You're Destroying Me

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«Mi dispiace tesoro, ma non avresti mai potuto crescere i miei figli.» parlò nuovamente infilzandomi il coltello ancora di più, accelerando quindi la mia morte, ormai certa; «tu sei solo una stupida puttana come tutte le altre, che avresti trovato l'ennesima occasione per fuggire da me!»

Come in effetti avevo tentato di fare...

E mentre il mio corpo diventava sempre più debole e pesante, e i suoi occhi sempre più intrisi d'odio, chiudevo lentamente i miei, accettando inerme il destino che, probabilmente, meritavo...

Ma così non fu, poiché il rumore del vento che entrava dalle fessure delle finestre mi costrinse ad aprire gli occhi, tornando alla realtà.

Ma che cazzo stavo facendo? Possibile che la mia mente si fosse fatta controllare nuovamente da dei fottuti orribili ricordi, andando poi a degenerare?

Fortunatamente quello psicopatico non era nella stanza con me, grazie a Dio. Perciò, mi alzai dal letto facendo attenzione alla ferita alla gamba, e notando i miei vestiti poggiati e ben piegati sul mobile accanto al letto, mi tolsi quella merda di abito da sposa in fretta e mi rivestii.

Nel mentre, scorgendo uno specchio attaccato al muro, potei vedere come il mio tentatore avesse ridotto il prezioso corpo della sua Sposa la notte prima.

Segni dei suoi baci e lividi erano sparsi ovunque sulla mia pelle, segnali inconfutabili che io gli appartenessi.

«Sei mia.» lo sentivo ancora sussurrare nella mia mente, se lasciavo che i miei occhi si chiudessero leggermente.

«No. Lui non mi distruggerà ancora. Devo uscire da questo maledetto posto!» pensai quindi rimettendomi la maglietta.

Successivamente, mi avvicinai lentamente alla porta, ascoltando prima con l'orecchio se fuori ci fosse qualcuno.

"Sii coraggioso, Waylon."

Potendo sentire un incredibile silenzio, aprii lentamente la porta, il che mi permise nuovamente la visione di quei cupi e bui corridoi di quel manicomio che non voleva proprio togliersi dalle palle.

Eppure, nonostante il luogo in cui mi trovassi, il tutto era spaventosamente silenzioso, tale da riuscire persino a sentire il mio respiro farsi sempre più affannoso.

Giravo per quei corridoi da ore ormai, ma stavolta era diverso. Prima sapevo con certezza che avrei sempre potuto trovare chiunque dietro l'angolo a tremare, o al centro della stanza a scrutarmi senza mai staccarmi gli occhi di dosso.

Ora invece, mi trovavo nell'Ala femminile, quella divenuta ormai proprietà privata dello Sposo, il che risultava molto più preoccupante.

Perché incrociare il suo sguardo in un corridoio, anche se a metri di distanza, sarebbe stato mille volte peggio di venire inseguito da due o tre pazienti che, probabilmente, ti avrebbero poi perso di vista perché intenti a sfondare la porta che avevi appena chiuso per rallentare la loro corsa, poiché incapaci di aprirla regolarmente.

Ecco, era sempre stato questo il mio asso nella manica, finché non ho incontrato Lo Sposo che, invece, comportandosi in modo del tutto "normale", mi faceva sentire costantemente fottuto in qualsiasi momento io sapessi che lui fosse nei paraggi.

E fu proprio quel senso di inquietudine ad essere stato il costante padrone della mia mente per quegli interminabili minuti che scandivano il tragitto tra la camera da letto in cui mi ero risvegliato e la stanza con la porta socchiusa alla quale esitai ad avvicinarmi, sentendo provenire da essa orribili mugolii e singhiozzi.

Da fuori, potevo vedere le due ombre, riconoscendo la sua.

Lo Sposo era tornato ad uccidere, e io, inspiegabilmente, fui invaso da una terribile voglia di entrare e interrompere tutto, facendolo vergognare di se stesso e delle sue azioni di fronte alla mia presenza, affinché magari potessi riuscire a scuoterlo. Odiavo vedere come la sua follia lo comandasse ogni minuto di più, come non lo lasciasse libero di pensare, amare, parlare, agire regolarmente, essendo se stesso.

Perché quelle poche volte in cui lo era stato, in lui avevo visto la persona più bella, preziosa e, soprattutto, fragile che abbia mai conosciuto. Una di quelle persone che vorresti solo stringere tra le braccia, rassicurandole nel migliore dei modi, che andrà tutto bene e che presto tutti i suoi tormenti finiranno. Che ha una spalla su chi piangere, qualcuno su chi contare. Che non è solo. 

Perciò aprii di colpo la porta violentemente, spalancando gli occhi alla vista di ciò che mi appariva davanti.

Sangue, sangue ovunque, scandito da urla disperate e piene di dolore che, nonostante la miriade di corpi ormai deceduti, continuavano ad echeggiare per quella stanza sfortunatamente onorata dalla sola e unica presenza dello Sposo, che sfoggiando uno dei suoi sorrisetti compiaciuti, si mostrava insensibile e completamente indifferente a ciò che avesse fatto e, se non fossi entrato io, che avrebbe continuato a fare.

Mostrando uno sguardo atterrito, rimasi immobile, lasciando che il sangue mi sporcasse i piedi e che i miei occhi esprimessero tutto il terrore che stessi provando in quel momento.

E lui, notandomi, fece cadere il coltello a terra, spalancando gli occhi affinché potessero mostrare in pieno proprio ciò che volevo, uno sguardo pieno di stupore e con un briciolo di vergogna.

Ma dopo aver visto una scena talmente straziante da non augurarla nemmeno al mio peggior nemico, mi pentii vivamente del passo da me appena compiuto, indietreggiando col corpo ancora tutto tremante.

E lui, vedendo ciò, non esitò ad aprire bocca.

Love isn't for everybodyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora