Capitolo trentuno

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Lauren bevette un ultimo goccio di pregiato vino rosso prima di coprirsi sotto il piumone e addormentarsi.

Era lei che entrava nei sogni degli altri, lei che decideva come e quando violare la placenta onirica altrui, lei che creava la stanza e la distruggeva. Ma, a sua discrezione, aveva anche il vantaggio di lasciar aperto il canale di comunicazione con chi desiderava lei. Ovvero, permetteva ad altri di ricreare la stanza e andarla a trovare nei sogni. Ovviamente era un'impresa difficile, molto faticosa, e il sogno non si spingeva oltre un'ora, mentre lei riusciva a governarlo anche per una notte intera.

Quella notte si sorprese molto di essere catapultata nel solito panorama nero e spoglio, con la stanza al centro. Lauren titubò un istante, prima di colmare l'apparente vuoto di memoria.

C'era una sola persona alla quale aveva lasciato il passepartout.

Lauren alzò gli occhi al cielo prima di abbassare la maniglia ed entrare nella stanza.

La donna era seduta ad un tavolo, assortito con due sedie. Teneva le mani giunte davanti a se, lo sguardo basso e le spalle incordate.

«Ciao, Normani.» Notificò la sua presenza Lauren, strascicando la sedia per lo schienale e accomodandosi su di essa.

La donna di fronte a lei alzò la testa lentamente, fulminandola con uno sguardo algido e sfiduciato. Lauren parò il colpo con eleganza e altrettanta sicurezza frammista ad arroganza. Non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno.

«Come stai, Lauren?» Era una domanda talmente semplice, eppure la corvina scattò sulla difensiva, fiutando l'odore di un sotterfugio.

«Lo sai che il mio umore è invariabile.» Si strinse nelle spalle, portando le braccia conserte, senza addurre altro.

Normani passò la lingua sulle labbra, stampandosi un'espressione offesa in faccia «Si, grazie. Io sto bene.»

Lauren non mosse un muscolo, anzi. Continuò a fissarla imperterrita, sostenendo l'incoscienza del suo sguardo che niente poteva contro la sua solida inviolabilità.

«Devi dirmi qualcosa, Lauren?» Sondò il terreno molto pacatamente Normani, risultando completamente ignara ma al contempo circospetta.

«Normani, sono io che faccio le domande. Non tu, ne nessun altro.» Precisò la corvina, aggettandosi sul tavolo, incenerendola con uno sguardo adamantino.

«Vieni con me.» L'esortò l'amica, accingendosi ad una porta posta sulla parete opposta da dove era entrata Lauren.

La corvina rimase inerme, guardinga e ostinata come sempre, ma Normani non si dissuase. Non stavolta. Mantenne l'uscio aperto finché la corvina non si decise ad alzarsi e seguirla.

Dapprima vennero inghiottite in un buio impenetrabile, talmente fitto che faceva male agli occhi. Poi, improvvisamente, si accese fiocamente uno schermo e più si avvicinavano più l'immagine diventava nitida.

La prima scena ritraeva Lauren anni, millenni fa, mentre stava combattendo l'ira dei suoi fratelli. Era un dipinto, accaparrato chissà da dove chissà da chi.

«Lauren, non ho molto tempo, lo sai, ma è importante che tu ricordi la nostra storia. Siamo stati ripudiati, denigrati, screditati è peggio ancora romanzati. Nessuno di noi avrebbe sopportato quel patibolo senza di te, sei stata tu la colla di giunzione, la forza che ci ha permesso di tirare avanti, nonostante tutto e tutti. Tu, Lauren.» Normani le puntò addosso lo sguardo facendole sentire tutto il peso delle responsabilità addosso, come veri e propri macigni.

«Noi non saremo niente senza di te, non potremmo sopravvivere senza di te! Tu, Lauren, ci hai fatto sentire accettati, ci hai reso padroni di noi stessi, hai reso vane tutte quelle chiacchiere su di noi.» Normani la trascinò verso un altro schermo, posto a pochi passi da loro, più grande e più luminoso. Più incombente.

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