The Ward

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Fui svegliato dal rumore della macchina che segnava il mio battito cardiaco. Ricordavo di aver guidavo velocemente verso l'ospedale più vicino e affidato immediatamente Eddie ai medici.

Poi nulla. Probabilmente avrò perso i sensi dopo tutto quello stress.

Sentivo la testa pesante pulsarmi senza darmi un minimo di tregua. Ciò nonostante, aprii gli occhi lentamente, venendo accecato da un fascio di luce. Ma ciò mi permise comunque di distinguere la sagoma della persona più importante della mia vita, che giaceva accanto a me dormiente con la schiena curva e il capo poggiato nel letto.

«Lisa...» sussurrai accarezzandole i capelli bruni mentre i miei occhi si facevano lucidi.

Lei scosse il capo, alzando lo sguardo verso di me e assumendo l'aria più felice che avessi mai visto sul suo volto. Poi si fiondó immediatamente addosso a me abbracciandomi forte, e io chiusi gli occhi poggiando il mio capo sull'incavo del suo collo.

«Waylon...amore mio. Sei vivo.» singhiozzava lei, mentre io la stringevo di più a me, senza proferire parola.

Le lacrime mi uscivano da sole e il mio cuore batteva all'impazzata. Dio solo sapeva quanto mi fosse mancata, quanto avessi sperato giorno e notte di rivedere lei e i miei figli. Loro erano stati l'unico motivo per il quale avessi lottato in quell'inferno per tutto quel tempo, grazie ai quali avessi sempre trovato la forza per non mollare mai e sopravvivere. E ora, sentirmi protetto tra l'abbraccio di mia moglie, mi dava la conferma che ce l'avessi fatta, che fossi vivo, che fossi sopravvissuto.

Restammo in quel modo per qualche minuto. Non potevo ancora credere che stavolta fosse tutto vero, e non frutto dell'ennesimo sogno dal quale da lì a poco mi sarei sfortunatamente svegliato.

Poi entró un'infermiera, raggiante.

«Signor Park, è sveglio finalmente! Grazie a Dio!» esclamó avvicinandosi a noi.

Lisa si voltó verso la donna, con gli occhi che le brillavano. Ora che la osservavo meglio, anche lei indossava il camice tipico delle infermiere, e mi sentii uno sciocco dal momento che avessi perfino dimenticato che mia moglie lavorasse proprio in quell'ospedale, al reparto di cardiologia.

Tutto intorno a me appariva così strano. Ricordavo tutto e nulla allo stesso tempo, sentendomi confuso ed estremamente spaesato. Come se improvvisamente, riprendendo coscienza della realtà, avessi realizzato come il tutto apparisse davvero troppo tranquillo e sereno. Normale.

Che fosse solo un'allucinazione? Una semplice rappresentazione mentale di ciò che avrei voluto fosse realtà, che si rifletteva su di essa attraverso i miei occhi lasciandomi l'unico, semplice segnale, che non fossi più in me e che questo sarebbe stato solo il primo dei grandi inganni che mi avrebbe provocato la mente da ora in avanti?

Osservai come le pareti sporche, cupe, urlanti ed estremamente ricoperte di ricordi agghiaccianti, avessero lasciato il posto ad altre luminose e prive di alcun pensiero negativo, seppur isolanti.

Ecco come ero certo si fossero sentiti i pazienti del Mount Massive fino a quel momento, isolati, dal resto del mondo e da qualsiasi cosa potesse essere sinonimo di normalità, dovuto al semplice atto riflessivo delle persone di giudicare erroneamente quanto loro fossero diversi da chiunque altro al di fuori di quelle mura. Perché era questo che venivano portati a pensare: loro e il resto del mondo. La diversità e la normalità. Follia e sanità mentale. Errore e norma. Tristezza e felicità.

Morte e vita.

«Come si sente, signor Park?» sentii poi l'infermiera parlare, distraendomi dai miei pensieri.

Scossi semplicemente il capo, per farle capire che mi sentivo tutt'altro che bene, nonostante l'aver visto Lisa al mio risveglio mi avesse riempito il cuore di gioia.

«Da quanto tempo sono in queste condizioni?» chiesi successivamente.

«Cinque giorni e 12 ore.» rispose mia moglie tristemente «credevo non ti saresti più svegliato.»

Proprio ciò che avrei voluto.
Non avrei mai più potuto condurre una vita normale, non dopo quello che era successo, le cui scene e traumi avrebbero continuato a tormentarmi assolutamente consci del fatto che non sarei riuscito a comprendere se fosse frutto della mia povera mente malata o meno.

Ed Eddie, come avrei fatto ad occuparmi di lui? Come avrei fatto a spiegare tutto, sia a lui che a Lisa? Quest'ultima specialmente, di certo avrebbe dovuto aspettarsi che io non fossi tornato dall'inferno esattamente in me, dopo un lungo periodo di totale assenza da parte mia, poiché costretto a mantenere la massima riservatezza li dentro. Ma ero più che certo che non avrebbe mai potuto immaginare nulla di ciò che avrei dovuto raccontarle, né avrebbe potuto capire facilmente la situazione in cui mi trovavo...

Lisa, piccola mia, ti amo e lo farò per sempre. Ho combattuto i demoni e le torture più spietate dell'inferno per tornare a casa da te, sano, ma non troppo, ma fortunatamente salvo. L'averla rivista mi ha dato l'estrema gioia e felicità per la quale ho lottato e tentato di sopravvivere, eppure dopo aver realizzato il tutto, mi resi conto di essere arrivato ad un bivio e che una scelta avrebbe escluso l'altra, per sempre.

Eddie, non avevo la minima idea di ciò che provavo per lui, se fosse tutto frutto della mia povera mente traumatizzata o la semplice realtà dei fatti che prima avrei accettato, meglio sarebbe stato, per tutti. Ma niente di tutto questo sarebbe stato abbastanza facile da spiegare, né a Lisa né al medico che vidi entrare con la coda dell'occhio interrompendo i miei pensieri.

«Ben svegliato, signor Park. Io sono il dottor Campbell, lo psichiatra del reparto in cui lei è ricoverato.»

Love isn't for everybodyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora