5 - Tom

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«Dove diavolo sei stata!» sbraitò Sara non appena Mad ebbe attraversato l'ingresso di casa «è quasi mezzogiorno! Questo è il tuo concetto di “non tornare tardi”??» continuò strillando.

Mad strinse gli occhi un paio di volte, aveva bevuto un po' e ora rimaneva solo un gran mal di testa che le urla della sorella contribuivano a peggiorare. Era in piedi nell'ingresso, il vestito stropicciato, il trucco sbavato e le scarpe in mano. Si era appoggiata al muro e cercava di raggiungere la camera evitando così di discutere con Sara. Richiuse la porta della stanza dietro di se e, lasciando a terra i tacchi e la borsa, si lasciò cadere a peso morto sul letto.

Quando aprì gli occhi un paio d'ore più tardi, il mal di testa l'aveva abbandonata e la casa era silenziosa. Decise di scendere per mangiare qualcosa. Dopo la nottata si sentiva finalmente più libera, anche se sapeva che prima o poi la sorella le avrebbe fatto la ramanzina. Fece meno rumore possibile, non voleva certamente attirare la sua attenzione! Frugò nel frigo e nella dispensa che erano quasi vuoti. Trovò qualche fetta di pane e ci spalmò sopra quella poca nutella rimasta nel barattolo.

Quando finì di mangiare tornò in camera, indossò un paio collant scuri con sopra dei pantaloncini in jeans, una canotta larga color bordeaux e infilò le converse nei piedi. Prese solo il cellulare, che mise in una tasca degli shorts e le chiavi di casa che, una volta fuori, mise nell'altra. Aveva deciso di andare a fare una corsa, intanto avrebbe dato un'occhiata al quartiere; ormai era li già da una settimana e, oltre alla festa e al tragitto che portava alla scuola, non aveva visto altro. Iniziò a correre senza una vera destinazione. Le piaceva correre perchè in quel momento si sentiva libera, le sembrava di scappare via da tutto, dalle notti con qualche sconosciuto del momento alle urla della madre, che ora era sostituita dalla sorella, quando tornava tardi o ridotta in uno stato pietoso. Non le piaceva la sua vita, ma quello che faceva era l'unico modo che aveva di riuscire a restare viva. O almeno era l'unico che avesse trovato. Era così ormai che aveva imparato a sfogarsi e ad accettarsi. Si portava a letto i ragazzi perchè così, oltre a sentirsi desiderata, si convinceva di avere il comando e di essere forte, ma non lo era. Lei era la più debole creatura che potesse esistere era stata rovinata e da allora era in pezzi e si sa, i cocci di vetro feriscono chi tenta di raccoglierli o chi tenta di evitarli,non fanno differenze, per questo si divertiva ad umiliare e a creare dolore negli altri. Sopratutto nelle persone più grandi di lei. Lo faceva perchè così non pensava ed evitava quei brutti pensieri che qualche hanno prima le stavano lentamente portando via la vita.

Un clacson attirò la sua attenzione, si voltò e, a bordo di una macchina sportiva, notò lui, una delle sue “prede” come le chiamava lei: Tom.

«Hey! Tu sei la coinquilina di Gustav giusto?» aveva un'aria scherzosa e maliziosa allo stesso tempo.

«Sì e ho un nome. Sono Mad» rispose fredda lei, non poteva far vedere che le interessava.

«Scusa, Mad è che non ho una buona memoria...».

«Ah si? Eppure il mio fondo schiena l'hai riconosciuto benissimo mi pare...» esclamò tagliente.

Lui sorrise facendole cenno di salire in auto.

«Ti va di andare a fare un giro?» disse poi.

«Sto correndo, non si vede?».

«Sempre così gentile?».

«Sempre così stupido?».

Stavolta lui scoppiò in una rumorosa risata, Mad lo guardava con aria infastidita e, quando capì che la risata sarebbe durata più della sua pazienza, riprese a correre sul marciapiede. Dopo un paio di minuti la macchina l'affiancò di nuovo e lei decise di fermarsi nuovamente curiosa di sapere cos'altro voleva quel ragazzo.

Now I'm here, No more fearsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora