Capitolo ventisette

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«Cazzo!!» Lauren scagliò il calice contro la parete. I pezzi si frantumarono all'istante, esplodendo in ogni dove, mentre un rivolo bordeaux di vino colò sul muro.

Si afflosciò sul divano, arcuò la schiena e sprofondò la testa nella conca delle mani. I suoi muscoli tremuli si sposavano perfettamente con il battito accelerato e la stanchezza incombente sulle spalle.

Era la quinta volta che tentava di interpolare la realtà, di riscriverne il corso, di trasformare il ricordo in un sogno, ma le sue energie si erano estinte. Modificare la realtà era spossante, decisamente faticoso.

Ma Lauren sapeva bene perché non aveva più quel potere.

Si alzò dal divano e si versò due dita di vino in un calice immacolato. Che naturalmente scolò in un baleno. Prese a marciare per il perimetro della casa, avanti e indietro avanti e indietro, lambiccandosi su come ri-assimilare risorse. La verità era che il modo lo conosceva, ma sperava di trovarne uno traversale.

«Andiamo, andiamo...» Sussurrava fra se e se, incitando le sue meningi a collaborare.

Niente, non esisteva via alternativa se non quella che già conosceva: se rivoleva le sue scorte di energie doveva succhiarne a Camila.

Fino ad allora ne aveva fatto stoccaggio, dato che con le innumerevoli apparizioni macabre che aveva ideato per intimidire Camila nei suoi sogni le avevano procurato energia a sufficienza, ma adesso, le sorti si erano rovesciate. Era Camila che comandava il gioco senza nemmeno saperlo.

Ogni volta che Lauren cedeva alle sue lusinghe, la cubana acquisiva potenza e la corvina ne perdeva. Era una continua lotta, che però prendeva atto all'insaputa della cubana, che malgrado ciò era comunque in testa.

Le energie di Lauren sarebbero proliferate solo se quelle di Camila si fossero dimezzate. E l'unico modo per assorbirle era durante la notte, sollecitando la paura della ragazza.

Quella era l'ultima cosa che voleva, ma aveva scelta? Ma la vera domanda era: anche se ne avesse avuta una, poteva scegliere? No.

Si sedette sul divano. Le mani già sudate e la fronte fredda. Non voleva, non voleva proprio farlo. Doveva auto convincersi di volerlo, perché in quel caso il dovere non era una ragione abbastanza motivata per spingerla ad agire. Così iniziò a scavare nei recessi della sua memoria per trovare un motivo, uno soltanto, per cui farlo. In realtà non dovette rinvangare a lungo, dato che una delle principali spiegazioni risaliva proprio al giorno prima.

In quell'aula, vuota e muta, aveva disteso Camila sul tavolo e l'aveva presa più e più volte, ma poi, naturalmente, dopo l'esplosione di passione, la cubana si era rivestita molto velocemente, ogni suo gesto o sguardo tramandava una certa insofferenza, una certa smania. E poi glielo aveva chiesto, sparando una pallottola imparabile "Perché non ricordo di quella notte? È successo qualcosa che non so?". La corvina aveva capito che alludeva a entità del tutto discostanti di quelle che in realtà aveva abusato Lauren. Era uscita a persuaderla, ma non ci sarebbe voluto molto tempo prima che Camila tornasse a bersagliarla di domande. Era il momento di cancellare i suoi errori. Ma non poteva farlo e più tempo passava, più il ricordo diventava indelebile. Doveva agire.

Trangugiò uno, due, tre bicchieri di vino... Poi, carica del giusto piglio, si accomodò sul divano, saltellò un po' qua un po' la, e infine tutto divenne buio.

Creare una connessione con Camila era diventato più facile. La cubana si fidava di lei, in un modo che Lauren non avrebbe mai potuto immaginare, ma si fidava. Era più semplice perciò permeare le sue difese, smagliante le giunzioni.

In poco più di qualche secondo l'intrusione fu effettiva, l'effrazione in atto. Aveva agganciato la mente di Camila e ora si trovava al suo interno. Si tenne fuori dai sogni che sfrecciavano di fronte ai suoi occhi, materia onirica che si sarebbe sbriciolata appena le palpebre di Camila si sarebbero aperte.

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