51 - Confidenze audaci

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«Eravamo due ragazzine. Io avevo quindici anni, lei appena tredici» esordì Shuiní, coprendo imbarazzata il tatuaggio a forma di rosa che aveva tentato di mascherare con altro inchiostro. «I nostri genitori si erano separati un decennio prima, e ciascuno aveva una nuova famiglia per cui noi eravamo solo un fastidio. Ci siamo cresciute a vicenda, sole, in mezzo alla strada, rubacchiando qua e là. Un'amica che avevo conosciuto tra i banchi di scuola – quando i miei nonni erano ancora abbastanza giovani da costringermi ad andarci – mi fece conoscere dei ragazzi più grandi che frequentava da un paio di mesi» Shuiní sbadigliò a bocca aperta, stiracchiandosi sul telo di spugna azzurra.

«Erano ragazzi sbandati come me. Senza famiglia o con famiglie che sarebbe stato meglio non avere. Venni conquistata subito da quella che ai tempi credevo un'ideologia aperta, fatta di discorsi sovversivi e da una vita molto più agiata di quella che avevo condotto fino a quel momento. La realtà è che per la prima volta mi sentivo parte di un gruppo; per la prima volta, in quindici anni, non ero un'emarginata, un'orfana con i genitori ancora vivi, una senzatetto con tre case inospitali tra cui scegliere. Nonostante mia sorella fosse ancora una bambina e capisse ben poco delle chiacchiere politiche del profeta del Cantiere e dei suoi paroloni sull'uguaglianza, sul diritto all'espressione individuale e sul sovvertimento dei valori levantini - come me si legò subito alle prime persone che non la consideravano feccia. Senza che me ne accorgessi si legò a loro più di me». Shuiní si interruppe. Sospirando puntò gli occhi scuri in direzione del mendicante che poco prima l'aveva avvicinata, passando languidamente un dito sporco sul suo polpaccio scoperto.

Tseren seguì lo sguardo dell'amica, mentre in lontananza sentiva la voce che preferiva, la voce della sua Ascendente, rispondere per le rime a una battuta del Fauno Iikka Jerd. Nell'ultimo periodo IJ faceva di tutto per far riavvicinare Agata e Harris; non si preoccupava neanche che i suoi tentativi risultassero fin troppo palesi.

«Era appena una bambina, e lo eri anche tu. I membri della Setta vengono educati a manipolare le menti deboli; o indebolite dalle circostanze, come nel tuo caso» considerò il Drago tentando di giustificare il comportamento di Shuiní.

«Per tre anni abbiamo vissuto in un Cantiere. Dormivamo tra decine di abiti multicolore come noi, ci atteggiavamo a esperte dei massimi sistemi, facevamo proseliti tra le nostre conoscenze... Certo, c'era qualcosa che non mi convinceva dei riti misteriosi a cui non venivamo invitate e degli sguardi vacui dei ragazzi che avevano invece cominciato a partecipare a quelle cerimonie misteriose. Una volta che i miei compagni venivano a conoscenza degli ideali più profondi della Setta, cambiavano... Che dico, diventavano irriconoscibili...» rabbrividì la levantina.

«In tre anni io mi ero trasformata in una donna arrabbiata con il mondo, mentre mia sorella era un'adolescente estremamente volubile, sempre in cerca di attenzioni. Eccoci qui» Shuiní rigirò la gamba a mo' di contorsionista e indicò a Tseren un altro dei suoi tatuaggi: due bambine stilizzate si tenevano per mano; una, vestita da maschiaccio, agitava un pugno rabbioso verso il cielo; mentre l'altra, fasciata in un vestitino molto femminile, salutava graziosamente.

Tseren paragonò il ritratto di Shuiní, immortalato nel tatuaggio, con la giovane che sedeva in quel momento al suo fianco. Le due immagini stridevano a tal punto che il Drago si domandò quale fosse il vero spirito dell'amica. La ragazza dai tratti misti aveva mantenuto lo stesso cipiglio, ma l'aveva letteralmente ricoperto di trucco: gli ombretti pesanti, i rossetti accesi, le unghie pennellate di colori sempre diversi, gli abiti succinti, i tacchi vertiginosi... Il Drago aveva fin dall'inizio avuto l'impressione che in lei convivessero due personalità, e in quel momento ebbe la conferma di chi avesse lasciato un solco tanto profondo in lei.

«Come si chiama tua sorella?» domandò il ragazzo tentando di dare un nome al volto che ricopriva quello della levantina come una maschera crepata.

Il primo degli Alicanti [completata]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora