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"Love is the light
Scaring darkness away
I'm so in love with you
Make love your goal
The power of love
A force from above
Cleaning my soul."
THE POWER OF LOVE – GABRIELLE APLIN

ABBIE

I miei piedi si muovevano liberi, riconquistando piano piano le strade di Londra.

Non sapevo dove stavo andando, ma non volevo fermarmi.

Più i minuti passavano, più Londra e la vita stesse sembravano sorridermi.

Mi guardai attorno estasiata, osservando attentamente ogni dettaglio di quella città che mi aveva ospitata e accolta fin dal primo giorno che ci avevo messo piede. Mi ci era voluto tanto, forse troppo per capirlo, ma lo sentivo dentro di me, lo sentivo nei polmoni: Londra era la mia città.

Sorrisi istintivamente ad una bambina che giocava con il padre nel prato alla mia sinistra e ricordai. Ricordai Jane, ricordai il passato, ma non lasciai che esso mi facesse cadere.

Fece male.

Fece male ricordare cosa avevo perso, ma ricordai che non era stata colpa mia, non era stata colpa di nessuno.

La vita era inevitabile tanto quanto la morte.

Probabilmente se fossi cresciuta con mia sorella affianco, sarei stata una persona diversa, ma avevo ormai capito che non aveva senso rimuginare su ciò che sarebbe potuto accadere.

Il presente era lì, e io lo stavo vivendo.

Cos'altro potevo volere se non la vita che stavo respirando?

Quasi senza rendermene conto, mi ritrovai a scendere i gradini familiari di una stazione della metropolitana.

Ad ogni passo che compivo, un ricordo dei giorni passati a viaggiare senza meta e ad osservare le vite degli altri scorrere, mi pervase.

Mi era sempre piaciuta la metro.

Viaggiava. Viaggiava sempre e comunque. Si fermava, ma poi ripartiva, come se nulla potesse impedirle di scorrere, di viaggiare, di vivere.

E, una volta salita a bordo del primo vagone, senza sapere quale sarebbe stata la mia destinazione, estrassi istintivamente il cellulare dalla borsa e lo sbloccai, componendo poi un numero che pensavo di aver dimenticato ma che era marchiato a fuoco nella mia testa.

Bastarono solo un paio di squilli alla persona all'altro capo della linea, per rispondere.

"Abigail?"

"Ciao papà", mormorai, lasciandomi cadere sul primo sedile libero che trovai, accanto ad una vecchia signora, che mi sorrise cordialmente. "Come va?" aggiunsi, dopo averle sorriso a mia volta.

Alle mie parole seguì qualche attimo di silenzio incerto. "È un po' che non ci sentiamo", furono le parole di mio padre.

"Potevate chiamarmi", sussurrai con voce spezzata, "ma in tutti questi mesi, neanche una chiamata... non una sola chiamata...", aggiunsi, chiudendo gli occhi, stanca. E sapevo che sarebbe stato più facile arrendermi, che cancellare completamente il passato avrebbe reso il mio futuro più semplice, meno doloroso, eppure decisi di cercare di rimanere forte.

"Come stai papà?" chiesi ancora, perché nonostante tutto era mio padre e Dio solo sa quanto gli volevo bene e quanto volessi che fosse felice, che tutti fossimo felici. Anche se forse la possibilità che questo avvenisse rimanendo una famiglia era purtroppo poco probabile.

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