Capitolo tredici

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Camila, a sua insaputa, aveva appena inventato un nuovo gioco. Erede di nascondino, ma più movimentato. Poteva essere definito "fuggi-fuggi", oppure "scappa, corri e schiva", ma anche "preferirei non esistere oggi" era azzeccato come titolo.

Si stava prodigando per evadere da incontri prematuri con Lauren. Si, l'avrebbe vista in classe, ma comunque preferiva non anticipare l'ora X.

Era in tremendo imbarazzo, anche se questo Lauren non poteva saperlo perché tutto ciò si impudico che era successo era stato rilegato nei suoi sogni, terreno fortunatamente proibito a Lauren. Non osava immaginare quanto sarebbe stato imbarazzante se la sua professoressa avesse posseduto le chiavi del suo sonno.

Comunque sia, ciò che era avvenuto durante la notte l'aveva profondamente arrossita. Non era da lei coreografare un sogno procace e spudorato in quel modo, non le era mai successo prima, quindi perché adesso? Perché con lei? Perché?

Tutto ad un tratto, l'armadietto dove si stava rifugiando venne bruscamente chiuso, facendola sobbalzare. «Siope mi ha invitata a cena con la sua famiglia!» Esordì nel panico Dinah.

Camila dovette fare mente locale. Sgrullò appena spalle e testa prima di calarsi nella discussione.

«Ah, e tu che farai?» Fu la domanda più spontanea che le balenò in testa.

«Che farò? Che farò!? Falsificherò il passaporto e mi nasconderò sotto nuova identità in Messico, ecco cosa farò.» Espose Dinah, accasciandosi contro gli armadietti, visibilmente disperata.

«Uhm, grazie per avermi fatto sapere la meta, saprò dove rintracciarti.» Ironizzò la cubana, sperando che un po' di spirito rallegrasse la disavventura, ma lo sguardo di tralice che le saettò la polinesiana le fece intuire che era meglio chetarsi.

«Lo conosco da poco tempo, perché dobbiamo accelerare le cose? Perché i ragazzi sono sempre così impazienti e poi ti mollano al secondo mesiversario?» La voce aveva assunto un tono miagolante, quasi sul punto di un crollo isterico che poteva dipanarsi in due modi: pianto incontrollabile, urla incontrollabili.

Mesiversario. Non sapevo nemmeno esistesse, e poi mi chiedo perché non ho una relazione. Rifletté Camila, prima che la sua migliore amica riprendesse il suo sproloquio.

«Dovrebbero imparare ad essere pazienti, a non far scemare il sentimento con tutta la loro fregola e.. e la loro appariscenza, e tutto il resto.» A quanto pare aveva sorteggiato l'attitudine bonus, il jolly per eccellenza: i monologhi nevrotici.

Dinah non era un abitué di tali sfoghi, preferiva qualcosa di più grintoso, e stimava che la maggior parte delle nevrosi erano improntate a vaneggiamenti sconclusionati. Ecco perché prediligeva qualcosa di più scenico e sensato, ma evidentemente il suo tracollo di nervi era talmente sofferto da portarla fuori registro.

«Voglio dire, potrebbero tenerlo dentro la patta per più di cinque minuti, se poi decidono che abbassarsi le mutande equivalga a presentarti la madre. Andiamo, voglio dire, suvvia! Sono io? Sono io, oppure...»

«Ok, ok!» Camila l'afferrò per le spalle e avversò la sua stolta loquacità con un sorriso compassionevole e frastornato «Zittisciti un attimo, no! Silenzio.» Si diede qualche secondo per alleviare il mal di testa procurato dalla parlantina di Dinah.

«Ascolta. Non sei obbligata ad andare a quella cena, ma se non ci andrai Siope ci resterà molto male. Evidentemente lui è più avanti rispetto a te, nella vostra relazione. La scelta ora è tua, rischiare di conoscere i parenti, oppure rischiare il vostro rapporto.» Camila parlò schiettamente, credendo che degli insulsi convenevoli avrebbero soltanto stordito maggiormente la polinesiana, ed era già abbastanza confusa di suo.

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