Capitolo uno

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Ciao a tutti.

Ho deciso di pubblicare il primo capitolo di questa storia perché ormai ci sto dietro da un po'. So che ne ho in corso un'altra e cercherò di seguire entrambe.

Questa storia sarà un po' diversa dalle altre, perché per la prima volta mi sono calata nel fantasy. Non è un genere che piace a tutti, generalmente nemmeno a me, ma l'idea mi ha coinvolta fin da subito, quindi spero faccia lo stesso con voi.

Buona lettura 🤞🏻

A presto.

Sara.

(Ringrazio per la copertina martylovedems che come sempre ha fatto un lavoro perfetto. 😍)

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Camila non era mai stata puntuale, figuriamoci se lo sarebbe stata per il suo primo giorno di quarta liceo.

Teoricamente è colpa del traffico. Si giustificò, mentre dal finestrino dell'autobus sbirciava la lunga serpentina di vetture che ingorgava la strada.

Anche se avresti potuto impostare la sveglia un quarto d'ora prima. L'ammonì inclemente il suo subconscio, facendole alzare gli occhi al cielo.

La cubana si accomodò sul sedile scomodo, piegò la testa all'indietro e l'appoggiò contro di esso. Uno sbadiglio si impossessò di lei, materializzando il sonno che le appesantiva le palpebre.

Ne aveva fatto un altro. Un altro di quegli incubi tremendi che la svegliavano di soprassalto, trafelata e impaurita. Nel manto oscuro della notte tutto appariva minaccioso e tetro. Così, Camila aveva imparato a dormire con una luce sempre accesa, un bagliore che scalfisse il buio fitto della sua stanza.

I suoi non erano incubi catastrofici, tantomeno attentavano alle sua vita. Nessun mostro dalle grandi fauci, con occhi iniettati di sangue e squame sull'addome. Il suo, di mostro, aveva grandi smeraldi verdi che la scrutavano con intensità quale palpabile da quanto reale, capelli corvini inanellati che incorniciavano un viso troppo bello per il sorriso malefico che puntualmente la tormentava. Aveva una risata tonante, che pian pian si gonfiava fino a sfiorare il raccapricciante. Quella donna aveva le sembianze umane, ma emanava paura innaturale. Era come se Camila, in quei pochi secondi, venisse a contatto con le sue paure più recondite e radicate.

Una notte, probabilmente suggestionata da quei ricorrenti incubi, aveva avuto l'impressione che la voce risuonasse nella sua stanza anche dopo aver spalancato gli occhi. Un'altra sera, invece, la mano che si stava approssimando nel sogno, tentando di sfiorarla, l'aveva perseguitata una volta vigile. Le era parso che quelle dita affusolate si portassero nell'ombra della sua stanza, ad un soffio dal suo naso. Aveva tentato di strillare, ma l'urlo si era incastrato in gola.

Non aveva raccontato a nessuno di quelle notte insonni, perché aveva il timore che l'avrebbero presa per folle, o, ancora peggio, avrebbero potuto dirle che stava esaltando una situazione "infantile." Forse la sua paura per il buio si stava palesando sotto forma di incubi, ed è per questo che si ritrovava ad ansimare teorizzata nel mezzo della notte, perché si addormentava già irrequieta.

Non aveva voglia di sentirsi screditata e nemmeno essere data per scontata. Non sapeva come illustrare il problema, ne tantomeno a chi illustrarlo.

In quel momento le squillò il telefono e i suoi pensieri vennero rapidamente spazzati via dalla suoneria esigente. Il nome di Dinah, la sua migliore amica, lampeggiò sullo schermo.

«Sono in un fottutto ritardo, non dirmelo.» L'anticipò la cubana, ticchettando impaziente le dita contro il finestrino.

«Sei in un fottuto ritardo.» Disobbedì la polinesiana, apostrofandola con tono allarmato.

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