17 - Un porto in codice

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Agata cercò inutilmente di tenere gli occhi aperti durante la trasformazione di Tseren: era costretta a serrarli ogni volta che un lampo accecante si liberava dal corpo di lui e si chiese quante altre volte avrebbe dovuto assistere a quello spettacolo incredibile prima di riuscire a coglierne qualche dettaglio in più.

Il drago si stagliava contro l'orizzonte pennellato dei colori sempre diversi del tramonto: le basse nuvole schiacciate si erano tinte di un viola acceso, mentre l'arancione bucava le fronde delle mangrovie che facevano da suggestivo portale d'ingresso alla Zona Paludosa.

Prima di avvicinarsi, l'Ascendente cercò di sondare le emozioni di lui: c'era come al solito una malinconia di fondo, la nostalgia di una normalità inafferrabile; c'era poi la rassegnazione amara per la crudeltà degli uomini; c'era ovviamente la rabbia nei confronti di chi l'aveva privato degli ultimi cinque anni di vita; c'era anche, fortunatamente, la fiducia completa nei suoi confronti, una tenerezza profonda che era in grado di ricordarle come si era sentita un tutt'uno con lui la prima volta che si erano baciati, un bacio così diverso da quello disperato che si erano scambiati pochi giorni prima; e, infine, più devastante che mai, c'era il senso di colpa, martellante come una melodia ossessiva.

La ragazza si accostò e come al solito lo accarezzò dolcemente sul muso; lui lasciò che la mano di lei scivolasse leggera tra i suoi occhi e lungo il viso, ruotando sotto il mento e percorrendo la nuca squamata. Agata affondò il capo nell'incavo del collo della creatura e la cinse in un abbraccio; non trovava altro modo di consolare Tseren quando assumeva quella forma. Lui lasciò andare un ringhio soffuso e avvicinò con cautela le fauci serrate, grattandole delicatamente la spalla.

Mentre la luce calda illuminava ancora la sagoma degli arbusti, le stelle più luminose già iniziavano a luccicare sul manto nero della notte. L'Ascendente si accomodò a cavalcioni della belva e sistemò i bagagli tra il proprio corpo e quello di lui, per evitare che cadessero; fece poi un respiro profondo mentre Tseren sbatteva sempre più rapidamente le ali, pronto a sollevarsi. Era la prima volta che mutava da quando avevano lasciato le montagne, ed era la prima volta che la portava in volo da quando erano fuggiti dal laboratorio della FSI.

Mentre cercava di districarsi tra le emozioni confuse di lui, Agata realizzò improvvisamente che c'erano dei momenti, seppur brevi, in cui non riusciva a percepire nulla: era come se l'animo di Tseren si svuotasse di qualsiasi cosa, lasciandosi dietro un silenzio funereo, un vuoto assoluto. Il ritmo del proprio cuore prese ad accelerare mentre un sospetto agghiacciante si faceva largo; la ponentina si domandò allarmata se ci fosse qualcosa che non andasse nel legame Drago-Ascendente oppure se l'altro avesse involontariamente trovato un modo per cancellare tutto, ma proprio tutto: non solo la disperazione e la colpa, ma persino la capacità di provare dei sentimenti.

Quella situazione le stava sfuggendo di mano e la ragazza si aggrappò alla speranza che Xhoán sarebbe stato in grado di aiutare il figlio a perdonarsi e a capire come risolvere il conflitto tra le sue nature, perché lei ormai era allo sbaraglio ed emotivamente troppo coinvolta per ragionare con lucidità. Raramente la ponentina si trovava davanti a un problema che non sapeva risolvere, eppure l'imprevedibilità con cui il malessere di Tseren si manifestava era per lei indecifrabile.

Il Drago volteggiava elegantemente tra le nuvole, cercando di non attraversarle da parte a parte perché si era accorto che all'Ascendente mancava il respiro tutte le volte che il vapore acqueo le riempiva i polmoni. A lui, invece, quell'umidità non dava per niente fastidio, anzi gli dava l'impressione di lavar via la sporcizia che si sentiva addosso da quando aveva raso al suolo il villaggio ai piedi del Monte Ariun. Di tanto in tanto poggiava di sfuggita lo sguardo sui propri artigli e li vedeva tinti di un rosso torbido, invece che lindi; doveva allora strizzare gli occhi più volte per cancellare il ricordo del sangue. La sua mente gli giocava sempre più spesso dei brutti scherzi e le allucinazioni invece che diminuire si facevano sempre più frequenti e si ancoravano alla realtà. Se non fosse stato per Agata, che con la sua voce decisa lo guidava attraverso quel groviglio di ossessioni che prendevano la forma di immagini ricorrenti, si sarebbe probabilmente già smarrito in un limbo asfissiante tra realtà e incubo.

Il primo degli Alicanti [completata]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora