Capitolo due

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Camila ultimò lo zaino per la mattina seguente, poi si distese sul letto, con le mani intrecciate sotto la nuca, a fissare il soffitto.

Non voleva addormentarsi. Non voleva più addormentarsi. Era diventata forse clinofobica? La verità era che non aveva una gran mole d'indizi che risolvessero l'incognita. L'unica cosa certa che sapeva era che non voleva rivedere mai più quello sguardo, che le entrava sotto pelle e le slogava l'ossatura dalla paura.

C'era comunque un'altra parte di lei, più impavida, che invece spasimava per un po' di sonno. Desiderava eseguire un esame incrociato e scoprire quale motivo brutalizzasse i suoi sogni.

Non riuscì a prendere sonno fino all'una di notte, quando, poi, la spossatezza prevalse sulla remore e le chiuse le palpebre in un gesto sì premuroso, ma anche infido.

Adesso era nelle grinfie della notte. E non c'è bestia peggiore della notte, se stai affrontando dei demoni.

Sorprendentemente i suoi sogni furono pacifici e docili. Nessuna risata algida, nessuno sguardo minatorio, nessuna mano evanescente. La cubana, per la prima volta dopo incessanti incubi defatiganti, navigò in acque tranquille.

Si svegliò alle quattro, circa, infastidita dall'arsura. Bevve un sorso d'acqua dal bicchiere che immancabilmente stanziava sul comodino; poi, con il sorriso ancora spensierato accucciato sulle labbra, tornò ad immergersi nel sonno.

E fu allora che la vide.

Piombò in una stanza nera, e già da lì si avvide che della perturbazione che stava subendo il suo inconscio. Quello scenario era sempre lo stesso. Era proprio dalla fitta oscurità che emergevano gli smeraldi lucenti e taglienti.

Il suo respiro accelerò. Sapeva che stava per succedere qualcosa, lo percepiva veleggiare nell'aria, soffiarle sulla pelle. Brividi raggelanti le incresparono l'epidermide, ma l'unico movimento che riuscì a compiere fu uno spasmo delle dita. Niente più.

Una brezza gelida le vellicò la nuca, dove i peli le si rizzarono all'istante. Avrebbe voluto voltarsi, perché anche se era terrorizzata, l'idea che il pericolo si aggrappasse alle sue spalle era oltremodo angosciante.

Intravide l'ombra di una mano. Ormai gli occhi erano l'unico strumento che predisponeva per analizzare l'ambiente, dato che tutti i suoi muscoli erano irrimediabilmente rattrappiti dalla paura.

Le lunghe dita si poggiarono vezzose sulla sua clavicola. Camila trattenne il respiro, impaurita che l'Ombra, così l'aveva battezzata, conficcasse le unghie nella sua carne e affondasse il colpo fino al cuore. Era un incubo, ma qualcosa suggeriva a Camila che se lo avesse fatto davvero, non si sarebbe svegliata più.

Le dita carezzarono il suo collo, bordato di brividi, poi afferrarono una ciocca di capelli e la scostarono sulle spalle, esponendo la pelle tesa della cubana.

Adesso, Camila non poteva vedere in faccia l'Ombra, anche se ogni dettaglio era impresso a fuoco nella sua memoria, ma comunque le parve di registrare un'esalazione nasale che convolava con un sorriso perversamente perfido.

La cubana avvertì l'area formicolare, come se la sua pelle attendesse un contatto che sapeva prima o poi sarebbe arrivato. E difatti, pochi attimi dopo, le labbra umide dell'Ombra le sfiorarono il collo, tracciando una scia dal fondo a sotto l'orecchio.

Camila emise un gemito, mezzo spaventato, mezzo disperato.

L'Ombra le afferrò poi il mento di scatto e la fece girare violentemente verso di se. La cubana strinse la presa su quelle che credeva le braccia della figura, ma invece strinse l'aria. Il volto della donna, perché questo era, una donna, si sfigurò, uscendo dai contorni dei suoi lineamenti e si condensò con il buio circostante. L'unica cosa integra che rimasero furono gli occhi e il sorriso, ora esteso in una curva maligna e raccapricciante. L'Ombra si scaraventò precipitosamente sul viso della cubana, avvolgendola in strali di fumo nero, togliendole il respiro. La cubana portò una mano al collo, tentando di recuperare aria, ma ogni boccheggio equivaleva a un litro in meno d'ossigeno.

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