Capitolo trenta

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Camila si stiracchiò, destata da un invadente raggio di sole che rifletté sul cuscino. La cubana mugolò irritata, infossando più in profondità la faccia, sperando che quel gesto un po' infantile bastasse per proteggerla dall'inizio della giornata e dalla noia di doversi alzare. Ma il Sole continuava a traspirare dalle tapparelle, esigente e dispettoso come sempre.
Camila bofonchiò un'ultima volta prima di decidersi a sollevare la testa e immergersi nel pieno della mattinata.

Tastò il comodino alla ricerca della sveglia, abituata ad orientarsi fra i suoi affetti personali, ma invece il braccio incappò in un vaso di fiori e poi un souvenir di qualche località anonima. Camila storse il naso, confusa, solo quando drizzò la testa si rese conto di non trovarsi nella sua stanza.

Inizialmente venne assalita dal panico, ma quando i più nefasti scenari si furono smaterializzati e l'ansia polverizzata, i ricordi riaffiorarono a galla come boe. Camila si girò di scatto, trovando ciò che appunto la sua mente aveva già segnalato.

Lauren era appisolata al suo fianco, parzialmente voltata con il viso, ma in posizione supina. Le labbra erano schiuse e le ciglia svolazzavano sulle palpebre ceree. Camila, proprio coma una bambina, accostò la mano alle labbra e distese il pollice contro la bocca, sorridendo dietro di essa.

Non stava sognando. Non sapeva dire come, ma non stava sognando. A scuola le avevano insegnato che l'inconscio si esprime tramite i sogni, non avendo altri canali di espressione. E nei sogni rivedi i desideri che hai represso, quelli scomodi che hai allontanato. Se c'era un desiderio che Camila non riusciva ad allontanare, era Lauren. Okay, forse era una spiegazione un po' campata in aria, ma le piaceva descrivere così ciò che provava per la corvina distesa al suo fianco: un desiderio che non poteva ripudiare.

Camila prese una manciata di coraggio e si accoccolò al petto di Lauren. La corvina mugugnò, al che la cubana credette che fosse responsabilità sua, ma si tranquillizzò quando si avvide che in realtà era solo un riflesso incondizionato del dormiveglia. Camila si appollaiò sul torace della corvina, cinse il fianco della donna e distese i muscoli quando assunse interamente la posizione.

Lauren sgranchì dopo poco gli arti, rattrappiti dal sonno. Credendo di avere maggior spazio, si aprì in un'ampia coreografia, che però capitolò quando venne intralciata dal peso che le schiacciava il busto. Abbassò pigramente lo sguardo, come se inconsciamente fosse conscia del perché una zavorra le opprimesse lo sterno. Trovando una matassa di boccoli tendenti al corvino sotto al suo naso e intravide il colore caramellato della pelle in contrasto con la sua.

Sorrise.

Le accarezzò i capelli.

«Tè o caffè?» Domandò Lauren, tentando di stemperare l'imbarazzo che nutriva verso la paradossalità della situazione.

«Ginseng.» Dissentì la cubana, strappando un sorriso a Lauren. Quella ragazza non si arrendeva mai.

«Come fa tua madre con te?» La canzonò sconclusionatamente Lauren.

Camila trasalì, issò di scatto il capo, portando la mano alla fronte.

"Faccio presto". Presto un cavolo, Camila!

«Oh-oh, problemi in paradiso?» Domandò ironicamente la corvina, ma al contempo un po' allarmata dall'apprensione smodata della cubana.

«Cazzo!» Inveì, scivolando rapidamente fuori dal letto e raccattando i suoi vestiti disseminati sul pavimento.

Pessima idea il secondo round. Si apostrofò, mentre scavava sotto al tappeto alla ricerca dei calzini.

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