Capitolo ventitré

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Camila si svegliò con un lieve mal di testa, che però svanì dopo aver stirato gambe e braccia, scrollando la sonnolenza di dosso. Sgusciò nel bagno prima che la sveglia pre impostata delle sue compagne suonasse. Aveva qualche minuto d'anticipo e li usò per lavarsi i denti, pettinarsi i capelli e sciacquarsi il viso. Poi le note di I Lived risuonarono nell'altra stanza. Un lamento, un altro e l'allarme venne spento. Con molta probabilità era stata Ally ad alzarsi per prima, ma i suoi pronostici vennero smentiti quando si imbatté in Dinah.

Aveva uno smalto diverso, una grinta euforica. Camila corrugò la fronte, stranita.

«Hai un'aria... quasi... allegra.» Tentò di spiegarsi Camila, scrutando scrupolosamente la sua espressione per carpirne dei segnali caratteristici.

In realtà i suoi sforzi furono del tutto vani, dato che fu la stessa Dinah a svelare l'arcano «Oggi c'è il volo dell'angelo.» Si schiuse in un sorriso smagliante, applaudendo eccitata.

«Facoltativo.» La voce di Ally giunse ovattata dal cuscino in cui era affondata, ma distinguibile.

«Si si, abbiamo capito che non lo farai.» Alzò gli occhi al cielo la polinesiana, prima di bofonchiare qualcosa sottotono e dirigersi verso il bagno.

Ally rispose allo stesso modo, borbottando incomprensibilmente, mentre Camila si dissociò dallo screzio mattutino spulciando il depliant che Dinah aveva lasciato sul comodino. C'era una varietà di attività da scegliere, ma nessuna la ispirava più del dovuto. Storse la labbra insoddisfatta, poi, quando la polinesiana liberò il bagno, ponderò l'idea di aggregarsi alla sua iniziativa alquanto impavida, ma già avvertiva il voltastomaco a pensare di gettarsi nel vuoto da quota inaudita.

«Verrò ad assistere e basta.» Trasse in conclusione, ricevendo una scrollata di spalle da Dinah che non aveva niente in contrario: se essere spettatore non annoiava Camila, che fastidio poteva infliggere a lei?

Attorno alle otto e mezzo si radunarono tutti nella hall, da dove poi vennero condotti a fare colazione al ristorante dell'hotel, poi i professori si insignirono del titolo di "guide" e comunicarono chi di loro si sarebbe occupato delle rispettive attività eleggibili.

«Chiunque desideri visitare la città in lungo e largo su un autobus a due piani, è pregato di raggiungermi. Se qualcuno è così temerario da lanciarsi da una montagna su un pezzo di legno, si schieri al fianco della profesoressa Jauregui. Invece per chi...»

Ma perché non ho scelto una gita tranquilla, con l'aria fra i capelli? Meditò la cubana mentre si allineava in fila, percependo già il formicolio percorrerle le dita delle mani.

Non si misero in marcia prima di mezz'ora, quando tutti gli studenti furono ripartiti e organizzati, ma soprattutto quando i professori ebbero stabilito un orario di raduno per la sera che conciliasse con i diversi orari delle attrattive. Prefissarono per le 20:30, circa.

Per raggiungere il luogo vennero scortati da un apposito bus che si adoperava appositamente di condurre i turisti verso il colmo della montagna. Il sentiero che serpeggiava circolarmente, attorcendosi su se stesso, offriva degli scorci mozzafiato sul panorama che spaziavano da verdeggiante a periferico, da moderno a fatiscente. Camila registrò tutto, un po' perché era distratta e si era ritrovata a mirare fuori dal finestrino per tutto il tempo, e un po' perché studiare il paesaggio era una costante per lei.

Quando il motore si spense, fu Dinah a spintonarla per sollecitarla a scendere, tanto lei era assorta nei suoi pensieri. La polinesiana non vedeva l'ora di lanciarsi in quell'impresa, letteralmente. Camila invece si godeva il clima più mite, la vista che planava dall'alto, l'occhio che raccoglieva più particolari e li univa in un unico grande mosaico. Si sorprese di scoprire che alcuni ragazzi erano già in fila per recuperare un'imbracatura, fondamentale per l'incolumità del gioco. Dinah la sospinse verso il barroccio in legno impiegato nella distribuzione di tale precauzione.

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