvero amici come prima. Se non ci fosse stato Dragonfly, ci saremmo allontanati. Dragonfly è stato la nostra fortuna. Perché Edmund non è mai riuscito a perdonarmi fino in fondo per quello che ti ho fatto e non era disposto a rischiare il suo nuovo stile di vita per me, dopo che avevo tradito la sua fiducia nel peggiore dei modi. Non devi biasimarlo per avermi perdonato. Lui mi conosceva più di chiunque altro. Sapeva che avevo fatto del male a te, ma che ne avevo fatto anche tanto a me. Mi ha perdonato in nome della nostra amicizia. In fondo, credo che sapesse che la colpa era anche sua».
«E, quindi, tu eri davvero innamorato di me?».
«Sì».
«E non hai mai smesso di esserlo?».
«No».
«E ti sei inventato tutto, dal principio alla fine?».
«Sì».
«E non c'è mai stata alcuna Ilaria?».
«Non c'è mai stata neppure l'ombra di un'Ilaria».
Per me era troppo.
Il mio cuore aveva deciso che non avrebbe più sofferto tanto come quattro anni fa. Si era chiuso e non aveva fatto più entrare nessuno. Per quasi cinque anni avevo vissuto fra i miei dischi, in quel confortante cantuccio formato dal cuore di legno della mia chitarra, prigioniera delle sue corde, che mi proteggevano dal resto del mondo. Con gli altri fingevo di essere sicura di me, di avere un carattere forte e deciso.
In realtà, era perché non potevo sopportare altre delusioni.
E ora scoprivo che tutto questo era colpa di uno stupido sentimento di paura, di una stupida amicizia, di quello stupido di mio fratello!
«E così» dissi, abbassando lo sguardo a terra con un respiro profondo, troppo arrabbiata per guardarlo negli occhi, e scandendo ogni sillaba: «E così, tu hai distrutto ogni speranza che potevi avere con me solo perché temevi di perdere la tua amicizia con mio fratello? É questo, che mi stai dicendo? Il nostro amore non valeva quanto la vostra amicizia, è così?».
«No...». Tommaso parve in ansia, cercò le parole giuste, scosse la testa più volte, chiuse gli occhi ed esclamò ad intermittenza: «No... No, assolutamente! É che ...ho avuto paura!».
«Paura di cosa? Paura di cosa?! Non avevo neppure tredici anni!».
«Paura di questo! Dei tuoi tredici anni! Era troppo presto... Io non potevo perdere te, Edmund, la tua famiglia... Se poi fosse andata male con te, vi avrei perso tutti!».
«Se fosse andata male!» esclamai, scuotendo la testa, con una risata che rasentava l'isterismo.
«La verità è un'altra! Tu hai sacrificato tutto, solo per mio fratello! Per lui, hai sacrificato anche me!».
«Ti sbagli! É per te che ho sacrificato tutto. Ho sacrificato anche lui, per te. Se non fosse stato per te, io non avrei mai avuto quella maledetta idea! Se non fosse stato per te, non avrei perso la stima di Edmund...» esclamò Tommaso, scuotendo la testa con forza.
«Ah, allora è colpa mia, se voi due non siete più amici come prima, eh? Solo di questo, ti importa! Non fai che parlare di mio fratello! Edmund di qua, Edmund di là! Sempre e solo Edmund!».
Scoppiai in lacrime. Essere gelosa di mio fratello mi faceva stare malissimo.
Dopo parecchi minuti, in cui Tommaso mi guardò piangere in silenzio, si decise a parlare.
Lo fece con un tono serio, guardandomi fisso negli occhi.
In quelle parole mise tutto il suo coraggio. In quelle parole confluirono tutti i pensieri, le emozioni, gli stati d'animo che si erano agitati dentro di lui per tutti e quattro gli anni in cui si era tenuto tutto dentro come un geloso segreto:
«Jade...» incominciò. «Io ho fatto una cosa molto stupida, di cui mi pentirò per tutta la vita. Ma ciò di cui mi pento di più non è affatto l'aver perso l'amicizia di Edmund, ma l'averti fatto tanto male... e aver sprecato la mia unica occasione con te... Volevo solo che tu lo sapessi...».
Quando ebbe finito mi guardò per qualche secondo. E, prima che riuscissi a reagire, lo vidi scomparire dietro alla mia porta e lo sentii allontanarsi a passi irregolari per tutto il corridoio.
Il portone sbatté dietro di lui. Aspettai invano che tornasse da me.
Mi sembrava di vederlo sulla soglia di camera mia, pronto a chiedermi ciò che aspettavo da quattro anni.
Ma lui non ritornava.
Davvero l'avrei lasciato andar via così?
Non avrei fatto nulla per farlo tornare indietro?
Avrei aspettato quattro anni ancora, per scoprire infine che era troppo tardi?
Forse non mi resi conto di averlo fatto.
Sicuramente non seppi di essermi messa a correre, di aver spalancato la porta della mia camera, di averlo rincorso per il corridoio, di aver aperto il portone finché non lo rividi di fronte a me, a pochi passi di distanza, mentre mi guardava con un'espressione di sorpresa in cui io credetti di vedere una speranza brillare di nascosto.
«Tommy!» gli gridai, appena lo vidi, sorridendo...
«Jade» mormorò lui, senza osare sperare qualcosa di più di un semplice "ti perdono".
«Tommy! Non è troppo tardi!» gli gridai, felice.
E gli corsi incontro, abbracciandolo, proprio come nei film.
Il sorriso di gioia che comparve sul volto di Tommy mentre gli piombavo addosso mi ripagò di ogni momento di ansia e paura provato in quei quattro anni.

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