19. DEVE ESSERE L'AUTOBUS - 2

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Camminiamo uno a fianco all'altra in silenzio.

Lui non mi guarda e io faccio altrettanto. Mi concentro nello sforzo creativo di apparire incantata dal panorama. Purtroppo, è un paesaggio che conosco a memoria e che non ha nessuna attrattiva, eccetto le buche sull'asfalto del vecchio marciapiede, dove l'acqua piovana rispecchia le fantasiose forme delle nuvole.

La strada, per fortuna, non è tanta. Altrimenti, non saprei più cosa inventarmi per fingermi a mio agio accanto a lui.

Noto che non sta indossando nulla di rosa. Di solito, è sempre vestito di rosa. Forse, è un buon segno. Il nero gli sta molto meglio.

Arriviamo a casa di Chiara con qualche minuto di ritardo. Tommaso parcheggia il motorino e ci viene incontro. Fa un'espressione non molto positiva a vederci insieme. Forse teme che ci siamo incontrati qui e che non ci siamo scambiati neppure una parola...

Ed lo saluta con un cenno del capo. Tommaso fa quasi come se non lo conoscesse, e saluta me. La cosa mi sembra sospetta. Poi, finalmente, si rivolge a lui: «Ehi, Ed, già qui? Fretta di arrivare, eh?».

Edmund lo guarda storto: «La corriera era in ritardo».

«Già, ci siamo dovuti fermare ad un incrocio per il traffico» confermo io.

«Ci siamo?!» chiede Tommaso, sorpreso.

«Già. Edmund abita verso casa mia, abbiamo preso la corriera insieme».

«Ok. Entriamo» taglia corto lui.

Tommy fa strada, Ed dietro e io per ultima. Questa gerarchia dei posti in un certo senso ci caratterizza: quando Tommy è arrabbiato con qualcuno è sempre qualche metro avanti a tutti. Mentre io ho lasciato passare avanti sia Tommaso che Edmund, per poter vedere la faccia di Chiara quando li vede.

E, in effetti, valeva la pena. Vedendo Ed, la smorfia che aveva sulla faccia dopo aver visto Tommy si è tramutata in un sorriso a trentadue denti.

Ma questa non è una novità.

«Ciao, Chiara».

«Ciao, Diany. Allora, pronta per un pomeriggio di pura matematica?».

«Sì, e tu?».

«Oh, beh, anch'io».

Risposta meccanica: non ha capito la mia domanda, o ha fatto finta di non capire. Comunque, già mentre mi rispondeva, era con la mente altrove.

Il pomeriggio passa molto più velocemente del previsto, fra l'osservare lo strano comportamento di Tommy nei confronti di Ed, l'atteggiamento da civetta di Chiara, e il comportamento per me nuovo di Edmund. Purtroppo per Chiara, non ho notato partecipazione da questo punto di vista: Edmund sembrava a momenti troppo preso dalla spiegazione, e a momenti, turbato dal modo in cui Tommaso gli ha rivolto la parola per tutto il tempo.

In effetti, Tommaso mi è parso arrabbiato nei suoi confronti. E più cerco di capirne il perché, meno lo capisco: stamattina sembravano amici...

Pensavo che, verso la fine del pomeriggio, Tommy avrebbe sbollito un po' della sua rabbia. Invece, più il tempo passava, più diventava acido. Edmund ha fatto finta di non accorgersi di niente, finché, alla fine, ha perso la pazienza.

Mi ha colpito particolarmente uno scambio di battute che mi ha convinto che non sono in ottimi rapporti.
Ed stava rispondendo a Chiara che, fra un esercizio e l'altro, non ha fatto che interromperlo:

«Non ho cambiato sezione perché non sopportavo più i miei compagni, ma solo per...».

Tommaso ha buttato lì, ridendo: «Ha lasciato gli amici di quattro anni per una ragazza».

Edmund l'ha fulminato con lo sguardo, e, riabbassando immediatamente gli occhi sul foglio, con tono alterato, ha risposto: «Nessuna ragazza».

«Ah no? Perché non capisco quale altro motivo sia abbastanza valido da convincere una persona ad abbandonare i suoi amici così su due piedi».

«Forse per te l'amicizia non conta, se c'è di mezzo una ragazza...!» ha esclamato Edmund, ma poi ha cambiato tono ed ha aggiunto, calmo: «Ma, per me, hanno valore entrambe. E, comunque, ho cambiato sezione perché mio padre insegna nella A».

«E i tuoi amici cosa ne pensano?».

«Loro lo sapevano benissimo che dovevo cambiare sezione, e poi, l'amicizia, se è vera amicizia, sopravvive anche se non si passa ogni mattina insieme».

«Certo, se mai ti perdoneranno».

«Non ho abbandonato i miei vecchi amici, posso vederli quando voglio, se anche loro vogliono».

«E pensi che loro non si siano offesi quando tu te ne sei andato?».

«Se si sono offesi, allora non hanno capito un accidente di me».

E lì è terminata la discussione.
Edmund mi è sembrato piuttosto offeso da quello che stava insinuando Tommy.
Invano, ho cercato di capire questo scambio di battute.
Tommaso e Edmund si conoscevano da prima, oppure è successo qualcosa di recente per cui non sono in ottimi rapporti?
A scuola, non li ho mai visti insieme, né quest'anno, né tanto meno gli anni scorsi, per cui non possono essere amici da tanto. Anche se, in realtà, gli anni scorsi, non ho neppure mai visto Edmund.

Mi piacerebbe moltissimo scoprire qualcosa in più su questa storia. Stamattina sembravano due che si scambiano ogni tanto qualche parola per puro omaggio alla cortesia e che non sono mai passati dallo stato di conoscenti a quello di amici.

Stamattina non avrei mai osato offendere l'intelligenza di Tommy credendolo un amico stretto del famosissimo Edmund Lloyd. Cos'è cambiato? Per arrivare a parlarsi come hanno fatto oggi pomeriggio, ci vuole come minimo un'amicizia di qualche mese... Ma per ora non c'è modo di scoprirlo.

Invece, per quanto riguarda matematica, è stato - devo ammetterlo - illuminante. Certo, anche la più piccola luce avrebbe potuto illuminare un po' di più le tenebre che regnavano nella mia mente. Soprattutto, però, ora ho due motivi per prendere un bel voto: per dar soddisfazione al prof e a Ed, che ci si è messo davvero, per aiutarmi.
L'interrogazione è un successo.
Avevo creduto che sarebbe stata un'esperienza traumatica, e mi ero preparata di conseguenza, invece adesso mi sembra una passeggiata. Quando non la si conosce, ogni cosa appare difficile e complicata: soltanto dopo, ci si rende conto di essersi preoccupati per nulla. Studiare un argomento nuovo e completamente sconosciuto significa passare per queste tre tappe necessarie: "Aiuto, non ce la farò mai!". "Però... sembra addirittura interessante!". "Ok, forse ce la posso fare". Una ripida salita, seguita da una rapida discesa.

I dubbi che ti assalgono alla fine del tragitto sono soltanto nuvole passeggere, destinate a diradarsi in fretta, ma indispensabili perché possa scattare l'ansia da prestazione, necessaria per dare il meglio di sé. Almeno, questo è ciò che ho sperimentato personalmente nel mio percorso di studi.

All'inizio il prof mi chiede esercizi semplici, ma, vedendo che so rispondere senza incertezza, incomincia a chiedermi cose più difficili e, in effetti, me la cavo perfettamente.

Sento su di me lo sguardo attento dei miei compagni di studio, anche se dubito che quello di Chiara sia davvero rivolto a me. Temevo di deludere le mie aspettative, quelle del prof e quelle di Edmund. Ma, ancora una volta, l'ansia di prestazione fa il suo lavoro: una giusta dose, non troppa né troppo poca, che non mi impedisce di ragionare e, anzi, mi dà la spinta necessaria per rispondere nel migliore dei modi.

Il risultato è un sorriso mascherato da parte del prof, un sorriso aperto da parte di Tommy, un grande senso di soddisfazione personale e un 5+ sul libretto, voto che comprende anche la verifica di ieri. Mentre mi vado a sedere, lancio uno sguardo di sfuggita a Ed, ma sta parlando con Chiara.

Sono un po' delusa, in effetti, ma anche inspiegabilmente sollevata, perché temevo più di tutti il giudizio di Edmund, dal quale dipende in gran parte il voto che ho preso. Passa una buona oretta, prima che io riesca a tornare con i piedi per terra. La mente umana è fatta così: perennemente offuscata dalle emozioni.

In questo caso, da un discreto senso di autocompiacimento.

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