Dixon

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*Guest Star: Hope Dixon è Nina Dobrev*

Mi svegliai di colpo, percependo un atroce dolore alla schiena. Ciò mi fece realizzare di essermi addormentato per un bel po' di tempo col capo poggiato sul materasso, accanto ad Eddie, di nuovo dormiente. Vedevo sfocato, ma ciò nonostante riuscii a focalizzare una sagoma accanto alla macchina dell'elettrocardiogramma, che nemmeno sembrava essersi accorta del mio risveglio. Dopo pochi secondi, la vidi meglio. Indossava il classico camice da medico, gli occhialetti e portava dei lunghi capelli mori. In qualche modo, mi parve fosse persa nei suoi pensieri, finché non si voltó dolcemente verso di me, accennando un meraviglioso sorriso, quasi rassicuratorio.

«Ben svegliato, signor Park.» parló tranquillamente, mentre io ero intento a guardarle gli occhi.

Marroni, proprio come i miei, e con una splendida luce al loro interno di cui forse nessuno se ne era mai accorto, probabilmente nemmeno lei. La stessa luce che io stesso avevo ormai perso già da parecchio tempo e che, di conseguenza, avrei solo potuto ammirarne lo splendore. Come facevo quando incontravo gli occhi di Eddie, ad esempio. Si, i suoi erano rossi, gonfi, intrisi di lacrime, odio, tristezza, risentimento, rancore, vendetta, dolore. Ma erano pieni di luce, ciò nonostante questa non riuscisse mai completamente ad uscire del tutto, sempre se mai lo avesse fatto.

Pochi secondi prima, lo avevo sentito stringermi la mano, e una volta alzato il capo, vidi nuovamente quegli occhi azzurri scontrarsi con i miei, questi ultimi lucidi e che mi brillavano di felicità. Il suo sguardo era così sereno e tranquillo, e sfoggiava un dolce sorriso rassicuratorio.

Riuscii solo a sentirmi chiedere perché stessi piangendo, dato che non ebbi tempo di rispondergli. Subito sentii la mia mente offuscarsi, e il mio capo crollare di colpo sul materasso.

Ero così stanco. Avevo bisogno di dormire, come si deve, mangiare altrettanto, e rilassarmi. Staccare la spina e far finta che niente di tutto quello fosse mai successo. Avrei davvero voluto svegliarmi da un terribile incubo, e ritrovarmi Lisa e i miei figli accanto a me. Avrei voluto smetterla di avere tutti quei sensi di colpa, dubbi, incertezze. Tutto quello mi stava letteralmente divorando l'anima, il che ovviamente non mi faceva bene.

Ma in fondo, cosa poteva farmi bene se non lui? Probabilmente, successivamente quest'ultimo aveva deciso di riaddormentarsi, magari dopo aver passato una mano tra i miei capelli dolcemente. Ma perché ora invece non si svegliava? Aveva davvero il sonno così pesante da non aver sentito la dottoressa rivolgermi la parola?

«Lui...si è svegliato...» sussurrai guardandolo, mentre gli accarezzavo la guancia con la mano.

Ciò nonostante, non ricevetti alcuna risposta, nemmeno un leggero battito delle palpebre. Poi alzai il capo verso la donna davanti a me, che sentii sospirare.

«Mi dispiace dirglielo, ma sfortunatamente il signor Gluskin non si è ancora svegliato,» parló assumendo un'aria più che triste, e io mi sentii crollare il mondo addosso, «quindi probabilmente-»

«È stato solo un fottuto sogno...» la interruppi realizzando l'accaduto. La vidi abbassare il capo, e io feci lo stesso, mentre tutte le mie speranze di poterlo vedere nuovamente sveglio, credendo che ciò sarebbe accaduto di lì a poco, andavano letteralmente in frantumi Intanto guardavo Eddie con la coda dell'occhio e mi chiedevo quando si sarebbe svegliato e come mai ci stesse mettendo così tanto.

Intanto, la donna non staccava lo sguardo da noi, il che mi portó inevitabilmente a rivolgerle la parola: «Lei chi è?»

«Sono il primario di questo reparto, la dottoressa Dixon.» sorrise dolcemente, sistemandosi gli occhialetti, «Hope Dixon.»

Le risposi con un semplice cenno del capo, tornando a stringere la mano di Eddie. Campbell mi aveva accennato che di Eddie si stesse occupando il primario del reparto in persona, la quale interruppe nuovamente il silenzio.

«Ho aspettato tanto il suo risveglio.» parló rivolgendosi a me, che le volsi uno sguardo interrogativo, «volevo conoscerla e parlare un po' con lei. Lui la nomina spesso,» continuó, per poi prendere una sedia e sedersi accanto a me, «la sua splendida sposa.»

«Lui...parla nel sonno di me?» chiesi spalancando gli occhi.

Annuì come risposta.
«Nonostante ciò che dica si tratti semplicemente di poche semplici parole confuse, mi creda, è abbastanza affinché io abbia capito quanto lui tenga a lei e quanto ce la stia mettendo tutta per risvegliarsi.» continuó la dottoressa.

«Ma io voglio che lui si svegli ora.» parlai quasi in tono di supplica, con gli occhi lucidi.

«Lo so signor Park, lo so...» sospiró lei, «ma vede, al vostro arrivo, il signor Gluskin era già privo di sensi e dalle analisi che sono state effettuate su di lui sono state rilevate tracce di infezioni interne, ferite esterne profonde e altrettanto gravi, e strane sostanze chimiche non ancora identificate nei polmoni.» spiegò.

Ciò non mi portò a pensare ad altro se non al motore morfogenico, la principale causa di deformazioni e malattie di tutti i pazienti del Mount Massive dalle quali, probabilmente, non sarebbero mai guariti.

«Si tratta forse di un modo implicito per chiedermi cordialmente di raccontarle tutta la nostra storia?» sbottai successivamente dopo qualche secondo di silenzio.

«No,» rispose la Dixon «non voglio obbligare nessuno. Sarà lei a venire da me, quando si sentirà pronto, dal momento che, a quanto ho ben capito, il vostro non sia stato affatto un passato facile...»

«Per niente.» risposi con un lieve sorriso sarcastico sul volto, stringendo a pugni il lenzuolo «È stato un inferno.»

Sentivo un groppo in gola al solo pensiero di ciò che avessi passato. Avrei fatto qualsiasi cosa pur di dimenticare tutti quegli orrori che la mia mente continuava a ripercorrere ad occhi aperti e non, ma più ci pensavo e più mi abbandonavo angosciosamente alla convinzione che l'accaduto mi avesse ormai marchiato, a vita, e che non importava quanto io avessi cercato di nascondere i segni del mio dolore: loro sarebbero riapparsi continuamente, semplicemente perché ormai parte involontaria di me, e io non avrei potuto far altro che cercare di imparare a conviverci.

«Ehi, va tutto bene, ora siete al sicuro» parló poi la dottoressa interrompendo i miei pensieri.

Il suo tono di voce era calmo, rassicurante, come se mi avesse letto nella mente o, incredibilmente, avesse già intuito tutto il mio dolore e la mia sofferenza.

«Ma io voglio che si svegli. Perché cazzo non si sveglia?!» esplosi alzando gli occhi al cielo. La vidi assumere un'espressione sorpresa, per poi rivolgermi uno sguardo interrogativo.

«Come? I medici non glielo hanno detto?»
«Detto cosa?»

«Il signor Gluskin è in coma.»



Hope Dixon* è la protagonista della mia PRIMISSIMA fanfiction su Outlast (We will be beautiful, darling + sequel, Our revenge will be beautiful darling), a cui sono particolarmente affezionata e alla quale ho voluto rendere omaggio inserendola in questa seconda parte della storia.

Love isn't for everybodyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora