Capitolo 1

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Diedi un ultimo sguardo alla casa in cui trascorsi quegli ultimi mesi. Quel pomeriggio non ero più io: sarei dovuta partire, tornando in quell'inferno chiamato più comunemente New York e mi sarebbero mancati i miei unici veri amici. Non ero per nulla contenta della partenza: dopo sei mesi nella casetta di mio cugino prendendo una tregua dai miei genitori, da New York, dal traffico e dallo smog, in poche parole dalla vita di tutti i giorni, era difficile abituarsi di nuovo a tutto quello. Non ci potevo credere che, di lì a poco, sarei dovuta salire in macchina e andare in aeroporto per poi sopportare un viaggio della bellezza di sette ore e tornare dalla mia famiglia e dai miei "amici".
E stavo lì, in quella macchina, con mio zio alla guida, mio cugino Jacopo seduto vicino a lui, Luciano vicino al finestrino che guardava fuori, Matilde con in braccio Elsa sul sedile dopo e infine Ilaria che mi teneva in braccio e che continuava ad abbracciarmi e chiedermi se dovevo proprio partire. Eravamo su una macchina da cinque posti in sette, se ci fermavano per strada era la volta buona che sbattevano mio zio in galera. Mio cugino mi fece riprendere dai miei pensieri <Che ne dite di mettere della musica? Giusto per scacciare via un po' di tristezza> tutti approvammo, così cominciò ad elencarci tutti i cd che aveva nella macchina. Alla fine optammo per il disco "Divide" di Ed Sheeran. Quando partì "Shape of you", hit mondiale che sapevano anche i muri di camera mia, tutti ci mettemmo a cantare, creando un coretto che avrebbe fatto sanguinare le orecchie di Beethoven, nonostante fosse sordo... e anche morto. Ma a noi andava bene così. Beh, mi stupisco che mio zio non ci abbia obbligati a scendere dalla macchina e ci abbia lasciati in mezzo al nulla in quell'autostrada ma anche mio zio era un po' triste in quella giornata di settembre.
Arrivati a Milano, all'aeroporto di Malpensa, aspettammo tutti insieme il mio volo. Dopo poco avrei dovuto lasciarli e tornarmene negli USA, perciò mi presi un attimo per osservarli uno ad uno. Per primo c'era lui, il mio cuginetto. Jacopo, ma per tutti Jay, era un ragazzo dai capelli castani chiaro e occhi scuri. Aveva un carattere veramente dolce e apprensivo. Poi c'era Elsa.
Abbiamo sempre letto insieme, abbiamo architettato piani malvagi insieme per sconfiggere i cattivi dei libri e tutte cose del genere. Portava spesso i suoi lunghi capelli castani legati in una treccia a spiga o più comodamente in una coda fermati da un elastico nero. Come dimenticare Luciano, in tutto e per tutto il mio migliore amico, La sua pelle olivastra si abbinava alla con i suoi capelli marroni e gli occhi altrettanto scuri. Poi c'era Ilaria, la mia gemella. Avevamo condiviso insieme tutto gli anni delle medie, parlando e spettegolando durante le ore di artistica e cercando le frasi sul computer durante le ore di tecnologia. I suoi capelli erano biondi e i suoi occhi grigi, la sua statura era media e la sua pelle tanto chiara che, quando andavamo al mare, si scottava sempre. Per ultima ma non per importanza c'era Matilde. Ci conoscevamo dall'età di quattro mesi, la mia migliore amica in assoluto, la mia compagna di avventure, la mia metà. I suoi capelli erano neri come la pece e le ricadevano sulle spalle in una serie di boccoli. Gli occhi, sempre contornati da una sottile linea dì eye-liner, erano tra i più belli che io avessi mai visto. Lei mi aveva insegnato il valore dell'amicizia, lei che mi aveva fatto capire che un'amico non è un tesoro ma una vita intera e non sarei riuscita a stare un istante lontana da lei. Soprattutto per questo la mia permanenza a New York era un incubo.
Fu allora che una voce femminile catturò la mia attenzione. Proveniva dall'altoparlante e mi richiamava per salire sul mio aereo. Era arrivato il mio momento. Mi alzai di scatto seguita da tutti i miei amici. Prima salutai mio zio con un abbraccio, poi passai a tutti gli altri "devi proprio partire?" mi sussurrò uno di loro. Avrei voluto rispondere "no, al diavolo New York, al diavolo la scuola. Io resto qua. Resto perché è l'unica cosa che voglio veramente. Resto perché non mi va di andare in un posto dove non riesco ad esprimere me stasera, dove non mi ci trovo" ma non ne ebbi il coraggio. Forse per paura per le conseguenze, forse perché sentivo che qualcosa laggiù sarebbe successo ma non lo dissi. Rimasi lì, in silenzio, ferma immobile e non risposi. Piansi perché era l'unica cosa che sapevo fare. Piangevo perché dovevo sfogarmi in qualche modo. Piangevo perché dovevo scacciare la tristezza e non conoscevo altro rimedio. <Brooke, ci mancherai> mi disse Ilaria <Anche voi ragazzi, anche voi> mi staccai così da quell'abbraccio, nato per essere sciolto anche se tutti i componenti avrebbero desiderato che durasse per sempre. Mi imbarcai e, mentre guardavo fuori piansi ancora, in silenzio, sotto gli occhi di tutti ma senza che nessuno se ne accorgesse. Io e le persone a cui era legata andammo in due direzioni completamente opposte: io verso l'inferno, loro verso il Paradiso.

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