Capitolo trentacinque

2.2K 210 39
                                    


Era passato un mese. Un mese in cui Lauren era rimasta sul filo del rasoio, appesa fra le vestigia del suo essere e l'impronta della sua anima. Non aveva smesso di incontra Camila, di nascosto, "in sordina" come piaceva sottolineare alla cubana in un sorriso sghembo ma felice. Alcune volte, però, era stata costretta ad assentarsi, a isolarsi, a socializzare individualmente con il suo dolore. Perché si sa, la sofferenza è personale.

Era diventato un meccanismo quasi perverso, dominato dall'irriducibile senso di sfida che Lauren avvertiva contro se stessa. Non aveva deciso chi salvare e tantomeno chi essere -non era nemmeno sicura di poter scegliere. Semplicemente si crogiolava caparbia in quel ciclo di sofferenza, perché ogni volta che le spine laceravano i suoi arti, Lauren per ripicca inciampava nei soliti errori. Che poi errori non erano, magari potevano essere definiti pallide controversie, al massimo.

Comunque, l'istinto pseudo-masochista di Lauren altro non era che il cieco prevalere sulla gerarchia. E stavolta non doveva soggiogare nessuno all'infuori di se stessa.

Quella mattina, scalza e assonnata, reduce da una notte di lamenti e rantoli, decise che si sarebbe presa un giorno libero. Ma si! Aveva bisogno di staccare la spina dai neologismi della superba gioventù, dagli anticonformisti che ormai in tutte le generazioni si divertivano a svendere arroganza per i corridoi scolastici. Basta giovani, basta almeno per un giorno.

Riempì lo zaino con le provviste necessarie per un giorno fuori porta. Contattò la coordinatrice e improvvisò un imprevisto improrogabile. Data la deferenza e lo zelo costante di Lauren nessuno ebbe da ridire riguardo la sua assenza.

Montò in macchina e spende il gps, spinta solo dall'andamento del vento. Guidò senza meta e senza sosta, lasciandosi trasportare dal paesaggio suggestivo che coronava il cielo terso e le sue smagliature candide.

Si ritrovò a vagare in lungo e largo, lemme lemme, per poi abbracciare tutta la costa con la parabola scriteriata del suo tragitto e spegnere il quieto motore sul ciglio di una contrada conosciuta.

Voltò lo sguardo verso la facciata gialla della casa. Sospirò. Finiva sempre lì.

Scese dall'auto e si appollaiò sul cofano, stringendosi nel cappotto nero che l'avvolgeva fino alle ginocchia. I lunghi stivali di camoscio le fasciavano le gambe snelle, conferendole un aspetto austero e sexy al contempo.

Dovette aspettare un'ora e mezzo prima che la sagoma affusolata e sinuosa della cubana si affacciasse oltre il promontorio. La luce accecante del sole anneriva i suoi contorni, facendola apparire sotto un contrasto aureo che le richiamò alla mente l'immagine voluttuosa di un angelo.

Questa poi. Rise di se stessa, rendendosi conto di quanto paradossale e ridicola la situazione fosse diventata.

Quando Camila fu a metà strada, ancora ignara della sua presenza, le andò incontro. Braccia conserte, sguardo fisso sulla cubana, spalle dritte e passo sensualmente determinato.

Camila alzò gli occhi solo quando i passi di Lauren si fecero più distinti. Inizialmente non la riconobbe nemmeno. Aveva quell'abitudine di posare lo sguardo non più di qualche secondo sui passanti, sentendosi immediatamente inopportuna o giudicata. Poi una seconda occhiata le fece inquadrare la donna. Rallentò il passo, corrugò la fronte e si fermò davanti alla figura imponente e avvenente della corvina, confusa.

«Che ci fai qui?» Domandò, scoccando occhiate furtive alle finestre della casa, preoccupata che qualcuno potesse scorgerle.

HadesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora