11 - Ricordi violati

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Il Drago chinò il capo per entrare nella tenda e trattenne un'esclamazione di sconcerto nel vedere che qualcuno aveva violato uno dei pochi luoghi in cui sperava di trovare ancora un frammento di serenità della vecchia vita, del periodo in cui il futuro era così splendidamente pieno di possibilità.

Il tavolo di legno chiaro che Xhoán aveva intagliato nel mese successivo alla morte di Baya, mentre attendeva con fiducia il ritorno di Tseren, era capovolto. Le ante e i cassetti erano stati scardinati e giacevano a terra calpestati, il contenuto della credenza e dell'armadio era coperto di sudiciume e i libri che Agata aveva lasciato lì erano ammonticchiati in un angolo, le pagine strappate e accartocciate con sprezzo.

Quella non poteva essere l'opera di animali selvatici né del vento, c'erano state delle persone lì dentro, persone che avevano saccheggiato e infierito. Ladri forse? Strano che dei ladri si fossero avventurati su per il monte senza sapere che avrebbero trovato quella tenda abbandonata proprio sulla vetta. Il vandalismo con cui gli intrusi avevano rovistato faceva presupporre che le loro azioni fossero guidate dall'astio.

E se si fosse trattato degli abitanti del villaggio? Solo loro erano a conoscenza della dimora del taciturno ragazzo dagli occhi insoliti. Loro e un'altra persona. L'immagine di un vecchio appesantito dall'armatura e sottili capelli canuti raccolti da fermagli e piume attraversò fulminea la mente di Agata. Erano passati anni dall'ultima volta che aveva pensato a Thuluun, forse una parte di lei aveva dato per scontato che il maledetto mercante non potesse vivere in eterno: magari era perito in battaglia, magari si era spento tranquillamente tra le sue pile di denaro lurido. L'idea che fosse stato proprio il suo lungo braccio, nella forma dei suoi tirapiedi, a frugare nella tenda, le diede la nausea.

«Andiamo» le sussurrò il Drago e come uno spettro uscì dall'abitazione. Ora che solo una discesa di sassi lo separava dallo scoprire cosa fosse rimasto in piedi del villaggio dove aveva vissuto per vent'anni suo padre, e dove da ragazzino gironzolava di nascosto spiando qualsiasi cosa gli fosse d'aiuto per capire il mondo, le gambe si fecero incerte.

Tseren sapeva bene che non avrebbe avuto la forza di affrontare il mostro che lo torturava da settimane se Agata non fosse stata al suo fianco. Ora che lei era di nuovo lì, più sicura e decisa che mai, forse sarebbe riuscito a calmare la belva assetata di sangue, a far tacere per sempre la voce disumana della sua seconda natura, che, dopo essere emersa indisturbata per sessanta Lune nuove consecutive, si era fatta assordante e famelica.  

Tseren sperava che potessero finalmente lasciare Levante, trasferirsi in una zona remota di Ponente, al sicuro dalla FSI, e non troppo lontano dagli amici e dalla famiglia dell'Ascendente. Sapeva così poco di loro... Chi erano le persone importanti per Agata? Ricordava vagamente la ragazza bionda dallo sguardo severo e l'amico che parlava solo di cavalli, ma i nomi di entrambi gli sfuggivano. Cinque anni di esperimenti e solitudine avevano reso tutto, nel suo passato, così informe, e l'ossessione per il massacro compiuto il mese prima aveva dato il colpo di grazia, avvolgendo ogni suo ricordo di una fitta nebbia. La foschia era ovunque, asfissiante, corrosiva, e confondeva tutto ciò che aveva a che fare con le sue emozioni.

Eccetto quello che provava per Agata.

Non poteva esprimerlo liberamente in quello che era il proprio modo di comunicare: i gesti; e non era in grado di formularlo nel linguaggio di lei: le parole; ma sperava che in qualche modo sarebbero riusciti a trovarsi a metà strada.

«Siamo ancora in tempo per tornare indietro» proferì improvvisamente la ponentina, proprio mentre il deserto roccioso si apriva davanti ai loro occhi. Contemporaneamente posarono lo sguardo sul profilo delle tende scure che si stagliava all'orizzonte, così poche tende rispetto a quante ricordassero.

Il primo degli Alicanti [completata]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora