62. SCUSA, POTRESTI RIPETERE?

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Con la tua immagine
e con il tuo amore,
benché assente,
sei ogni ora presente.
Non puoi allontanarti
oltre il confine dei miei pensieri, perché io sono ogni ora con essi,
ed essi, con te.


Shakespeare

«Mi stavo chiedendo...».
«Sì, cosa?» dico, soprappensiero, continuando a scattare foto alla vetta della torre.
«Diana?». Davide invoca la mia attenzione.
«Si?» dico, sempre guardando nell'obiettivo.
«Dian, smetti di fare foto, per favore?». Dal tono, direi che Davide è un po' infastidito.
Sorpresa, mi volto verso di lui e mi rendo conto che è piuttosto agitato. Non me ne ero accorta prima. Metto giù la macchina fotografica, con calma. Poi torno a guardarlo e gli chiedo:
«Sì? Cosa ti stavi chiedendo?».
«Mi stavo chiedendo...» e si blocca, guardandomi in modo strano. Poi riprende, con un sorriso un po' imbarazzato: «Cosa è successo tra voi due?».
«Tra noi chi?» rispondo io, fingendo di non aver capito.
«Lo sai... Tra voi due!» dice Davide, con tono impaziente.
«Tra noi due chi, Davide? Non ti capisco».
«Tra te e Edmund» dice Davide, pronunciando il nome di Edmund tra i denti.
«Niente, un malinteso» rispondo fingendo noncuranza.
«Che genere di malinteso?».
Cosa faccio? Se è vero che si era innamorato di me, sono già stata la causa di una buona dose di infelicità e non voglio causargliene ancora, sconfessandolo con Davide, che tra parentesi detesta... Cosa posso dire a Davide, senza che indovini tutto?
«Te l'ho detto, che non ho una gran simpatia per lui... Il fatto che è un mio compagno di classe e che abita vicino a me peggiora le cose: ci obbliga ad una connivenza forzata, e così alla fine siamo arrivati al punto di non poterci più sopportare a vicenda».
«È così? Tutto qui?» mi dice, dubbioso.
«Sì».
Ma non è affatto convinto. Anzi, dopo qualche secondo di silenzio: «So che stavate per mettervi insieme» dice, secco, senza guardarmi.
Ma allora lo sapeva! Cosa gli dico adesso? Non posso mentire...
«Non proprio» rispondo.
«Allora è vero!» dice, girandosi verso di me.
«In parte».
«No! Devi dirmi come è andata. Eri tu che... Insomma, eri tu che gliel'hai chiesto o è stato lui?».
«In ogni caso... a me non piace» rispondo, cercando subito di mettere in chiaro che sono libera e apertissima ad una nuova proposta.
Lo so: sta per chiedermelo!
«Allora sei stata tu che gli hai detto di no» dice, con un sorriso.
«Forse» gli dico incoraggiante.
«Perché?».
«Perché non mi piace. Quello che voglio io è l'esatto suo opposto» dico, convinta di avergli dato abbastanza incoraggiamento. E, infatti, con un sorriso, chiede: «Allora... ti potrebbe piacere... uno come me?».
«Forse».
«Allora ti andrebbe di metterci insieme?».
Tutto qui? Non è molto romantico. "Ti andrebbe"... La fa sembrare una cosa come: "Ti andrebbe un gelato? E se non ti piace al cioccolato nero, c'è il cioccolato bianco".
Non sento alcun calore, alcuna fitta di felicità. Il cuore batte calmo e tranquillo e non intende affatto svegliarsi dal suo torpore.
Ho provato molto di più quando me lo ha chiesto Edmund.
«Scusa... potresti ripetere?».
Davide sembra sorpreso e anche un tantino infastidito: «Dico... possiamo metterci insieme, no?».
Ancora peggio di prima.
Tutta l'aspettativa cala. Non sono più agitata e anzi sono piuttosto delusa. Poi penso che non può essere la modalità della dichiarazione a convincermi che lui non vada bene per me. Mi ripeto che è in ansia e che, se non lo fosse, avrebbe escogitato una frase un po' più bella. Cerco di ripensare a tutte le qualità che gli ho attribuito fino ad adesso e per cui me lo figuravo come il ragazzo perfetto. Alto e bello, ok. Capelli castani...
Ora che ci penso, mi sono sempre piaciuti i capelli neri... Come Edmond Dantes: capelli color dell'ebano...
E gli occhi azzurro chiaro... li ho sempre considerati un po' freddi: sono molto più profondi gli occhi scuri.
E poi ha il naso perfetto: é troppo piccolo. Non posso stare con un ragazzo con un naso più piccolo del mio.
Perché allora mi è sembrato tanto bello, quando l'ho visto la prima volta? Non capisco: ora, tutto d'un tratto, il principe azzurro si trasforma davanti ai miei occhi... non proprio in un rospo, ma in una specie di scialbo insignificante Azzurro come quello di Shrek.
Non è normale. Perché ero convinta che mi piacesse tanto? Cerca di ricordare, Diana... perché era molto simile a me, mi dicevo. Ma in cosa? Ok, anch'io non voglio stare al centro dell'attenzione, e anche a me piace Star Wars. Ma cos'altro c'era? Non riesco a ricordare... Davide mi guarda attonito. Poi si scuote e sul suo volto si accende una cocente rabbia che non mi piace per niente. Ci trovo persino una bella dose di arroganza quando mi dice:
«Beh? Non rispondi? Credevo fosse quello che volevi anche tu!».
Era quello che volevo anch'io?
Anch'io credevo così, qualche minuto fa... ma ora non ne sono più così sicura...
«Non so cosa voglio» mormoro tra me e me.
«Allora?! Dian?! Rispondi!».
Ehi, calmati! É una scelta importante....
Perché mi attacca così? Forse che non ho diritto ad un attimo di confusione?
«No, senti. Credo di no».
«Cosa?!» sbotta, incredulo: «Mi avevi fatto credere che lo volevi».
«Mi dispiace... Anch'io lo pensavo...».
Si calma, prende un respiro e dice:
«Dian, che ti prende? Forse non ti sei accorta che ti ho chiesto di metterti con me... Era da un po' che volevo farlo, pensavo che tu stessi aspettando il momento giusto... E ora mi sembri confusa... Ma sono sicuro che tra qualche minuto ti riprenderai e realizzerai che è tutto vero, che te l'ho chiesto davvero e che il tuo sogno si è finalmente realizzato».
Lo guardo stupefatta. Come poteva piacermi uno così? É tanto sicuro di sé che non ha ancora capito che l'ho rifiutato!
«Il mio sogno?! Che ne sai tu dei miei sogni?».
Ma poi cerco di assumere un tono calmo per non ferirlo:
«Mi dispiace, ma non sono innamorata di te. Credevo di sì, ma ora ho finalmente capito che mi ero sbagliata. Mi dispiace davvero se ti ho incoraggiato in questo periodo e ti ho fatto credere che avrei detto di sì. Non ho scuse. L'unica mia scusante è che avevo preso un completo e perfetto abbaglio e che ci credevo anch'io».
«Non sai di cosa stai parlando...» dice lui, scuotendo la testa come stesse parlando con una matta.
«Sì che lo so, devi credermi!».
«No, Dian. Ne parliamo più tardi, eh? Vedrai che domani capirai di aver commesso uno sbaglio».
«Non mi sto sbagliando, Davide! Devi credermi! Non potrei essere più sicura di così!».
«Tranquilla, non devi rispondermi subito, Dian. É evidente che ora non sei in te».
«Ma io ho già deciso, Davide!» esclamo, fuori di me dalla rabbia. Poi mi blocco. «Io non posso stare con te perché...».
Perché?
Nella mia mente si formano delle parole estranee. Parole che non mi appartengono. Ma parole troppo vere.
Sussurro: «Perché sono innamorata di Edmund!».
Non riesco a credere di averlo detto!
Era la mia voce, ne sono sicura.
L'aver avuto il coraggio di dirlo prima ancora di realizzarlo, mi fa sentire dolorosamente felice.
É vero! Ora capisco tutto! Io sono innamorata di Edmund Lloyd.
Lo sono sempre stata, in realtà... Ma non ho mai voluto aprire gli occhi, perché non lo consideravo alla mia altezza: mi ero sempre immaginata il ragazzo perfetto, ne avevo messo a punto difetti e qualità, aspetto fisico e carattere... Avevo persino scelto il modo in cui avremmo dovuto incontrarci, il modo in cui mi avrebbe chiesto di mettermi con lui. Non potevo credere di essermi innamorata di qualcuno che non rispondeva alla descrizione... Edmund si era presentato come l'esatto opposto, lo disprezzavo troppo per accettare il fatto che... in fondo mi piaceva.
Davide è fuori di sé dalla rabbia.
«Ma di che diavolo stai parlando! Tu lo odi! E sei innamorata di me!».
«No, non lo odio... Non lo odio affatto!» dico. Le mie parole sorprendono più me che Davide.
Davide scuote la testa con rabbia ed impazienza.
«Vieni, tra poco l'autobus parte!» dice.
L'autobus sta partendo. La gita è finita.
Ma non posso fare il viaggio in questo stato, accanto a Davide e con Edmund a qualche metro di distanza!
Che ansia.... lo rivedrò entro qualche minuto!
Mi passo una mano sui capelli, per sistemarli. Sono tutti in piedi e in disordine.
«Davide, mi dispiace... non penso sia il caso di fare il viaggio in autobus a fianco come all'andata...».
Mi liscio la maglia, sennò sembro grassa.
«Ma non dire stupidaggini. I posti sono fissi. Faremo il viaggio accanto e spero ti servirà per riprenderti dalle tue allucinazioni su Edmund Lloyd... Non vorrai certo essere una delle tante che è caduta nella rete, no? Io lo so che tu non sei una di loro! Non sei stupida come loro. E poi di certo Lloyd non parlava seriamente, se ti ha chiesto di metterti con lui».
Questo è davvero troppo.
Smetto immediatamente di tirarmi giù la cerniera del giubbotto antivento, posticipando ogni buona intenzione di rendermi presentabile.
«Stai forse dicendo che uno come lui non può stare con una ragazza come me? Tu vuoi dire che mi stava prendendo in giro, non è così?! Sei davvero un arrogante! E non capisco proprio come ho fatto a credere che tu fossi meglio di lui! Lui non è arrogante, presuntuoso, stupido neppure la metà di te!».
Ora credo che abbia capito che il mio delirio non ha affatto breve durata. Mi guarda attonito, incapace di rispondere, ferito dalle mie parole, pieno di vergogna e cocente rabbia per il mio rifiuto.
Mi coglie un improvviso senso di pena. In fondo sono io che l'ho incoraggiato! Sono io che gli ho fatto credere che gli avrei risposto di sì! Sono io che gli ho detto che Edmund era l'esatto opposto del mio ideale!
É tutta colpa mia...
Ho ferito ben due persone che dicono di amarmi... Tutto ciò non è giusto! Se solo me ne fossi accorta prima!
E ora...
O mio Dio! E se Lloyd non mi volesse più? Se in questi tre mesi, ha cambiato idea su di me come io ho cambiato idea su Davide in poco più che tre minuti?!
E se ora anzi mi disprezza e non ha più stima per me, così come io disprezzo e non stimo più Davide, che fino a poco fa credevo fosse il ragazzo perfetto per me?!
Non posso sopportare questo dubbio, mi fa uscire di testa.
Mi guardo attorno, come in una campana di vetro. Davide se ne è andato, sta salendo sull'autobus, e sta prendendo posto.
Accanto a me, da varie direzioni, compaiono i miei compagni di classe e quelli di Davide.
Fra loro arrivano anche Tommy e Chiara. Sembrano felici, tanto da non notare la tempesta che sta avvenendo nel mio animo adesso. Passano oltre, ridendo fra loro, e si fermano davanti all'autobus. E io rimango qui, a guardarli salire, ferma ad una cinquantina di metri.
Compare anche Edmund.
Io lo guardo da lontano: è con due amici con cui non mi ricordo di averlo mai visto. Sono di altre classi. Ma, cosa assai strana, sono ... normali. Non sembrano vestiti come delle popolarità della scuola, ma, anzi, con semplici felpe e jeans.
Anche Edmund sembra vestito in modo diverso dal solito...
Ha un paio di pantaloni beige, e una camicia blu scuro. Vederlo vestito così mi fa un effetto stranissimo.
Non è il ragazzo vestito di rosa che ho conosciuto qualche mese fa... E non mi ero neppure accorta di come è cambiato il portamento, come siano più ampie le sue spalle, ora che non le tiene più curve in quel classico atteggiamento scimmiesco spalle in giù, gambe larghe, ginocchia piegate, braccia penzoloni... Sembra un'altra persona.
Come ho fatto a credere che Davide fosse il mio ideale?
Edmund è il mio ideale.
É esattamente come mi immaginavo Il Corrotto: alto, bello, capelli e occhi neri, vestito bene, espressione seria e un po' riservata, ma pronta a sorridere in ogni momento. Ora lo vedo: è un po' scontroso, all'inizio... ma in realtà è sensibile e persino... dolce. Questo è davvero lui. La popolarità della scuola è scomparsa. Ora Edmund Lloyd e Il Corrotto sono davvero la stessa persona.
Sento dal di fuori della campana di vetro Tommy che grida:
«Ehi, Ed! Ho vinto la scommessa!».
Ed sorride a trentadue denti e gli grida di rimando:
«Ehi, aspetta a cantare vittoria! Prima voglio verificare di persona».
In quel momento, incrocia il mio sguardo, per sbaglio. Il sorriso svanisce dal suo volto per qualche secondo, mentre mi guarda con aria lontana e vaga, poi torna a sorridere e a parlare con i suoi amici. Si avvicina all'autobus e da lontano vedo Tommy e Ed che si scambiano delle battute e ridono. Poi salgono sull'autobus. Poco prima di salire, Ed mi lancia un'altra occhiata veloce, ma pare quasi che non mi veda.
Mi avvicino stancamente e con un gusto amaro in bocca. Edmund non sembra per niente interessato a me. Anzi, quasi mi ignora. Sento un vuoto enorme nello stomaco, mentre salgo sull'autobus e mi guardo attorno alla ricerca di un posto libero, senza forze neppure per sperare che non sia accanto a Davide.

Davide si è seduto accanto a Dan il petulante. Immagazzino il dato, registrandolo senza però realizzare. Pur di non sedersi accanto a me, si è seduto accanto a Dan il petulante. Si è messo le cuffie per non ascoltare le sue domande e finge di dormire. Per questo lo devo davvero ringraziare: per avermi risparmiato ben tre ore di viaggio accanto a lui. E accanto a Dan.
Mi guardo ancora intorno, c'è un posto libero dove all'andata eravamo io e Davide. Mi siedo lì e mi giro verso il finestrino senza neppure levarmi la giacca o posare la borsa. Mi sento senza forze.
Fra un centinaio di voci mi sembra di sentire quella di Ed, ma non distinguo quello che dice. Sta parlando con Tommy.
All'improvviso una quantità enorme di dati mi affollano la mente, come memorie di una vita passata che non mi ricordo di aver vissuto. Tommy e Ed sono diventati molto amici. Ora sono inseparabili.
Ho talmente evitato ogni contatto con Edmund, che mi sono allontanata dai miei più cari amici e non sono più nemmeno andata sul giornale.
Non sono andata sul giornale.
Non volevo che fosse Edmund a doversi ritirare per colpa mia. Non sarebbe stato giusto.
Per lui il giornale era l'unica valvola di sfogo della personalità che per il resto del tempo teneva nascosta. Lui ne era il creatore ed il leader. Lui li teneva uniti tutti. Io non potevo imporgli di abbandonare il giornale e andarci tutti e due sarebbe stato impossibile. Li ho salutati in fretta, per evitare spiegazioni che potessero metterlo nei casini. Tommy si è diviso fra me e Edmund con grande fatica. Non ho voluto privarli di questa amicizia, di cui Edmund aveva bisogno - ora lo so - per poter gettar via la sua vecchia maschera.
L'avevo evitato in tutti i modi, ignorato con ogni mezzo e avevo finito per non vederlo quasi più. Solo ora mi sono accorta del suo enorme cambiamento.
Nel frattempo, io mi ero dedicata alla scuola e soprattutto, mi vergogno a pensarci adesso, a Davide.
Non so come ho potuto essere tanto cieca da preferire Davide a Edmund. E alla fine li ho persi entrambi, insieme ai miei amici, e al giornale.


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