Capitolo 8

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CAMERON

Nash continua a guardarmi, ma è l'unica cosa che si limita a fare. Non apre bocca. È ostinato a mantenere il segreto ed io che pensavo che almeno lui si sarebbe arreso e mi avrebbe detto tutto. 

<<Non guardarmi così Cam, te l'ho già detto che non posso parlartene.>> mormora alzando gli occhi al cielo. Avrei voglia di alzarmi e mollargli un bel pugno in faccia e per un secondo prendo in considerazione l'idea di farlo sul serio. Per fortuna però, decido di fare la cosa giusta e scelgo la seconda idea che mi è passata in testa: aprirmi ad uno dei miei amici più cari.

<<Cazzo, Nash...>> sbotto stringendo i pugni. Ho sempre odiato l'idea di mostrare alla gente come mi sento davvero e per questo motivo, sin da piccolo, ho costruito questa corazza che mi avvolge, ma Nadia la sta distruggendo. Lei mi sta distruggendo e io non sto facendo nulla per impedirglielo.

<<Guardami.>> ordino puntandogli gli occhi addosso. <<Guarda come sto. Sono stato male per settimane e tu non ti sei neanche preoccupato di dirmi la verità. Io...>> faccio una piccola pausa, mi guardo attorno e cerco di non dare troppo peso al fatto che Nash mi guarda con aria preoccupata, come se sapesse ciò che sto per dire.

<<Provo cose che non ho mai provato. Se tu mi dicessi il motivo che l'ha spinta ad andare via, forse riuscirei a capirla. Magari la smetterei di pensarci ogni singolo momento della giornata. Amico... credo di amarla.>> lo dico in un sussurro, quasi come se avessi paura che lei lo sentisse.

<<Ti rendi conto di quello che hai appena detto?>> chiede aggrottando le sopracciglia. Sembra quasi che non mi creda. Davvero pensa che potrei mai mentirgli su una cosa del genere?

<<Tu non mi credi!>> sbotto alzandomi di colpo dalla sedia a dondolo. Mi sono praticamente reso ridicolo davanti a lui, esponendomi completamente e lui che fa? Mi prende per il culo? <<Senti Nash, vaffanculo.>> urlo indietreggiando verso l'auto.

Mi affretto a salire in auto sotto lo sguardo sconvolto di Nash che non sa cosa dire. Guido ore ed ore per le strade affollate di Los Angeles e tutte le volte che squilla il cellulare, rifiuto la chiamata senza neanche guardare chi sia.

Dopo aver fumata una canna in spiaggia, seduto sulla sabbia, decido finalmente di tornare a casa.

Apro la porta d'ingresso e lancio le chiavi sul comò. Mi strofino la faccia con le mani, frustato. Appena allontano le mani dal viso, vedo mia madre con le braccia incrociate al petto e l'espressione furibonda.

<<Mi spieghi dove diavolo sei stato?>> chiede quasi urlando. Mia madre di solito è una persona tranquilla, comprensiva, ma io riesco sempre a farle perdere la pazienza.

Dopo la disintossicazione mi ero calmato, obbedivo agli ordini... la maggior parte delle volte, ma adesso mi sembra di essere tornato all'anno scorso.

<<Avevo bisogno di stare da solo.>> mormoro oltrepassandola senza neanche degnarla di uno sguardo. Sono incazzato con lei per aver permesso a quel rifiuto umano di entrare in casa nostra... dopo quello che ci ha fatto... come ha potuto?

<<Cameron, smettila di fare il bambino. Ti ho già detto che devi comportarti da persona matura.>> urla a polmoni pieni. Ha il viso rosso dalla rabbia e una vena che le pulsa dal collo: chiaro segnale che si è incazzata sul serio.

<<Sm...>> sto per dirle di smetterla di urlare, altrimenti sveglierà tutto il quartiere, ma lei mi interrompe prima che possa concludere una sola parola.

<<No Cameron, no. L'ho capito troppo tardi che non avrei mai dovuto impedirgli di essere padre. Voi siete cresciuti senza di lui e guarda come ti sei ridotto!>> dice indicandomi con la mano.

Lost in confusion 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora