79. DI COSA DOVREI ESSERE FELICE -2

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La preside spostò il peso del corpo sul piede sinistro, impaziente. Poi, su quello destro, attendendo invano che lui si facesse largo in mezzo alla folla. Finalmente, socchiudendo gli occhi innervosita, avvicinò di nuovo il microfono alle labbra e disse: «Edmund Lloyd. Ti avverto che questa non te la puoi proprio evitare. Quindi supera questa specie di timidezza - che, tra parentesi, non convince nessuno - e sali su questo palco immediatamente».

Subito dopo aver detto quelle parole, la preside si girò verso la telecamera più vicina, dicendole tra i denti: «Taglia questa scena!».

Edmund annuì a sé stesso. Era vero, non poteva farci niente. Se non fosse salito su quel palco, avrebbe solamente dimostrato di essere un vigliacco, incapace di far fronte alle conseguenze delle proprie azioni. Poiché, come sempre, si trovava nelle ultime file, l'avanzata fu lunga e faticosa.

«Prego, scusate» disse a quelli che gli stavano attorno e lo fissavano confusi. «Permesso». E si fece largo tra la folla, a spintoni: «Avanti, ragazzi. Devo passare! L'avete capito o no? Sono Edmund Lloyd!». Alla fine, come di fronte a Mosè, il mare di studenti si divise in due per farlo passare.

Ecco, così era ancora peggio.
Ma ormai non gli importava più di niente.
Se era vero che Diana lo ricambiava, a Edmund non gliene fregava più di sapere che fine avrebbe fatto la sua reputazione.
Cosa importava, se il suo tema veniva reso ufficiale, ormai? Ma sì, poteva anche salirci a testa alta su quel palco, e poteva persino leggere il proprio tema di fronte a tutta la scuola.

Raggiunse il palco nel più assoluto mutismo, lentamente, sotto gli occhi di tutti. Salì le scalette, sfilò di fronte alla schiera di professori, senza incrociare lo sguardo con nessuno e si fermò di fronte alla preside, nel bel mezzo del palco.

La preside, vedendolo salire con quell'espressione determinata, non osò dirgli niente. Porse il microfono al capo della commissione che aveva eletto il vincitore del concorso, dicendogli sottovoce: «Eccolo. Questo è il ragazzo. É arrivato».

Il capo della commissione lo squadrò per un momento, poi si rivolse alla sala: «Siamo felici di consegnare il primo premio della quindicesima edizione del concorso nazionale Il Veliero a Edmund Lloyd, per il suo tema Io Leviathan, per il quale gli facciamo i nostri più sentiti complimenti».
Poi si voltò verso Edmund e, con un sorriso, gli disse: «Davvero, complimenti, ragazzo. Il tuo tema vale ben il primo premio di questo concorso!». E gli strinse la mano.
Edmund rispose un secco «Grazie» prima che l'altro si rivolgesse di nuovo a guardare la sala: «E lo invitiamo alla cerimonia della premiazione che si terrà sabato prossimo. Naturalmente, è tutto pagato, ragazzo».

Edmund annuì, sforzandosi di sorridere.
«Ma mi hanno detto...» disse il commissario: «Che tuo padre, Edmund, non era al corrente della tua partecipazione al concorso... é così? É davvero come mi è stato riferito? Perché confesso che mi riesce difficile crederlo...».
Edmund annuì.
«Sei un tipo di poche parole, eh, ragazzo? Non sulla carta, certamente! Bene, non importa! La preside del vostro liceo mi ha già detto quanto basta: tuo padre è un professore, giusto? Ed insegna, se non sbaglio, proprio nel tuo stesso liceo... Vogliamo invitarlo a raggiungerci? Professor Andrew Lloyd, è qui presente? Le andrebbe di venire a stringere la mano a suo figlio per questo trionfo? Le assicuro che non è una cosa da tutti i giorni, vincere il primo premio del Veliero!».

Fu fatto largo ad uno scioccato e confuso professor Andrew Lloyd, che, una volta salito sul palco, non riuscì nemmeno a guardare in faccia suo figlio per la sorpresa.
Il capo della commissione rimase un po' deluso da quella mancanza di effusione.
Edmund si sentì rattristato dalla scena. Suo padre non poteva capire cosa stava succedendo.
E neppure Diana poteva capire. Nessuno, tranne la preside, era in grado di capire! Doveva farsi forza e spiegare ogni cosa a tutti, sapendo che in mezzo a quella sala c'era anche Diana e che qualsiasi cosa lui avesse detto sarebbe arrivata alle sue orecchie.
Così disse: «Signore, posso dire due parole?».
Felice che il vincitore avesse finalmente ritrovato la voce, il commissario fece un gran sorriso e disse, porgendogli il microfono: «Ma certo, ragazzo! É il tuo momento! Dì quello che vuoi!».

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