Capitolo 11

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Il pomeriggio del giorno dopo ero a casa. Mi stavo aggirando per i corridoi come uno zombie finché non mi colpì la conversazione che stava avendo mio fratello con qualcuno. <Smettila, per favore smettila! Non capisci che non ce la faccio più? Io non ti voglio!> passarono minuti interminabili di silenzio da parte di mio fratello. <Va bene...> concluse. Sentii un rumore sordo: il telefono cadde sul letto. Un altro rumore sordo mi arrivò alle orecchie: anche Carter si era sdraiato sul letto, anzi si era scaraventato con tutto il suo leggiadro peso, sbuffando. Aprii leggermente la porta e mi avvicinai cauta. Passo dopo passo. <Carter? Tutto a posto?> chiesi per essere sicura che mio fratello stesse bene. Appena mi sentì scattò in piedi. <Brooke! Che ci fai qua?> chiese grattandosi il gomito. Era agitato. Lo faceva sempre quando non si stentiva bene o a disagio: si grattava il gomito. Aveva paura che io avessi sentito la loro conversazione? Che motivo c'era di arrabbiarsi così tanto? Insomma non sapevo nemmeno chi era la persona dall'altro capo del telefono! <Io... non lo so volevo assicurarmi che stessi bene!> dissi avvicinandomi di qualche passo. <Sei troppo gentile, dovresti pensare un po' di meno agli altr...>
<Me lo diceva sempre nonna.> lo interruppi ricordando ciò che lei affermava. Carter annuì e mi strinse in un abbraccio che ricambiai. Non era da lui abbracciarmi, non capivo il motivo di tutto ciò. L'ultima volta che mi aveva abbracciata era stato quando avevo sette anni. Eravamo all'aeroporto di New York ed io ero appena tornata dall'Italia. Era tanto felice di vedermi che mi aveva buttato le braccia al collo. Mi ricordo che portavo ancora la coroncina che mi aveva fatto Travis e infatti, appena mio fratello la notò, cominciammo subito a parlare di quello. Era un mago con le coroncine di fiori, anzi collanine visto che diceva che le coroncine erano da femminuccie. Ne sapeva fare in tutti i modi. Tornando al presente ero felice di quell'abbraccio inaspettato. Ero pronta a qualsiasi cosa in quel momento ma di sicuro non un abbraccio. <Cosa c'è che ti turba?> osai chiedergli notando la sua frustrazione sia durante la conversazione di prima sia durante l'abbraccio che ci stavamo scambiando <Niente, niente Brooke. Tu... tu non preoccuparti e ti prometto che risolverò tutto, te lo prometto sulla cosa che ho di più cara ma per favore non odiarmi.> disse aumentando la presa. Le mie spalle si bagnarono leggermente: stava piangendo. Così mi chiesi se aveva la febbre o se era scemo naturale. O bipolare... si poteva anche essere bipolare. Un giorno fa così, l'altro giorno mi abbraccia. Non sapevo più  come comportarmi con lui stava cambiando radicalmente: non faceva così nemmeno l'anno scorso, quando io avevo veramente bisogno di una spalla su cui piangere, di un fratello che mi volesse bene. <Io non ti odio, Carter. Come ti può venire in mente una cosa del genere? Sei stato cattivo ed egoista in molte circostanze, non te lo nego ma sei pur sempre mio fratello e io non ti odierei mai, anche se lo volessi con tutto il mio cuore.> lo consolai. Non lo avrei odiato nemmeno se mi avesse fatto il torto più grande del mondo: siamo figli della stessa madre e dello stesso padre e che ci piaccesse o no dovevamo convivere. A volte litigavamo, in quel periodo direi spesso, ma ci volevamo bene, molto bene. <Scusami...> mi disse. Non capii. Un altro suo atteggiamento strano. Perché si doveva scusare? Perché doveva non volere più la persona con cui era al telefono? Non mi ricordo cosa successe dopo. So solo che tornai in camera mia confusa. Erano appena le tre del pomeriggio perciò decisi di chiamare Sydy. <Heyla Brooke!> mi salutò dopo appena tre squilli <Hey ciao!> la salutai. <Qualcosa che non va?> mi chiese come se mi avesse letto nel pensiero. A volte lo faceva veramente. Probabilmente mi conosceva talmente bene che non aveva bisogno di vedermi in faccia o vedere il mio atteggiamento. Le bastava sentire la mia voce per sapere come stessi: se ero felice lo capiva, se ero triste pure. <A dire il vero si...> dissi per poi raccontarle delle straordinarie avventure del folle Carter Davis. Lei mi disse che dovevo fidarmi di lui. Era pur sempre mio fratello e magari stava cambiando. Lo speravo anche io. Anche lei si era fidata di Carter e sappiamo come era andata a finire ma questa volta ci credevo di più. Anzi diciamo pure che me lo auguravo per lui perché stava diventando un peso per tutti con il suo caratteraccio. Stava diventando sempre più popolare a forza di stare con Madison ma... non è quello che conta. Mi ricorderò sempre quando avevo sette anni da mia nonna. Mi ricordo che mi lamentavo sempre con Travis perché tutte le mie amiche erano molto popolari, conoscevano tutti nella scuola mentre io giravo sempre con le altre mie due amiche più strette cambiando raramente il giro. Il mio carattere mi aveva sempre impedito di fare tutto quello che volevo. Mia nonna mi diceva sempre che era meglio avere poche amiche ma buone. Invece Travis mi diceva che le ragazze popolari nella sua scuola elementare erano quelle più antipatiche che si credevano le reginette, perciò secondo lui era meglio che io non fossi come loro: mi continuava a ripetere che io non ero cattiva come le altre e che sarei stata la sua unica vera amica per sempre. E lui il mio unico vero amico per sempre.

Erano le due di notte quando mi svegliai per la suoneria del mio telefono. Staccai l'iPhone dalla carica e me lo potrai all'orecchio senza guardare chi fosse. <Si?> dissi con la voce impastata dal sonno e passandomi la mano libera su tutta la faccia. <Brooke, Brooke veloce! Oh Dio non ci credo Brooke! Vieni siamo in ospedale!> la voce era quella di Travis. Era disperato e sembrava anche che stesse piangendo. Mi stavo seriamente preoccupando. <Hey, hey calmati. Travis calmo. Dimmi che cos'è successo. Perché sei in ospedale?> dissi cercando di tranquillizzarlo. <Brooke, vieni per favore, ti prego! ?C-Colton, Colton!> non capivo. Era super agitato e non riusciva a comporre una frase di senso compiuto. <Travis calmati per favore! Che cos'è successo a Colton?> passarono istanti in cui sentii solo il suo respiro affannato dall'altro capo del telefono. <Senti facciamo così. Dimmi dove sei e io ti raggiungo.> proposi. <V-va bene. Sono al Mount Sinai Hospital, vicino a Central Park.> disse per poi chiudere la chiamata. Il problema ora stava nel convincere mio fratello 1) a farlo scendere dal letto 2) a fargli prendere la sua macchina per accompagnarmi.
Entrai di soppiatto in camera sua. Iniziai a scuoterlo delicatamente dal braccio <Carter... Carter svegliati.> continuai a scuoterlo ma non si degnava nemmeno di alzare un muscolo. <Carter!> lo chiamai un po' più forte di prima pregando in ogni lingua della terra di non aver svegliato i miei. <Ancora cinque minuti mam...> fece per dire ma io gli tappai la bocca con la mano per l'eccesso del volume della sua voce. Aprì gli occhi e li sgranò <Brooke ma che ci fai in camera mia?> gli levai la mano dalla bocca e mi misi a sedere sul suo letto a fianco a lui. <Mi devi portare al Mount Sinai Hospital.> dissi per poi spiegargli tutta la storia. <Eh va bene, vai a cambiarti muoviti!> ci misi il minor tempo possibile per infilarmi una maglia a caso, i pantaloni ed il giubbotto visto che faceva freddo. Scendemmo ad una velocità lampo e salimmo in macchina. Carter aveva scritto un biglietto ai miei nel caso non fossimo tornati. Sapevamo che ci avrebbero praticamente fucilati o fatto una di quella strane torture del Medioevo ma questo ed altro per un amico. In macchina mi meravigliai della scelta di mio fratello. L'anno scorso mi avrebbe detto "Fatti portare dai tuoi stupidi amici che io non ho intenzione di scendere da questo dannato letto!" ma ora non l'aveva fatto. Arrivati in ospedale mi affrettai a chiedere di Colton e, saputo il piano ed il corridoio, corsi fino a quando non incontrai gli altri. C'eravamo io, Carter, Travis, Cameron, Sawyer, Sydney e i genitori di Colton ma ci avvisarono che sarebbero arrivate a momenti anche Hazel, Autumn e Piper. Mi fiondai tra le braccia di Travis, cercando di tranquillizzarlo. Non la smetteva di piangere, diceva che non aveva ancora realizzato il suo sogno e che si era appena ripreso. Diceva che non meritava tutto questo, non dopo tutto quello che aveva passato. Diceva che era il momento di dare una svolta alla sua vita. Non sapevo perché continuava a farfugliare quelle cose, non sapevo nemmeno a cosa si riferissero ma continuai ad abbracciare Travis. Le sue lacrime mi bagnavano il giubbotto, stava veramente male. La mia mano destra gli accarezzava i capelli mentre con la sinistra gli accarezzavo la schiena. Aveva le occhiaie e gli occhi gonfi. Appena ci diedero il via per le visite entrarono i suoi genitori. Da loro avevo scoperto che aveva avuto un incidente: stava attraversando la strada quando è passata una macchina e lo ha investito. Povero Colton... stavo veramente male per lui. Era una di quelle persone a cui volevo veramente bene. Ok, lo conoscevo da si e no due mesi ma sapete quell'impulso che senti forte dentro al petto che ti dice che di certe persone ti puoi fidare, che non sarebbe capitato nulla. Ecco, sentivo quello. C'era anche da dire che ero stata sola per molto tempo e questo mi portava a fidarmi forse anche un po' troppo delle persone.

*Spazio autrice*
Buonsalve lettori e lettrici!
Ecco il capitolo 11! (Seeeee!)
Colton ha avuto un incidente...
E Brooke sta scoprendo qualcosa sul suo passato.
Carter sta veramente cambiando, voi che ne dite?
Tra l'altro vi vanno bene gli aggiornamenti il mercoledì è il giovedì?
Ricordatevi di lasciare tante ⭐️ e 💬!
Al prossimo capitolo!❤️

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