Capitolo trentasei

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Camila percepì quel fuoco ossidrico spegnersi nel momento in cui cadde con i piedi per terra in un luogo sconosciuto. Dovunque fosse, si chiedeva se fosse ancora viva. Non era possibile tollerare un dolore tanto disumano e sopravvivergli.

Eppure le sue mani erano ancora prensili, il suo essere senziente. Ci vedeva. Era viva. Ma quando aprì gli occhi forse avrebbe preferito
non esserlo.

La stanza. Quelle quattro pareti che erano state il ricettacolo delle sue paure, dei suoi mostri, le responsabili delle sue occhiaie, delle sue incertezze. Segni che si erano ripercossi attraverso il tempo sulla sua pelle. Segni reali.

Perché era lì? Perché di nuovo!?

Le doleva ogni arto, muoversi era un arduo compito, ma il terrore di restare ingabbiata lì dentro anche solo un minuto la galvanizzò a scuotersi. Muoviti. A tendere le braccia sul pavimento pece e... Fletti. Una fitta lancinante le trapanò la spina dorsale, centuplicandosi verso le spalle. Camila non demorse. Denti stretti e Solleva. Adesso doveva pensare alle gambe. A quelle che parevano le sue gambe, ma in realtà erano blocchi di marmo. Piega. Caviglia, Ginocchio, anca. Su! Adesso era una questione di coreografare tutti i cardini assieme. Daccapo. Caviglia, ginocchio, anca, polso, gomito, spalla. Alzati. Ed era in piedi.

Era in piedi.

Il buio adesso si protendeva oltre le sue palpebre chiuse e tinteggiava ogni angolo della stanza. C'era così tanto nero che Camila pensò di essere stata partorita direttamente da esso.

«Camila.»

Una voce grottesca, oltretombale avrebbe detto, la chiamò.

Lei si guardò attorno, smarrita e impaurita.

«Sono qui.» Le indicò la via, oggettivandosi dietro di lei.

La cubana di girò di scatto, trasalendo. L'ombra era tornata, ed era lì che la fissava.

La cubana fece un passo indietro. Si sentiva indifesa e impotente, pronta a subire vessazioni indicibili.

«No, no..» Bisbigliò sottovoce, terrorizzata.

«Non ti farò del male.» Dichiarò sinceramente, sospirando «Mi dispiace averti spaventata.»

«So, so quello che succederà...» Barbugliava a fior di labbra.

«Non stavolta.» L'Ombra scosse la testa e in quel banale gesto le sue spoglie iniziarono a squamarsi.

Pezzo di stoffa dopo pezzo di stoffa, cadeva il suo travestimento. Ora non sembrava più la sua pelle, ma solo una veste che aveva messo sopra le spalle per coprirsi. Sotto di essa: epidermide umana.

Camila non era spaventata, non più, ma alquanto sconcertata. Non sapeva quel che stava accadendo, non realizzava il meccanismo contorto che... Che diamine stava succedendo!?!?

Mentre le vesti si sbriciolavano, anche le pareti cadevano in frantumi. La stanza non era più un luogo angusto e criminale, ma uno spazio sconfinato, soleggiato (almeno credeva che quel bagliore chiaro poteva essere paragonato al sole) e soprattutto sereno.

Quando Camila si voltò, trovò davanti a se Lauren. Si guardò attorno spaesata, in cerca dell'Ombra. Inizialmente pensava che un bel sogno si fosse sostituito all'incubo, ma fu quando occhieggiò i piedi della corvina che notò i resti delle vesti che si erano sgretolate dalle sue spalle.

Camila zompò all'indietro, incredula e palpitante.

«No.» Sussurrò appena.

«Camila.» Tentò di allungare una mano, provando a sfiorarla.

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