La scuola stava continuando e sembrava che con il gelido inverno arrivassero anche le disgrazie, come se fossero state in un lungo letargo durante tutta l'estate, come se mi avessero voluto regalare quel briciolo di felicità durante la mia stagione preferita. Comunque, per mia grande sfortuna, Madison cominciava a farsi sentire sempre di più e stava cominciando a farmi provare sempre più dolore, a provocarmi ferite e strappi nell'anima, aprendo ferite che pensavo di aver cicatrizzato da tempo. Ma non era così. Non è mai così, come si spera che sia. Il fato, a volte, è il peggior nemico che esiste al mondo: non puoi combatterlo, non puoi andare contro di lui... è un manipolatore, lui sa come andranno a finire tutte le situazione che stai vivendo e ha in mano tutte le cose belle e brutte che ti capiteranno. Il fato, penso, mi odiasse. Pensavo di riuscire a superare tutto, mi sentivo forte, forte come un fiore sopravvissuto al gelido inverno. Si, pensavo. La mia debolezza stava cominciando a farsi sentire. Ogni giorno una nuova sfida. Ogni giorno incrociavo i suoi occhi, quegli occhi che mi avevano regalato tanto dolore da star male. Ogni giorno un nuovo insulto, a volte nemmeno io capivo il motivo di quello che diceva Madison. Ma la cosa più brutta era che lo facevo all' insaputa dei miei amici. Quegli amici che ogni giorno stavano con me, quegli amici che ogni giorno mi chiedevano come stavo perché sapevano che non andava "tutto bene" come io mi ostinavo a dire. Quegli amici che, in realtà, non sapevano nulla. Non sapevano nulla di come io mi sentissi marcia dentro, tanto da voler ripulirmi completamente. Non so come ma volevo semplicemente farlo per cominciare una nuova vita da qualche altra parte. Non a New York. Nemmeno negli Stati Uniti. Ma in Italia. Ricominciare da quando mia nonna c'era ancora, da quando ero felice con il mio piccolo amico. Quando ero semplicemente felice.
Ogni giorno un nuovo insulto. Quel giorno Madison mi aveva detto che ero solo una "piccola bambina viziata" ma c'era andata leggera. Di solito ci andava giù molto pesantemente causando pianti sempre più violenti ogni volta. Mi chiedevo che cosa avessi che non andava, stavo ore ed ore a guardarmi allo specchio chiedendomi se il mio aspetto fisico era la causa di tutto il mio malessere. Eppure non trovavo mai nulla per cui Madison potesse odiarmi. Non capivo per niente la sua mentalità e ogni giorno che la guardavo cercavo di scavare nei suoi occhi e scorgere la ragione per cui lei facesse così. La mia reputazione di estendeva a macchia d'olio e avevo paura che potesse arrivare alle orecchie dei miei amici. Ogni giorno ero sempre più diffidente e cercavo sempre di condurli in posti dove c'eravamo solo noi come gruppo. Ogni giorno speravo che non incontrassero nessuno in giro e venissero a sapere quello che mi faceva Madison nel bagno della scuola. E anche quel giorno era un giorno come tutti gli altri. Madison mi aveva chiusa in bagno e aveva iniziato a dirmele di tutti i colori. Mi insultava, mi dava calci e mi tirava i capelli. Ed io piangevo. Non potevo ribellarmi, non avevo le forze di fare nulla e l'unica arma che avevo era piangere. L'unico sfogo che potevo permettermi era piangere. E allora io piangevo. Le lacrime che mi solcavano le guance, i singhiozzi e i respiri irregolari erano diventati parte integrante delle mie giornate. Ed io non potevo farci nulla. Non potevo dirlo ai professori: Madison era la figlia del preside quindi mi avrebbe fatta sospendere e avrebbe licenziato il professore con cui mi ero confidata. Non potevo dirlo ai miei genitori, avevano le orecchie sigillate dal troppo lavoro per starmi ad ascoltare. Che cosa avrei potuto fare? Ero io contro un'intera scuola ai piedi di Madison. Dopo l'inferno uscii dal bagno in cui mi aveva segregata. Mi avvicinai verso i lavandini e agli specchi pieni di scritte di fidanzatini o di firme fatte da ragazzi per farsi notare. Tra le tante firme notai anche quella di mio fratello. Mi ricordo che lo aveva fatto in seconda liceo. In quell'anno andava super di moda ed era come per dire "Hey io sono un ragazzo e sono entrato nel bagno delle ragazze" solo per guadagnarsi un cinque da uno dell'ultimo anno o un pranzo con i fichetti della scuola i quali il giorno dopo lo avrebbero lasciato perdere ritornando con il gruppo di amici che il giorno prima aveva letteralmente abbandonato. Spostai gli occhi un po' più in giù e incontrai l'immagine riflessa del mio viso. Quel viso che, fino ad un mese prima curavo e truccavo giusto un pochino ma che ora non prendevo in considerazione. Le occhiaie stavano cominciando a farsi vedere e gli occhi sembravano spenti, più spenti di quanto non lo erano mai stati. Non mettevo più niente: ne correttore ne mascara, tanto sarebbero volati via come un mucchietto di cenere spostati dal leggero soffio di madre natura. Mi sciacquai il volto ed uscii svoltando a destra per la mensa. Cercavo di stamparmi un sorriso ogni volta, sorriso che durava si e no mezzo minuto prima di appoggiarmi al tavolo ed incantarmi a guardare fuori dalla finestra domandandomi il perché di tutto ciò. E così feci anche quella volta. A volte i ragazzi mi passavano una mano davanti agli occhi, giusto per vedere se non fossi morta sul colpo. Ma era come se uscissi dalla Terra, uscissi dall'universo e entrassi in un mondo tutto mio fatto di punti interrogativi e angoli bui in cui nascondersi. Tutti fecero finta di niente fino a quando Sydney sbottò. <Basta Brooke... noi sappiamo tutto. Ce lo hanno detto sta mattina. Volevamo che ce lo dicessi tu ma...> tutta la mia attenzione si rivolse verso di lei. Che cosa voleva dire che "sapevano tutto"? Che cos'era quel "tutto"? <Noi abbiamo sentito di quello che ti fa Madison.> inizialmente feci una faccia del tipo "coooosa? A me? Ma va a me non sta succedendo assolutamente nulla!" Ma i miei occhi dicevano il contrario. <Brooke, perché non c'è lo hai detto prima? Avremmo potuto aiutarti!> non era più Sydney a parlare: Travis si era preso possesso della parola. Dopo un silenzio tombale tra di noi. Di sottofondo c'erano solo le voci di tutti gli altri che ridevano e scherzavano tra di loro. La verità era che non avrebbero potuto aiutarmi, nessuno avrebbe potuto aiutarmi. <Non potevate aiutarmi ragazzi.> dissi semplicemente non aggiungendo altro e con la voce cupa e bassa. <Oh si invece, avremmo potuto proteggerti e non lasciare che ti facesse star male!> ribatté Cameron. Veramente non capivano. Madison era la figlia del preside e aveva tutto il potere nelle sue mani. Avrebbe potuto con uno schiocco di dita non solo sospenderci ma anche farci espellere completamente, non permettendoci di mettere nemmeno solo più la punta del piede nella NYPS. Era perfida, quando voleva, e tutto mi faceva pensare che voleva essere perfida ogni minuto della giornata. <No, ragazzi. Non aveste potuto aiutarmi. Poi voi che cosa ne sapete di come mi sento io?> dissi in modo troppo acido alzandomi dal tavolo. Aggiunsi <Scusatemi per avervi risposto così...> prima di evaporare fuori dalla mensa. Anche quella sera andai a letto con la testa che mi pulsava. Le domande si facevano largo e il senso di libertà si opprimeva in un angolo remoto della mia mente. Presi la foto scolorita dal comodino e la portai al petto. Se fossi rimasta la nulla di tutto ciò sarebbe successo. Se fossi stata la magari sarei con lui a mangiare un gelato seduti su una gelida panchina. Si ma non ero la.*Spazio autrice*
Buonsalve!
Come va?
Questo è un capitolo un po' più sad, mi dispiace.
Spero vi sia piaciuto lo stesso!
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Al prossimo capitolo!❤️
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Lost
Teen Fiction♡ COMPLETA ♡ Brooke Davis trascorse la sua infanzia in Italia, a casa della nonna. A sette anni, però, dovette partire per New York, abbandonando Travis, il suo amico d'infanzia. Brooke ci soffre e spera ogni giorno di ritrovare quel suo amico perd...