Capitolo 12

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Eravamo nella stanza di ospedale. Avevamo pregato il dottor Richardson- così si chiamava- a farci entrare tutti insieme. Alla fine le nostre facce da cani bastonati con i labbrucci all'infuori erano riuscite a fare intenerire un dottore di mezza età e di farci incontrare il nostro amico. Appena entrati avevamo dato un lungo abbraccio a Colton ed ora eravamo lì a parlare del più e del meno, giusto per non farlo sentire "escluso". Si era infiltrato anche mio fratello nel nostro gruppetto e infatti Sydney lo evitava come la peste. Cercava sempre di fare il giro del lettino e di stargli più alla larga possibile, sembrava che stesse scappando da un sicario. Passammo due ore nella stanza di ospedale. Quando entrò il dottor Richardson per farci uscire tre di noi si erano nascosi sotto il letto di Colton, altri tre sotto il letto vuoto che c'era dall'altra parte della stanza ed eravamo rimasti in piedi soltanto Travis, io e mio fratello con in più Sydney. Così implorammo di nuovo il dottore di farci restare visto che eravamo "solo più quattro" lui ci aveva risposto con la solita frase da dottore che usano tutti: "Colton deve riposare!" Perciò ci arrendemmo. Avevamo pregato abbastanza per quel giorno quel povero dottore. <Fuori ragazzi...> dissi con voce sconsolata. La parte restante del gruppo svelò il suo nascondiglio. Dopo aver salutato Colton uscimmo dall'ospedale. Trascinavano i piedi per terra. Qualcuno chiese <che ore sono?> <le quattro e mezza.> rispose qualcun'altro. <Ragazzi... veramente?> chiese Travis fermandosi e fermando anche la carovana di pompe funebri che eravamo diventati. <Due ore ci separano dall'alba. Vogliamo veramente sprecare queste due ore andando a crogiolarci nelle lenzuola dei nostri caldi letti?> noi ci guardammo per un secondo. I nostri sguardi saettavano da uno all'altro senza dare risposta. <No! La risposta è no!> fece Travis aiutandoci. <Andiamo a divertirci, a fare quelle follie che fanno i ragazzi di oggi! Chi è con me?> disse mettendo la mano al centro aspettandosi l'arrivo delle altre. Una mano si mise sopra quella di Travis. Dopo un' altra e un' altra ancora. Lanciai un'occhiata a mio fratello e, dopo che lui ebbe annuito mettemmo le ultime due mani che mancavano: le nostre. <Uno, due, tre...> dicemmo muovendo le mani dal basso verso l'alto prima di gridare. C'era solo un problema: che cosa avremmo dovuto fare? Beh, posso dirvi che una cosa più banale non avremmo potuto inventarla: andammo a sederci su una panchina a giocare a "obbligo o verità". <Mi annoia troppo questo gioco... tutti scelgono sempre verità, verità e nient'altro che verità... giochiamo a "obbligo o verità senza verità"!> propose Cameron. <Scusa... non era più facile chiamarlo direttamente "obbligo"?> gli rispose Sydney. <Chiamalo come ti pare basta che giochiamo...> rispose Cam. Abbracciare un palo della luce, provare a grattarsi l'ascella con l'alluce e far flirtare Travis e Carter furono solo alcuni degli obblighi più strambi. Alla fine ci addormentammo lì. Non so come feci a dormire tranquilla ma stranamente lo ero. Non avevo mai fatto una di queste follie e penso nemmeno Carter (se non con i suoi amici del Baseball che, secondo me, non sono affidabili per niente). Per una volta stavo cominciando a vivere la mia adolescenza che non era fatta da serate segregata in casa a leggere un libro noioso che mi consigliava la mamma ma da serate speciali, come questa, da follie assurde, come questa e, si anche da nuove avventure, come questa. La mia vita si stava evolvendo come un pokemon e lo stava facendo al meglio. Se solo mia madre fosse riuscita a scoprirlo mi avrebbe fatta di nuovo segregare in casa e non avrei nemmeno potuto vedere i miei amici dalle vetrate di camera mia, nemmeno per andare a scuola: mi avrebbe fatta studiare a casa. La mattina ci svegliammo increduli di aver sprecato una nottata (che poi erano solo due ora ma va bene) a dormire. Fatto sta che tornammo a casa.

Nel pomeriggio i miei genitori non si accorsero che quella mattina non c'eravamo stati perché avevano dormito fino alle undici e mezza. Sgattaiolai in camera giusto in tempo perché Alice mi chiamò. Era molto triste perché il concorso, che sarebbe dovuto essere alla fine di novembre sarebbe stato rimandato ad aprile perché la sala dove si doveva registrare era in ristrutturazione non so per cosa. Sta di fatto che avevo più tempo per studiare il brano. E così feci. Presi la mia Fender e mi sedetti sul letto con gli spartiti appoggiati sul piumone. Cominciai a cantare lasciandomi trascinare dalle parole della canzone <We're on the right side of rock bottom, and I hope that we keep falling. We're the best kind of bad something. 'Cause we keep coming back for more!> e mi incantai sentendo la sinfonia prodotta dalle mie dita che si muovevano veloci sulla chitarra e dalla mia voce. Due elementi che si fondono per diventarne uno solo. Come l'amore, o almeno così dicevano nei miliardi di romanzi d'amore che avevo letto. Non avevo mai provato quel sentimento e tantomeno pensavo che si potesse trovare a quell'età. Eppure i romanzi che leggevo erano così convincenti, quegli adolescenti in preda alle emozioni che magicamente scoprono la loro anima gemella, l'unica persona in grado di capire l'altro, l'unica persona che volevano veramente al loro fianco. Eppure la vita non era una di quelle storie strappalacrime e di sicuro la mia di vita non sarebbe stata così semplice. Finito di suonare l'ultimo accordo sentii un applauso dietro di me. Feci un saltino per lo spavento. Mi voltai e vidi Travis <Che ci fai tu a casa mia?> dissi poggiando la chitarra davanti a me e scendendo dalla morbida culla dei sogni (come chiamava mia nonna il letto). <Hey, dovresti essere contenta di vedermi!> disse chiudendo la porta alle sue spalle e avanzando verso di me. <Prima dimmi perché sei a casa mia poi ti dirò se sarò felice di vederti.> risposi retrocedendo. <Volevo chiederti di imprestarmi il libro di algebra perché l'ho perso...> disse grattandosi la nuca. Andai verso la scrivania e frugai tra i libri... libro di geografia, libro di letteratura, libro di inglese... ah! Libro di algebra! Lo presi e glielo porsi ma un attimo prima che lui lo prendesse glielo tolsi da sotto gli occhi <un attimo... come sai dove abito?> sbuffò <Oh ma Brooke, sei proprio svampita allora? Ti ho accompagnata a casa una volta o due da scuola, abiti pochi isolati più su di me.> annuii, vero mi aveva accompagnata quella volta che poi avevo trovato Jay. Ad ogni modo si prese il libro. Un attimo prima che andasse lo fermai. <News da Colton?> mosse la testa da una parte all'altra triste. Aspettò un attimo ed un silenzio imbarazzante si parò tra di noi <Ci vediamo domani a scuola?> mi chiese. <Ci vediamo domani a scuola.> acconsentii. <Ti aspetto sotto casa alle otto meno cinque.> e così si dileguò andando nel corridoio e scendendole scale. Lo sentii ancora salutare mia mamma e ringraziarla per poi chiudere la porta di ingresso. Corsi verso la vetrata e lo vidi allontanarsi e imboccare la via di ritorno verso casa. Si voltò e mi fece un sorriso per poi scomparire dalla mia vista. <Alle otto meno cinque.> ripetei. E io alle otto meno cinque mi sarei fatta trovare sotto casa, pronta con la cartella sulle spalle ad aspettare che mi venisse a prendere per andare a scuola. Non un minuto di più. Non un minuto di meno.

*Spazio autrice*
Salve lettori e lettrici!
Come va?
Abbiamo visto un Travis dolce! Zuccheroso come una caramellina al miele... anche se non mi piacciono le caramelline al miele...
Anyway...
Il concorso di poesia è rimandato e nel frattempo si avvicina il Natale per Brooke!
Ci vediamo al prossimo capitolo! Goodbye!❤️

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