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"Said I'dnever leave her
'Cause her hands fit like my tshirt
Tongue tied over three words, cursed
Running over thoughts that make my feet hurt
Bodies intertwined with her lips."
OVER AGAIN – ONE DIRECTION

ALASKA

La stoffa del coprimaterasso era morbidissima, probabilmente era stata appena cambiata ed era fresca di ammorbidente. Non riuscivo a smettere di accarezzarla con le dita, gli occhi spalancati nell'oscurità, una strana agitazione nello stomaco, quella che precede qualcosa di importante, un'agitazione mista a eccitazione.

Non avevo mai avuto problemi ad addormentarmi. Anche durante i difficili anni di scuola superiore, anche con la morte nel cuore dopo il presunto tradimento di Michael, il sonno era stato l'unico rifugio sicuro in cui nascondermi dal mondo; spegnere la mia mente e lasciarla in balia dei sogni era diventato una sorta di meccanismo di difesa per me.

Eppure, quella notte, il sonno mi aveva chiuso la porta in faccia, l'incoscienza era un ronzio lontano, la mia mente era troppo attiva per riuscirsi a spegnere e per smarrirsi nella dolce irrealtà del sogno, rimandando i problemi alla luce del sole.

Sentii Michael muoversi accanto a me, cosa che mi spinse a rotolare sulla schiena per controllare se fosse sveglio. Era sdraiato a pancia in giù, il viso voltato dall'altra parte, verso la porta finestra, da cui si poteva vedere, poco lontano, il Tower Bridge, uno dei miei posti preferiti di Londra, o almeno, uno dei posti preferiti della piccola turista di sette anni, l'età che avevo la prima volta che ero venuta a Londra con i miei genitori, che ancora sopravviveva in me.

Le immagini di quella prima visita erano ancora perfettamente impresse nella mia mente, indelebili come la sensazione di pienezza e onnipotenza che quella città mi aveva dato quella prima volta e che ancora mi trasmetteva. Potevo sentire il dolce profumo di arachidi caramellate solleticarmi il naso, mentre i miei piedi calzati in un logoro paio di All Star bianche zampettavano con leggerezza qualche metro sopra il Tamigi, sopra il possente e regale ponte, dall'architettura mozzafiato. Potevo sentire i miei genitori ridere forte, facendo voltare turisti e londinesi di vecchia data, diretti, probabilmente, al lavoro.

Senza rendermene propriamente conto, mi sollevai a sedere sul bordo del letto, scoprendomi delle lenzuola profumate e dal piumino blu notte, ben in tinta con l'oscurità della stanza. I miei piedi nudi vennero in contatto con la moquette chiara, che attutì i miei passi diretti verso la portafinestra.

La maniglia fece un po' di rumore quando la girai, ma ormai sapevo quanto fosse pesante il sonno di Michael, soprattutto quando russava leggermente, proprio come stava facendo in quel momento, il rumore di una maniglia non l'avrebbe di certo disturbato più di tanto.

L'aria della notte londinese colpì ogni parte del mio corpo scoperta, che erano davvero molte, indossando io solo un'ampia t-shirt di Harry Potter, una di quelle che normalmente utilizzavo come camice da notte.

Chiusi la porta a vetri per non far entrare quel freddo nella stanza, avvicinandomi poi alla ringhiera in ferro finché questa non entrò in contatto con i miei fianchi. Vi posai sopra le mani, mentre gli occhi, beh, gli occhi si posarono sulla mia città.

Londra dormiva, ma non troppo. Era più silenziosa di quanto lo era di giorno, ma da quell'altezza potevo vedere alcune auto popolare le varie vie, alcune luci filtrare dalle finestre di qualche palazzo, potevo sentire rumori indefiniti e anche parole, se mi concentravo per bene.

"L'ha detto", sussurrai al vento, la voce così bassa che non fui sicura neanche di aver parlato davvero. "Ha detto di amarmi."

D'un tratto tutte le luci scomparvero davanti ai miei occhi, le orecchie smisero di captare i flebili rumori della città, come se anche Londra fosse rimasta sconvolta dalla notizia.

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