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"Lord forgive me for the things I've done
I was never meant to hurt no one
And I saw scars upon a brokenhearted lover
Oh, no, don't leave me lonely now
If you loved me how'd you never learn."
BLOODSTREAM – ED SHEERAN

MALI-KOA
Un tocco sul viso: due mani, umide, calde.

Un tocco sulle labbra: altre labbra, umide, calde.

Mi rigirai nel lenzuolo, la schiena indolenzita, troppo sonno negli occhi per riuscire a spalancarli. Faceva freddo ed anche i suoni che mi circondavano sembravano freddi. Il motore rombante di un'auto in strada, il fischio del tram sulle rotaie, il fruscio dei teli di plastica mossi da passi esitanti. Una porta che si chiudeva.

Ero davvero troppo stanca, i muscoli dolcemente doloranti. Sentii un sorriso allargarsi sulle mie labbra, che mi si congelò sul viso quando mi resi conto che faceva davvero troppo freddo. Nessun freddo mi aveva disturbato prima, quando un corpo bollente si era occupato di riscaldare il mio sonno tranquillo.

Ricordavo delle braccia stringermi la vita, una gamba nuda tra le mie, un respiro infrangersi sulla mia nuca, ma il tutto era solo un ricordo, perché ora faceva freddo. E il freddo mi appestò il cuore, per qualche motivo, facendomi spalancare di scatto gli occhi.

La debole luce dell'alba sembrava quasi sfidare gli alti palazzi di San Francisco, facendosi largo tra questi come una tigre tra gli alberi della savana e tingendo tutto con un'aurea di regalità. Il cielo d'orato era l'unica cosa che riuscivo a vedere, sdraiata lì, a terra, davanti alla portafinestra che dava sull'imponente balcone di pietra. La sera prima l'avevo trovata ricoperta da un sottile telo di plastica, che avevo dovuto strappare, attirata dalla notte che questo distorceva. Il telo, ora, si trovava a terra, poco lontano, ed io allungai una mano a toccarlo, facendolo frusciare.

Quel rumore mi riportò alle orecchie quel suono di passi, un suono di passi che si allontanavano.

Mi sollevai lentamente a sedere, negando al telo di plastica il mio tocco per tenere al petto il lenzuolo improvvisato in cui mi ero avvolta. Un odore penetrante di pittura fresca mi si infilò nelle narici, facendomi dimenticare per un attimo del freddo pungente che dominava le mie membra.

Poi, con la coda dell'occhio scorsi il muro che faceva angolo con quello verso cui ero voltata e uno strato di pelle d'oca ricoprì ogni parte del mio corpo. Voltai lentamente il volto verso la parete, che una volta era stata bianca, ma che nella notte era stata ferita, utilizzata come tela da un eclettico artista.

Le linee di vernice rossa acquistarono un senso quando il sonno residuo cadde, rassegnato, dagli occhi: una donna, sdraiata in una voluminosità di lenzuola che, per un momento, avevo scambiato per nuvole, dormiva tranquillamente, i tratti del viso appena accennati rilassati, i capelli scarmigliati fluttuanti sulla parete come fiamme. Sembrava lievitare nell'aria, la stoffa tutta arricciata attorno a lei, le braccia che la stringevano al petto per non svelare tutti i segreti del corpo, le cui curve erano però perfettamente intuibili sotto quello strato di nuvole.

'Voglio ritrarti mille volte, con mille colori diversi, in mille pose diverse.'

Ero io quella donna, quella figura forte ed eterea. Quella sorta di dea addormentata, il corpo scolpito nel fuoco e nelle nuvole. Quell'insieme di vernice scarlatta, la cui brillante fattura aveva quasi fatto scomparire la scritta che vi si trovava sotto, leggermente più in basso.

'Vado a dipingere il mio futuro'.

Riuscii solo a riportare lo sguardo sulla piccola opera d'arte, un sospiro incastrato in gola. La stanza si era improvvisamente riempita della luce del sole, diventando aranciata, dando una parvenza di un calore che però non sembrava davvero toccarla.

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