Capitolo diciotto

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Ciao a tutti!

Ragazzi scusate, ho sbagliato a pubblicare il capitolo di ieri. Praticamente ne ho saltato uno 😂😅 Che è questo di oggi. Menomale che ve ne accorgete voi.

Grazie mille e scusate ancora.

Lauren aveva trascorso una nottata tormentata. Non solo Normani l'aveva angariata per qualche ora con quel suo sguardo sospettoso aveva indagato su di lei, mantenendo buon viso a cattivo gioco.

Camila, invece, aveva dormito come un sasso, indisturbata. Nessun incubo aveva assaltato il suo sonno, anche se ne aveva vissuto uno che l'aveva spaventata più di qualsiasi mostro fittizio.

La mattina, svegliandosi in un letto non suo, si era fatta prendere dal panico, poi gli scatti della sera prima avevano ricostruito il percorso e il suo cuore si era calmato, ma non il respiro. Era contenta di non essere finita in qualche bettola, ubriaca e sola, ma non poteva eludere l'imbarazzo di trovarsi nell'appartamento di Lauren.

Rimase a poltrire nell'accogliente coltre per qualche minuto, fissò il soffitto spaesata, assemblando un discorso sensato per quando avrebbe messo piede fuori dalla stanza da letto e si fosse imbattuta nella sua profesoressa.

I suoi vestiti non si trovavano nella stanza, erano stati rimpiazzati con dei pantaloni della tuta in tessuto soffice e una t-shirt abbastanza slabbrata sul colletto, lunga. Camila indossò gli indumenti, ripiegò il pigiama e lo depose sulla poltrona in pelle nera che torreggiava all'angolo. Si impegnò per rifare il letto e poi, prudentemente, si avventurò nel corridoio.

Un venticello fresco arieggiava la casa. Le tende si piegavano sotto l'alito mattutino, effondendo un profumo di lavanda. Quello fu il primo particolare che registrò. Il secondo fu il calice che riposava sul ripiano della cucina. Era riempito fino a metà, qualcuno aveva bevuto da poco. A Camila venne la nausea a pensare di poter bere ancora, ma soprattutto a quell'ora prematura.

«Buongiorno.» Una voce rauca alla sue spalle la risvegliò dalla sua trance.

Si voltò di scatto, seguendo la fonte. Probabilmente la mascella le si dislocò in fretta, raggiungendo in tempi record il pavimento.

Lauren indossava una camicia lunga, a righe, con le maniche arrotolate fino al gomito, i bottoni rigorosamente aggancianti, solo l'ultimo era discinto e permetteva al colletto di allargarsi floscio sulle spalle. I capelli erano un po' scompigliati, naturali, più pomposi del solito, probabilmente a causa "dell'effetto notte". Nessun pantalone, nessun tessuto che coprisse le sue gambe. Aveva una pelle chiara, lucente, ma leggermente brunita, assomigliava al color cappuccino. Era semplice, ma mozzafiato.

«Buongiorno.» Deglutì faticosamente la cubana, concentrandosi subito su qualcos'altro per non fissare imbambolata Lauren.

La corvina la superò disinvolta, afferrò il calice abbandonato sull'isola di legno e ne beve un lungo sorso, ripulendolo.

Osservò ora la coppa vuota, girandola fra le mani «Barolo.» Proferì con tono vellutato, per poi sospirare e riporre il calice nell'acquaio.

Camila non se ne intendeva di vini, ma valutando la raffinatezza della rastrelliera che ospitava le più varie bottiglie, Lauren non doveva lesinare sul cartellino dei vini.

«Come ti senti?» Chiese la corvina, riscuotendola dal torpore per la seconda volta.

Camila si confondeva ogni volta che Lauren si appellava a lei. Prima le dava del tu, poi del lei, poi di nuovo del tu. Era una continua tarantella.

«Come se qualcuno mi fosse passato sopra con un tir, inserito la retromarcia e ingranato la prima più e più volte.» Rispose Camila, utilizzando una metafora che esprimesse limpidamente i dolori sparsi che le anchilosavano gli arti e il mal di testa martellante che teneva in ostaggio le sue tempie malandate.

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